Filosofia della natura: differenze tra le versioni

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#''causa efficiente'': è l'agente che determina operativamente il mutamento;
#''causa finale'': la più importante di tutte, in virtù della quale esiste un'intenzionalità nella natura; è lo scopo per cui una certa realtà esiste.
La trattazione delle quattro cause, che resterà a lungo un perno della filosofia della natura, soprattutto presso la [[scolastica (filosofia)|scolastica]] medioevale,<ref>La scolastica considererà infatti che il vero sapere è legato alla conoscenza delle cause, o nella versione latina «''verum scire est scire per causas''».</ref> orienta la scienza di Aristotele in senso qualitativo, tenendo conto di un doppio modo di considerare gli eventi, all'interno delle coppie ''causa efficiente''-''causa finale'', o ''forma spirituale''-''sostrato materiale''; ad esempio se la causa efficiente concepisce lo stato dei rapporti meccanici situati nel passato, quella finale è rivolta all'intenzione da realizzare nel futuro. Da questo approccio si discosterà la scienza moderna che escluderà l'essenza formale e la causa finale dal proprio orizzonte conoscitivo.<ref>Cfr. [http://www.treccani.it/enciclopedia/causa_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/ Enciclopedia Treccani].</ref>
 
[[File:Quattro elementi.png|220px|thumb|I [[quattro elementi]] e le loro relazioni]]
Il tentativo di pervenire a spiegazioni qualitative della natura,<ref>Cfr. [http://www.ips.it/scuola/concorso/kant/fisar.htm Fisica aristotelica].</ref> che tengano conto cioè dell'essenza e non soltanto del dato quantitativo, è all'origine anche della [[cosmologia (filosofia)|cosmologia]] aristotelica, basata sulla teoria dei [[quattro elementi]] già enunciata da [[Empedocle]]: [[terra (elemento)|terra]], [[aria (elemento)|aria]], [[fuoco (elemento)|fuoco]] e [[acqua (elemento)|acqua]]. Le varie composizioni degli elementi costituiscono tutto ciò che si trova nel mondo. Ogni elemento possiede due delle quattro qualità (o «attributi») della materia:
* il ''secco'' (terra e fuoco),
* l'''umido'' (aria ed acqua),
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La negazione del vuoto viene ribadita dallo [[stoicismo]], per il quale l'universo è un tutto omegeneo, concepito come un unico grande organismo, regolato da intime connessioni (''sympathèia'') fra le sue parti, grazie al soffio vitale che pone ordine nella materia inerte, platonicamente denominato «[[Anima del mondo]]». La tesi contro cui gli stoici si rivolgono è quella [[epicureismo|epicurea]], potratrice di una visione atomistica erede di Democrito, al cui meccanicismo contrappongono il [[finalismo]] della [[Provvidenza]].<ref>Cfr. Hans Von Arnim, ''Stoicorum veterum fragmenta'' I, frammenti 171-172; ''SVF'' II, fr. 1153.</ref>
 
In seguito, [[Plotino]] riprende la polemica platonica contro gli atomisti,<ref>«Quanto sia assurdo attribuire al meccanicismo e al caso l'esistenza e la formazione dell'universo è chiaro, anche prima di ogni ragionamento» (Plotino, ''Enneadi'', trad. di G. Faggin, Milano, Rusconi, 1992, p. 351).</ref> ponendo una distinzione fondamentale tra naturale e artificiale. "Naturale" è ciò che [[processione (teologia)|procede]] dal semplice al composto; "artificiale" significa all'inverso partire dai molti per costruire l'uno.<ref>Cfr. [[Vittorio Mathieu]], ''Come leggere Plotino'', collana diretta da G. Reale, Bompiani, Milano 2004.</ref> La vita non può essere riprodotta artificialmente, perché non è il risultato di assemblaggi o combinazioni atomiche ad essa esterne, ma nasce da un principio interiore talmente semplice da essere immateriale. Questo principio è l'[[intelligenza]], nella quale risiedono le [[Idee]], che se da un lato sono trascendenti, dall'altro diventano immanenti alla natura, andando a costituire la ragione formante (o ''[[logos]]'') degli individui, in maniera simile ai [[gene|caratteri genetici]], o al concetto aristotelico di ''[[entelechia]]''.
 
