A priori e a posteriori: differenze tra le versioni

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Le [[locuzioni latine|locuzioni]] [[lingua latina|latine]] '''''a priori''''' e '''''a posteriori''''', tradotte letteralmente, significano "da ciò che è prima" e "da ciò che viene dopo" sono riscontrabili nella forma latina per la prima volta nei commentatori di [[Aristotele]] ad indicare una conoscenza che proviene da ciò che già è ''prima'' (deduzione) diversa dal sapere che si raggiunge ''dopo'' aver fatto esperienza (induzione).
 
''A priori'' in filosofia è un termineconcetto che si riferisce a tutto ciò che si può conoscere indipendentemente dall'esperienza ed è quindi opposto a ''a posteriori'' che indica una conoscenza fondata su dati sensibili desunti dall'esperienza. <ref>[[Guido Calogero]], ''A priori'', Enciclopedia Italiana (1929)</ref>
 
==Filosofia antica e medioevale==
Nella storia della filosofia antica e medioevale i due terminiprincipi riguardano non solo i procedimenti conoscitivi ma assumono anche un significato metafisico che si riferisce alla differenza intercorrente tra il piano dell'essere e quello dell'esperienza. Così in Platone <ref>«Qualche studioso ha ravvisato nella reminiscenza delle idee la prima scoperta occidentale dell<nowiki>'</nowiki>''a priori''» una teoria che può essere accolta a patto che si distingua quello platonico dall'a priori kantiano che è di tipo soggettivo. Le idee platoniche infatti sono, come anche Rosmini pensava in polemica con la dottrina kantiana, un ''a priori'' oggettivo: esse infatti sono oggetto della mente che le contempla e che con la reminiscenza «''coglie'' non ''produce'' le idee, le coglie ''indipendentemente dall'esperienza'' anche se con il concorso dell'esperienza...» (in [[Giovanni Reale]], ''Il pensiero antico'', Vita e Pensiero, 2001 pp.140-141</ref> si distingueva tra il sapere rappresentato dalle ''idee'' e quello fenomenico empirico. Aristotele supera ogni concezione trascendente e distingue tra l'acquisizione del sapere universale tramite πρότερον πρός ἡμᾶς ("ciò che primo per noi"), cioè ciò che è più vicino alla sensazione, il particolare, dal πρότερον ϕύσει ("ciò che è primo per natura") vale a dire l’universale dell’intelletto, la causa. <ref>Aristotele, ''Analitici secondi'', I, 2</ref>
 
I filosofi medioevali arabi e successivamente gli scolastici ripresero questi concetti e distinsero la dimostrazione basata sull<nowiki>'</nowiki>''a priori'' come perfetta poiché inizia dalla causa per risalire all'effetto (demonstratio per quid), mentre è giudicata imperfetta quella ''a posteriori'', risalente dall'effetto alla causa (demonstratio quia). <ref>Enciclopedia Garzanti di Filosofia, 1977, alla voce "a priori-a posteriori"</ref>
 
Ancora nel secolo XIV le stessequeste espressioni si ritrovano in Alberto di Sassonia, seguace della filosofia di Occam:
{{Quote|''Demonstratio quaedam est procedens ex causis ad effectum et vocatur demonstratio a priori et demonstratio propter quid et potissima;... alia est demonstratio procedens ab effectibus ad causas et talis vocatur demonstratio a posteriori et demonstratio quia et demonstratio non potissima'' <ref>Cfr. Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, IV, Lipsia 1870, p. 78</ref>}}
 
==Filosofia moderna==
QuesteQuesti espressioniprincipi rimangono in uso nel senso dato dai filosofi medioevali sino al secolo XVII quando ad opera dei filosofi empiristi inglesi e dei razionalisti esse assumono un significato più ampio che è arrivato sostanzialmente sino ai nostri giorni: vale a dire che l<nowiki>'</nowiki>a priori rappresenta tutto ciò che si può conoscere indipendentemente dall'esperienza come ad esempio la matematica e la geometria mentre l<nowiki>'</nowiki>a posteriori è riferito a tutto il sapere basato sui dati sensibili assunti tramite l'esperienza.
Locke, Hume discutono sulla possibilità di una conoscenza a priori
Filosofi empiristi come Locke e Hume discutono sulla possibilità di una conoscenza a priori, concludendo che essa può riferirsi alle verità innate e necessarie. Hume designa l'a posteriori come "dati fatto" mentre l'a priori si basa su una "relazione di idee". Per Leibniz le verità desunte dall'a priori sono "verità di ragione" quelle tratte dall'esperienza sono "verità di fatto" estensive della conoscenza, ma non necessarie, senza cioè il rigore logico delle verità di ragione. <ref>''Enciclopedia Garzanti di Filosofia, ibidem''</ref>