Tecnica: differenze tra le versioni

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==== La riflessione heideggeriana====
Con [[Martin Heidegger]] abbiamo una profonda riflessione sulla tecnica <ref>M. Heidegger,''Che cos'è la metafisica?'' (1929)</ref><ref>M. Heidegger, ''Nietzsche'' (1936-46)</ref>. Sulla scia di Nietzsche, la tecnica è vista come l'esito destinale della civiltà Occidentale, dominata internamente dalla [[metafisica]]. L'[[esser-ci]] umano ha disimparato ad interrogarsi sul senso dell'[[essere]], per volgersi al mondo degli enti, delle cose, che, prima che belle o vere, si mostrano già preliminarmente come "essere-alla-mano" (''Zuhandenheit''), nella luce della loro utilizzabilità. Man mano che procede la presa di possesso dell'ente da parte dell'Uomo, l'autentico senso del mondo, che Heidegger identifica con l'essere dell'ente, si ritira sullo sfondo fino a farsi del tutto dimenticare ([[Ralph Waldo Emerson|Emerson]] dice che «ci furono offerte le opere e i giorni, e noi prendemmo le opere» e descrive l'allontanarsi dei Giorni). Infine l'essere si offre solamente come oggetto di manipolazione, ovvero nella luce della [[Volontà di potenza]], che a Heidegger pare il culmine della metafisica, ed il momento in cui essa si risolve nella tecnica.

Nietzsche viene letto come colui che conclude la metafisica, mettendone a nudo l'essenza nichilistica. Anche sul piano della [[società (sociologia)|società]] la tecnica costituisce l'ultimo atto della metafisica, quando oramai il mondo, nella sua totalità, si identifica con ciò che può essere conosciuto, dominato ed utilizzato. Tale destino è nichilistico, ovvero si apre un'epoca dove “''dell'essere non ne è più niente''” (come notoriamente afferma Heidegger): si è dimenticato non solo il senso dell'essere, ma persino che tale senso è andato perduto; l'umanità occidentale ha dimenticato non solo la risposta, ma anche la domanda. Il dominio sull'ente si rivela come fine a se stesso, sprovvisto di un orizzonte o un senso più ampio entro cui essere iscritto. Nella successiva ''Lettera sull'umanesimo'' (1947) Heidegger lega l'affermarsi della tecnica a quello del dominio del [[Soggetto (filosofia)|soggetto]], il cui senso recondito è la volontà di controllo totale sull'ente.
 
Successivamente Heidegger <ref>M. Heidegger, ''L'abbandono'', (1959)</ref> pare rivedere la propria posizione sulla tecnica: se quest'ultima è l'essenza del presente, tra le maglie del controllo totale sull'ente si dis-vela il senso dell'essere nell'epoca della tecnica. Il discorso di Heidegger ha ancora un taglio ontologico: la tecnica non viene vista solo nel suo rapporto con l'esserci, ma anche in se stessa come manifestazione-nascondimento dell'essere, e quindi come l'essenza stessa della nostra epoca in quanto ''epoké'', sospensione nel darsi dell'essere. Quindi una autentica (nel senso heideggeriano) interrogazione filosofica non può essere posta contro la tecnica, pena il precludersi del pensiero alla comprensione del senso dell'essere nell'epoca della tecnica. L'inquietudine che la tecnica moderna suscita nel filosofo viene positivamente assunta come "apertura al mistero dell'essere".