[[File:Emanation.png|left|thumb|L'emanazione dall'[[Uno (filosofia)|Uno]], che [[processione (teologia)|procede]] fino alla materia, avviene «come un'irradiazione, come la luce del sole splendente intorno ad esso».<ref>Plotino, ''Quinta enneade. Il pensiero come diverso dall'Uno'', BUR Rizzoli, 2000 ISBN 8817173185.</ref>]]
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La nozione dell'[[Anima Mundi]] permeerà in particolare l'[[agostinismo]], soprattutto in seguito al commentario del ''[[Timeo (dialogo)|Timeo]]'' di Platone operato da [[Calcidio]], che le attribuiva una «natura razionale incorporea».<ref>Cfr. Calcidio, ''Commentario al Timeo di Platone'', Milano 2003 ISBN 88-452-9232-0.</ref> Se ne troveranno cenni in [[Anicio Manlio Torquato Severino Boezio|Boezio]], [[Dionigi l'Areopagita]] e [[Giovanni Scoto Eriugena]].
 
In questa fase la natura viene studiata prevalentemente in rapporto al sovrannaturale, interpretata come un luogo di presenze oscure e simboliche, inizialmente legato a rituali pagani e magici che furono progressivamente integrati e riadattati dalla [[Chiesa]] in funzione del processo di evangelizzazione dell'[[Europa]]. Gli aspetti della natura, suddivisi nei tre regni, animale, vegetale e minerale, trovano nei generi letterari rispettivamente dei [[bestiario|bestiari]], [[erbario|erbari]] e [[lapidario|lapidari]], una forma di conoscenza rivolta più che altro ad una prospettiva [[allegoria|allegorica]].<ref>Cfr. [http://www.treccani.it/enciclopedia/medioevo-rinascimento-la-scienza-bizantina-e-latina-immagini-della-natura_%28Storia-della-Scienza%29/ Enciclopedia Treccani].</ref>
 
[[File:Neoplatonic-Sun.GIF|thumb|L'Anima Mundi in una stampa rinascimentale]]
Sarà con lo sviluppo della [[scolastica (filosofia)|scolastica]], e poi con la nascita delle prime [[università]] a partire dal [[XII secolo]], che la filosofia della natura inizierà a costituirsi sempre più come scienza autonoma, in virtù del fatto che l'Anima Mundi si prestava ad essere considerata come una totalità organica e indipendente, oggetto di studi separati rispetto alla [[teologia]]. Se [[Pietro Abelardo]] la identificò esplicitamente con lo [[Spirito Santo]], essa divenne un tema ampiamente sviluppato dai maestri della [[scuola di Chartres]], come [[Teodorico di Chartres|Teodorico]] e [[Guglielmo di Conches]], i quali ammisero l'[[immanenza]] dello spirito nella Natura, in cui opera una ''vis quaedam rebus insita, similia de similibus operans'' («una forza insita nelle cose che, da cose simili, produce cose simili»).<ref>Cfr. [http://www3.unisi.it/ricerca/prog/fil-med-online/temi/htm/filosofia_natura.htm Filosofia della Natura].</ref> Dio, secondo Guglielmo, si era limitato a dare l'avvio alla [[creazione (teologia)|creazione]], dopodiché tutta l'evoluzione dei processi naturali andava spiegata sulla base dei loro princìpi interiori, che egli individuava nell'azione combinata dei [[quattro elementi]] ([[fuoco (elemento)|fuoco]], [[terra (elemento)|terra]], [[aria (elemento)|aria]], [[acqua (elemento)|acqua]]), senza bisogno che Dio intervenisse più.<ref>«L'Anima del Mondo è un'energia naturale degli esseri per cui alcuni hanno soltanto la capacità di muoversi, altri di crescere, altri di percepire attraverso i sensi, altri di giudicare. […] Ci si chiede cosa sia quell'energia. Ma, come mi sembra, quell'energia naturale è lo [[Spirito Santo]], cioè una divina e benigna armonia che è ciò da cui tutte le realtà hanno l'essere, il muoversi, il crescere, il sentire, il vivere, il giudicare» (Guglielmo di Conches, ''Glosse al Timeo di Platone'', traduzione da [[Tullio Gregory]], ''Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola di Chartres'', Sansoni, Firenze 1955).</ref>
Ammettendo quindi l'immanenza dell'Anima Universale nella Natura, i filosofi di Chartres si avviavano verso una visione [[panteismo|panteistica]] del creato.
 
