Assoluzione (religione): differenze tra le versioni

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"a peccata tua" è errato. La forma corretta è "a peccatis tuis"
"a peccata tua" sostituito con " a peccatis tuis"
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* "Possa la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, i meriti della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi, quello che di buono hai fatto o quello di cattivo che hai sofferto esserti favorevoli per la remissione di (tuoi) peccati, la crescita nella grazia e la ricompensa della vita eterna. Amen."
 
Nel decreto ''Pro Armenis'' del [[1439]], [[papa Eugenio IV]] spiegava che la "forma" del Sacramento è realmente in quelle parole del sacerdote: ''Ego absolvo te a peccatapeccatis tuatuis in nomine Patris'' ecc., e i teologi aggiunsero che l'assoluzione è valida ogni qualvolta il sacerdote usa le parole ''Absolvo te'', ''Absolvo te a peccatis tuis'', o parole che ne sono l'esatto equivalente. (Suarez, Disp., XIX, i, n. 24; Lugo, Disp., XIII, i, nn. 17, 18; Lehmkuhl, de Pœnit., 9ª edizione, 199).
Sebbene non escludano l'idea di una decisione giudiziale da parte del ministro, nelle chiese Orientali ([[Chiesa cattolica italo-greca|greca]], [[Chiesa greco-cattolica russa|russa]], [[Chiesa siriana cattolica|siriana]], [[Chiesa armeno-cattolica|armena]] e [[Chiesa cattolica copta|copta]]) le forme attualmente in uso sono deprecative.
La forma indicativa è necessaria? Molti dotti cattolici sembrano sostenere che la forma indicativa come attualmente usata nella Chiesa romana è anche necessaria per la validità del Sacramento della Penitenza. Il grande Dottore del Sacramento, [[Sant'Alfonso Maria de' Liguori|Sant'Alfonso]] (''De Sacra Pœnitentia'', n. 430), dichiara che non esiste alcuna questione su quello che può essere il verdetto dal punto di vista storico: è fin dal Concilio di Trento che la forma indicativa è essenziale. Anche San Tommaso e [[Francisco Suárez]] dichiarano che la forma indicativa è necessaria. Altri ugualmente dotti, e forse meglio versati nella storia, affermano che, alla luce dell'istituzione Divina, la forma deprecativa non possa essere esclusa, e che il Concilio di Trento nelle sue deliberazioni non intendesse dire l'ultima parola. Essi sostengono, con Morinus (''De Pœnitentia'', Lib. VIII), che fino al XII secolo la forma deprecativa fu impiegata sia ad oriente che ad occidente e che è tuttora in uso fra i greci e fra gli orientali in genere. Perciò, alla luce della storia e delle opinioni teologiche è perfettamente corretto concludere che la forma deprecativa non è certamente nulla, purché non escluda l'idea del pronunciamento giudiziale (Palmieri, Parergon, 127; Hurter, ''de Pœnitentia''; Duchesne, opera citata; Soto, Vasquez, Estius, ed altri). Comunque, i teologi si sono interrogati se la forma deprecativa fosse oggi valida nella [[Chiesa latina]], e fanno notare che [[papa Clemente VIII]] e [[papa Benedetto XIV]] hanno prescritto ai presbiteri di [[rito bizantino]] di usare la forma indicativa quando assolvono penitenti di [[rito latino]]. Ma la questione riguarda solo la disciplina, e tali decisioni non danno la risposta definitiva alla domanda teologica, dato che nelle questioni di amministrazione dei Sacramenti coloro che debbono decidere seguono semplicemente le idee più sicure conservatrici. Secondo Morinus e Tournely, comunque, oggi nella Chiesa Latina è valida solamente la forma indicativa (Morinus, ''De pœnitentia'', Lib. VIII; Tournely, ibidem, ''de absolutionis forma''); ma molti sostengono che se la forma deprecativa non esclude la pronunciazione giudiziale del sacerdote e, di conseguenza, è realmente equivalente all<nowiki>'</nowiki>''ego te absolvo'', non è certamente nulla, sebbene tutti siano d'accordo che sarebbe illecito contravvenire all'attuale disciplina della Chiesa romana. Altri, non pronunciando giudizi in merito, pensano che la [[Santa Sede]] abbia tolto la facoltà di assolvere a coloro che non usano la forma indicativa.