Opinione: differenze tra le versioni

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Il termine '''opinione''' (dal [[lingua latina|latino]] ''opinio'', ''-onis''; in [[greco antico|greco]] {{polytonic|δόξα}}, ''dòxa'') genericamente esprime la [[convinzione]] che una o più [[Persona|persone]] si formano nei confronti di specifici [[Fatto|fatti]] in assenza di precisi elementi di [[certezza]] assoluta per stabilirne la sicura [[verità]]. Con la opinione si avanza, spesso in [[buona fede]], una versione personale o collettiva del fatto che si ritiene vero e, pur non escludendo che ci si possa ingannare, tuttavia lo si valuta come autentico sino a prova contraria.<ref>Cfr. ''Enciclopedia Treccani'' alla voce corrispondente.</ref>
 
In filosofia il concetto di opinione rimanda a due specifici significati<ref name=abbagnano>[[Nicola Abbagnano]], ''Dizionario di filosofia'', ed. UTET, 1971 (ristampa 1992), ISBN 88-02-01494-9, pp. 637-638.</ref>:
*ogni conoscenza o credenza che non ha in sé una garanzia di verità accertata (questo è il significato più comune che si oppone al concetto di [[scienza]] dove la validità conoscitiva è sottoposta al vaglio [[metodo sperimentale|sperimentale]]);
*qualsiasi asserto basato su una esperienza sensibile, immediata e contingente, che in apparenza si presenti come teoreticamente vera.
 
Se il primo significato si trova già accennato in [[Parmenide]] (''Frammenti'', 1, 29-30), il secondo si trova in [[Platone]] (''[[Teeteto]]'', 190 a-c) e in [[Aristotele]] (''[[Metafisica (Aristotele)|Metafisica]]'', VII, 15, 1039b 31).<ref name=abbagnano/>
 
==Dalla filosofia antica al pensiero moderno==
Nella [[filosofia antica]] il termine opinione è reso con {{polytonic|δόξα}}, intendendo con esso una conoscenza incerta opposta alla conoscenza scientifica (επιστήμη, [[episteme|epistème]]) più sicura.
 
[[Eraclito]] avverte gli uomini di usare la ragione e di non fidarsi dei sensi che generano l'opinione, una falsa visione personale della realtà:
{{Citazione|Pur essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza.<ref name=frammento2>Frammento 2.</ref>}}
 
Coloro che si affidano ai sensi sono immersi in un sonno che fa scambiare i sogni con la realtà. Gli "svegli" sanno invece che devono ricorrere a quel ''logos'' che è comune agli uomini e alle cose («Bisogna seguire ciò che è comune»<ref name=frammento2/>) permettendoci così di cogliere l'oggettività delle cose.
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Una rivalutazione dell'opinione è nei [[sofisti]] che ben sanno generarla tramite la parola che affascina e abbatte le convinzioni dell'interlocutore; nella relatività del sapere nessuno può credere di possedere la verità certa e quindi tutti siamo portatori di conoscenze opinabili.
{{Citazione|Non solo non esiste una verità assolutamente valida, ma l'unico metro di valutazione diviene l'[[individuo]]: per ciascuno è vera solamente la propria percezione soggettiva.<ref>Fabio Cioffi, ''I filosofi e le idee'', vol I pag.129, ed. B. Mondadori</ref> }}
 
Concorda con questa concezione il pensiero di [[Socrate]] che si differenzia però nel compito etico attribuito al dialogo inteso come ricerca in comune, e non sopraffazione sofistica, di una verità opinabile ma concordata che va rimessa sempre in discussione.
{{Citazione|...tra Socrate e i sofisti esiste un'affinità, nel senso che, per esprimerci schematicamente, sia l'uno che gli altri partivano da un modo di affrontare i problemi che è un modo, come si suol dire con un termine un po' tecnico, soggettivistico; cioè il criterio di verità è l'uomo, e non sono le cose. La differenza tra Socrate e i sofisti sta nel fatto che, mentre per i sofisti il criterio è l'opinione individuale - questa è la tesi di Protagora: "vero è ciò che tale sembra a ciascuno" -, Socrate cercava di andare oltre questo relativismo e questo individualismo, cercando di scoprire, di fare emergere dalle varie opinioni, dalle varie scelte, dai punti di vista, un consenso, un accordo, una ''homologhía'', dicevano i greci antichi, che costituisse qualche cosa di più stabile, e quindi più vero e più certo, che non le semplici opinioni individuali.<ref>[http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=485#7 Gabriele Giannantoni in Emsf]</ref>}}
 
[[Platone]] conferma l'identità tra opinione e apparenza e l’opposizione tra l'opinione e la verità ricercata dal filosofo. L'opinione però non va del tutto rigettata in quanto rappresenta il primo gradino della via verso la verità. Ben diverso infatti è il possesso della verità tra l'uomo che ama le cose belle (opinione) e colui che ama la bellezza (ἀλήθεια, aletheia, la verità); il primo giudica la bellezza secondo il proprio gusto soggettivo tramite la sua sensibilità contingente, mentre il filosofo consegue il concetto del bello valido sempre e per tutti gli uomini. Così nel [[mito della caverna]] gli uomini incatenati rappresentano la condizione comune di coloro che scambiano le ombre (opinione) per la realtà dei concetti universali.
 
Nell'età medioevale la fede (πίστις, pistis), che era considerata da Platone come una forma dell'opinione<ref>Fabio Ruggiero, ''La follia dei cristiani: la reazione pagana al cristianesimo nei secoli I-V'', Città Nuova, 2002 p.122</ref>, assume invece il valore di somma verità: «il solo bene che non è fallace e saldo è la fede in Dio.» <ref>[[Filone di Alessandria]], ''De Abrahamo'' 268</ref>
 
Il mondo sensibile viene rivalutato dal pensiero cristiano come creazione di Dio che opera sempre per il bene e quindi anche l'opinione rivolta al mondo fenomenico assume valore positivo come tale da rivelare nella natura la manifestazione di Dio.