Contemporaneamente, a cominciare da [[Alberto Magno]], cominciò ad essere recepito l'influsso dell'[[aristotelismo]] arabo, che portò a un ridimensionamento del ruolo che l'agostinismo aveva avuto fino allora, e provocando accese dispute quando alcuni concetti di derivazione averroistica (come la negazione dell'immortalità dell'anima o dell'origine creazionistica del mondo) sembravano porsi in contrasto con l'ortodossia cristiana. Alberto Magno introdusse allora una distinzione fra l'ambito della [[fede]], di cui si occupa la teologia, e quello della [[scienza]], in cui opera la ragione, pur cercando sempre un punto di incontro tra questi due campi.
 
[[File:Illustration of a hermaphrodite from the Aurora consurgens (15th century).jpg|130px|left|thumb|Una miniatura del manoscritto ''Aurora consurgens'' di una stampa risalente al XV secolo (ermafrodito simboleggiante la dualità dello stato solido e gassoso)<ref>Cfr. [http://www.treccani.it/enciclopedia/medioevo-la-scienza-bizantina-e-latina-nascita-di-una-scienza-europea-l-alchimia-nel-medioevo-latino-e-greco_%28Storia-della-Scienza%29/ Enciclopedia Treccani].</ref>]]
Discepolo di Alberto fu [[Tommaso d'Aquino]], che analogamente si propose di conciliare la [[rivelazione cristiana]] con la [[aristotelismo|dottrina di Aristotele]], riformulandone in chiave nuova la concezione della [[verità]] come corrispondenza tra intelletto e realtà,<ref>Il logico e matematico [[Alfred Tarski]] ha posto la concezione aristotelico-tomista dell'''adequatio rei et intellectus'' a fondamento della moderna concezione semantica della verità (cfr. ''Enciclopedia Treccani'' alla voce "Alfred Tarski"). «La concezione della verità come corrispondenza (''adaequatio'') oltre che da Tommaso d'Aquino è condivisa da tutti coloro che hanno una concezione [[realismo (filosofia)|realistica]] della [[conoscenza]], sia nella versione platonica (Platone, Agostino, Popper), sia in quella aristotelica (Aristotele, Tommaso d'Aquino, Tarski), oppure una concezione fenomenistica (Kant)» (cit. da [[Battista Mondin]], ''Manuale di filosofia sistematica: Cosmologia. Epistemologia'', vol. I, pag. 263, Bologna, ESD, 1999).</ref> e sviluppando il concetto di ''[[analogia entis]]'' e di [[astrazione (filosofia)|astrazione]], il cui utilizzo è stato rivalutato tuttora in più recenti scoperte scientifiche.<ref>Cfr. F. Bertelè, A. Olmi, A. Salucci, A. Strumia, ''Scienza, analogia, astrazione. Tommaso d'Aquino e le scienze della complessità'', Padova, Il Poligrafo, 1999.</ref> In virtù dell'analogia, o similitudine, esiste secondo Tommaso un perenne passaggio dalla [[Potenza (Aristotele)|potenza]] all'[[atto (Aristotele)|atto]] che struttura gerarchicamente la natura secondo una scala ascendente che va dalle piante agli animali, e da questi agli uomini, fino agli [[angelo|angeli]] e a [[Dio]], che in quanto motore immobile dell'universo è responsabile di tutti i processi naturali. Le intelligenze angeliche hanno una conoscenza [[intuizione|intuitiva]] e superiore, che permette loro di sapere immediatamente ciò a cui noi invece dobbiamo arrivare tramite l'esercizio della [[ragione]]. Tommaso mantenne comunque una certa terminologia neoplatonica parlando anch'egli di un<nowiki>'</nowiki>''Anima Mundi'', causa della Natura, che derivava ''"post aeternitatem"'' dalle Intelligenze, sussistenti ''"cum aeternitate"'', le quali a loro volta discendevano dall'[[Uno (filosofia)|Uno]] o Bene, causa prima ''"ante aeternitatem"''.<ref>Cfr. C. Fabro, ''Partecipazione e causalità secondo S. Tommaso d'Aquino'', Società Editrice Internazionale, Milano 1958.</ref> Nell'opera di Tommaso, l'attenzione rivolta agli aspetti vitali del mondo fisico troverà espressione in un trattato dedicato all'[[alchimia]],<ref>[[Tommaso d'Aquino]], ''L'alchimia ovvero trattato della pietra filosofale'', trad. di P. Cortesi, Newton & Compton, 1996 ISBN 88-8183-557-6.</ref> ed un altro intitolato ''[[Aurora consurgens]]''.<ref>Tommaso d'Aquino, ''Aurora Consurgens'', a cura di P. De Leo, Kemi, 2002 ISBN 9786001344343.</ref>
 
