Marco Antonio Primo: differenze tra le versioni

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Ricevette nella sua fanciullezza il soprannome di ''Becco'', che indicava in [[lingua gallica|gallico]] il becco di un gallo.<ref>[[Svetonio]], ''Vita di Vitellio'' 18; [[Marco Valerio Marziale|Marziale]], IX 100.</ref> In seguito andò a [[Roma]] e raggiunse la dignità senatoriale; ma essendo stato condannando per falso (''falsum'') sotto la ''lex Cornelia'' durante il principato di Nerone, fu espulso dal [[Senato]] e bandito dalla città.<ref>[[Publio Cornelio Tacito|Tacito]], ''Annales'', XIV 40; [[Cassio Dione Cocceiano|Cassio Dione]], LXIV, 9.</ref>
 
Dopo la morte di [[Nerone]] ([[68]]), fu ristabilito nel rango di senatore da [[Servio Sulpicio Galba (imperatore romano)|Galba]] e fu inviato al comando della settima legione, che presidiava la [[Pannonia (provincia romana)|Pannonia]]. Si ritiene che abbia scritto ad [[Otone]], offrendogli di prendere il comando delle sue forze; ma poiché Otone rifiutò l'offerta, non lo appoggiò nella lotta contro [[Vitellio]]. Quando le fortune di quest'ultimo cominciarono a declinare ([[69]]), Antonio fu uno dei primi generali in Europa a dichiararsi a favore di [[Vespasiano]] rendendogli i favori più importanti.
 
Era ben qualificato per svolgere un ruolo importante in una guerra civile, essendo coraggioso nell'azione, pronto nel discorso, senza scrupoli nell'uso dei mezzi, ugualmente pronto a saccheggiare e corrompere nonché in possesso di considerevoli abilità militari. Fu grazie alla sua influenza che le legioni stanziate in [[Moesia]] ed in [[Pannonia (provincia romana)|Pannonia]] si schierarono con Vespasiano. Quando gli altri generali di Vespasiano erano dell'opinione che sarebbero dovuti rimanere in Pannonia ed attendere l'arrivo di [[Gaio Licinio Muciano|Muciano]], che stava marciando da est alla testa di un potente esercito di Vespasiano, Antonio al contrario sollecitò un'invasione immediata dell'Italia. La sua energia vinse tutte le opposizione.
 
Senza attendere che l'esercito fosse pronto, Antonio, con un piccolo corpo di truppe selezionate ed accompagnato da [[Arrio Varo]], che aveva guadagnato grande fama sotto [[Gneo Domizio Corbulone|Corbulone]] nella [[Campagne armeno-partiche di Corbulone|guerra contro gli Armeni]], attraversò le [[Alpi]] e si spinse in Italia. Qui ottenne grandi successi; conquistò parecchie città nella [[Gallia Transpadana]] ed a Patavium ([[Padova]]) fu raggiunto da due legioni che lo avevano seguito da nord. A Patavium concesse alle sue truppe un breve periodo di riposo, quindi marciò su [[Verona]], che conquistò.
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Intanto [[Cecina Alieno|Aulo Cecina Alieno]], che era stato inviato da Vitellio alla testa di grande esercito per contrastarlo, non adottò misure contro di lui, sembra al contrario che meditasse di tradire Vitellio e passare dalla parte di Vespasiano.<ref>Giuseppe Flavio, ''La guerra giudaica'', IV, 11.2.</ref> E così, nonostante le sue forze superiori, avrebbe potuto facilmente ricacciare Antonio via dall'Italia. Poco tempo dopo altre tre legioni attraversarono le Alpi e si unirono ad Antonio, ora alla testa di cinque legioni. La sua autorità tuttavia fu ripartita fra due generali di rango consolare, T. Ampio Flaviano, il governatore della Pannonia ed Aponio Saturnino, governatore della [[Moesia]]; ma un'insurrezione dei soldati lo liberò da questi rivali e li obbligò ad abbandonare l'accampamento. Antonio ostentò il grande indignazione per questi atti, ma molti credono che l'ammutinamento fosse stato istigato da lui per poter ottenere tutto il comando.
 