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L'idea di una segreta corrispondenza tra fenomeni celesti e fenomeni terreni conduce a una maggiore fiducia nell'[[astrologia]], basata su una visione armonica dell'universo per cui esiste un'analogia tra le strutture della mente umana e le strutture reali dell'universo, ovvero tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura, in quanto generate dalla stessa intelligenza creatrice.<ref>Per Cusano e Marsilio Ficino, ad esempio, l'uomo è un microcosmo che contiene in sé gli estremi opposti dell'universo.</ref> Non si tratta di un universo statico, ma in movimento: in esso prevale un equilibrio dinamico, rappresentato dal [[cerchio]] e dalla [[sfera]], simboli dei cicli della natura, e visti come le figure più perfette in quanto espressione di massima sintesi tra forze centrifughe e centripete: una concezione che si ritrova nella [[rivoluzione scientifica]] attuata da [[Niccolò Copernico|Copernico]]. A fondamento dell'ordine geometrico dell'universo è posto [[Dio]], il quale lo governa attraverso un atto d'[[amore]], infondendo anima e vita alle sue leggi.
 
Anche per i [[filosofia rinascimentale|filosofi rinascimentali]], dunque, che pure si discostano dai dogmi della [[teologia]], la natura è un organismo vivente, che non opera meccanicamente assemblando parti più piccole fino ad arrivare agli organismi più evoluti e intelligenti, bensì il contrario: l'evoluzione della [[natura]] è resa possibile dal principio intelligente che già preesiste alla materia. [[Bernardino Telesio]] così, pur polemizzando contro Aristotele, affermerà l'esigenza di studiare la natura secondo ''i suoi propri princìpi'', cioè secondo la visione tipicamente aristotelica di una ragione immanente agli organismi. Secondo [[Giordano Bruno]] nella natura opera [[Dio]] stesso, il quale si rivela nell'uomo come [[Ragione]], attraverso una progressiva esaltazione dei sensi e della memoria nota come ''eroico furore''. [[Tommaso Campanella]] si fa portatore di un [[sensismo]] cosmico, concezione per cui tutta la natura è senziente, ovvero percepisce. Nel panorama rinascimentale permane costante la concezione della natura come una realtà tutta viva e animata, abitata da forze e presenze nascoste. [[Paracelso]] ad esempio parlava apertamente di entità spirituali responsabili di ogni legge e avvenimento di natura;<ref>Cfr. [[Paracelso]], ''Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris et de caeteris spiritibus'' (1566).</ref> a lui si deve inoltre lo sviluppo della [[dottrina delle segnature]], basata sul concetto di analogia tra [[macrocosmo e microcosmo]], tra natura ed essere umano.
 
La visione immanente dei filosofi rinascimentali, in particolare di Giordano Bruno, sarà ripresa da [[Baruch Spinoza|Spinoza]], secondo cui «Dio non è un burattinaio», cioè non è trascendente, ma coincide con la Natura stessa. Dio è la ''Natura Naturans'' che si materializza come ''Natura Naturata''. Secondo Spinoza, tutto in natura è causato da un tale Principio [[Uno (filosofia)|unico]] e [[assoluto]], il quale non è da intendersi come il primo anello della catena di cause in essa presente, ma come la sostanza unitaria di questa stessa catena.
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===Ripresa del meccanicismo===
Una tale ripresa del meccanicismo si era avuta già a partire da [[Francesco Bacone]],<ref>Cfr. [http://www.filosofiatv.org/news_files2/89_Lamendola%20F.pdf Manipolazione spietata di cose, vegetali ed animali nella «Nuova Atlantide» di Francesco Bacone].</ref> e quindi da [[Thomas Hobbes]] col rilancio di un indirizzo di pensiero [[nominalismo|nominalista]], che negando valore alle essenze universali delle specie naturali (su cui si fondava la filosofia della natura aristotelico-tomista) le assimilava a semplici parole arbitrarie prive di fondamento ontologico.
 
Ma è con [[Galileo Galilei]], sebbene questi accogliesse da Aristotele e Platone il modello [[deduzione|deduttivo]]-[[matematica|matematico]], che si attua quella [[rivoluzione scientifica]] rivolta a una conoscenza della natura limitata agli aspetti [[quantità (filosofia)|quantitativi]] della realtà, rinunciando alla ricerca delle qualità e delle [[essenza (filosofia)|essenze]],<ref>«Il tentar l'essenza, l'ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti: e a me pare essere egualmente ignaro della sustanza della Terra che della Luna, delle nubi elementari che delle macchie del Sole; né veggo che nell'intender queste sostanze vicine aviamo altro vantaggio che la copia de' particolari, ma tutti egualmente ignoti, per i quali andiamo vagando, trapassando con pochissimo o niuno acquisto dall'uno all'altro» (G. Galilei, ''Terza lettera del sig. Galileo Galilei al sig. Marco Velseri delle macchie del sole'', Villa delle Selve, l° dicembre 1612).</ref> che fino allora aveva condotto la filosofia della natura ad occuparsi delle proprietà degli enti da un punto di vista principalmente [[analogia|analogico]], assimilandole ai [[quattro elementi]] fondamentali (aria, acqua, terra, fuoco).
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[[Kant]] invece, se nella ''[[Critica della ragion pura]]'' concepiva l'[[essere]] come un semplice [[quantificatore]] e non un predicato, interpretando il cosmo alla stregua di un meccanismo sottomesso alle leggi dell'[[io penso]] (per il quale ogni realtà per poter essere conosciuta deve prima entrare a far parte della nostra esperienza), nella ''[[Critica del Giudizio]]'' recupera una visione finalistica della natura, da interpretare in chiave simbolica come inesauribile e spontanea forza vitale dove si esprime la divinità.
 
[[Friedrich Schelling|Schelling]] riprende questi concetti, cercando di costruire una filosofia della natura (''Naturphilosophie'') che superasse i limiti della scienza sperimentale e si occupasse della natura nella sua totalità.<ref>Cfr. [http://www.swif.uniba.it/lei/filmod/testi/schelling.htm Filosofia della natura e idealismo trascendentale nel giovane Schelling (1796-1801)].</ref>
 
{{quote|La tendenza necessaria di tutte le scienze naturali è di andare dalla natura al principio intelligente. Questo e non altro vi è in fondo ad ogni tentativo diretto ad introdurre una teoria nei fenomeni naturali. La scienza della natura toccherebbe il massimo della perfezione se giungesse a spiritualizzare perfettamente tutte le leggi naturali in leggi dell’intuizione e del pensiero. I [[fenomeno|fenomeni]] (il materiale) debbono scomparire interamente, e rimanere soltanto le leggi (il formale). Accade perciò che quanto più nel campo della natura stessa balza fuori la legge, tanto più si dissipa il velo che l'avvolge, gli stessi fenomeni si rendono più spirituali ed infine spariscono del tutto. I fenomeni ottici non sono altro che una geometria, le cui linee sono tracciate per mezzo della luce, e questa luce stessa è già di dubbia materialità. Nei fenomeni del magnetismo scompare ogni traccia materiale, e dei fenomeni di gravitazione non rimane altro che la loro legge, la cui estrinsecazione in grande è il meccanismo dei movimenti celesti. Una teoria perfetta della natura sarebbe quella per cui la natura tutta si risolvesse in un'[[intelligenza]].<ref>Cit. in Giuseppe Rensi, ''La trascendenza: studio sul problema morale'', Fratelli Bocca, 1914, pag. 17.</ref>}}