L'esercito di Cecina nel frattempo fu gettato in grande confusione dal tradimento del loro comandante, che aveva tentato di persuadere le sue truppe ad abbandonare Vitellio e abbracciare la causa di Vespasiano; ma non riuscendo nel suo tentativo, era stato gettato in catene e nuovi generali erano stati scelto dai soldati nel suo posto. Antonio decise di servirsi di queste circostanze favorevoli per attaccare immediatamente l'esercito di Vitellio. Di conseguenza partì dai suoi accampamenti a [[Verona]] ed avanzò fino a [[Bedriacum]], una piccola città a poca distanza da [[Cremona]]. A Bedriacum fu combattuta [[seconda battaglia di Bedriaco|la battaglia decisiva]]. L'imprudenza di Arrio Varo, che aveva attaccato il nemico troppo presto ed era stato respinto con molte perdite, gettò l'esercito di Antonio nella confusione e quasi causava la perdita della battaglia. Antonio riuscì ad arrestare la rotta dei suoi soltanto uccidendo uno dei suoi porta-stendardo che era in fuga e conducendo gli uomini contro il nemico tenendo lo [[Bandiera|stendardo]] con le sue proprie mani.
 
La vittoria alla fine fu per Antonio ed il nemico fuggì in gran confusione a Cremona, città da cui aveva marciato verso Bedriacum. Nella notte Antonio fu attaccato da un altro esercito di Vitellio, costituito di sei legioni, che avevano stazionato ad [[Hostilia]] ([[Ostiglia]]) e che erano state immediatamente inviate contro Antonio appena saputo della sconfitta dei loro camerati. L'abilità ed il valore di Antonio assicurarono di nuovo la vittoria alle sue truppe dopo un'altra dura battaglia. Alla mattina marciò contro Cremona, che fu obbligata ad arrendersi dopo una difesa vigorosa. L'infelice città fu saccheggiata e messa a fuoco. Dopo quattro giorni di saccheggio incessante, durante il quale furono perpetrate le atrocità più orribili, l'intera città era rasa al suolo.
 
Finora Antonio si era comportato con moderazione e cautela; ma, come accade frequentemente, il successo rivelò il suo carattere crudele e rese evidente la cupidità, l'orgoglio ed altri difetti. D'ora in poi trattò l'Italia come un paese conquistato e per mantenere la sua popolarità tra i soldati, concesse loro ogni genere di licenza. [[Muciano]], che era geloso del suo successo e che avrebbe desiderato riservare a sé la gloria di concludere la guerra, scrisse ad Antonio, suggerendogli cautela e invitandolo ad attendere, anche se scriveva le sue lettere in modo tale che la responsabilità di tutte le azioni fosse gettata su Antonio. Ma con gli ufficiali di Antonio si espresse più apertamente, cercando così di trattenere Antonio nell'Italia settentrionale.
 
Antonio, tuttavia, non aveva un temperamento da accettare tali interferenze e quindi scrisse a Vespasiano, esaltando le proprie imprese ed attaccando segretamente Muciano. Senza tener conto dei desideri di questi, attraversò gli [[Appennini]] nel mezzo dell'inverno e marciò diritto su Roma. Raggiunto [[Ocriculum]] si fermò per alcuni giorni. I suoi soldati, i cui appetiti erano stati stimolati dal sacco di Cremona e che erano impazienti di saziarsi con le spoglie di Roma, furono indignati di questo ritardo ed accusarono il loro generale di tradimento. È probabile che Antonio, che aveva visto che sarebbe stato difficile trattenere i suoi soldati, temesse di attirarsi l'odio generale ed la disistima di Vespasiano, se le truppe avessero saccheggiato la città imperiale. Ma qualunque fossero i suoi motivi o le sue intenzioni, accaddero circostanze che posero fine alla sua inattività. Arrivò infatti la notizia che [[Tito Flavio Sabino (console 47)|Tito Flavio Sabino]], il fratello di Vespasiano che ricopriva la carica di ''[[Praefectus Urbi]]'', si era rifugiato nel [[Campidoglio]] ed era assediato dalle truppe di Vitellio.