Credenza: differenze tra le versioni

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{{nota disambigua|l'oggetto di arredamento|[[Credenza (arredamento)]]}}
LaUna '''credenza''' è «l'atteggiamento di chi riconosce per vera una proposizione»,<ref>[[Nicola Abbagnano]], ''Dizionario di Filosofia'', UTET, 1998, p.&nbsp;243.</ref> ammettendone la validità sul piano della [[verità]] oggettiva, nel senso che credere in un enunciato ''p'' equivale ad affermare che ''p'' è vero, o quantomeno che ci sono buone ragioni per affermare che ''p'' è vero.<ref>F. Braga Illa, ''A proposito di rappresentazioni. Alla ricerca del senso perduto'', Edizioni Pendragon, 2006, p. 95.</ref>
 
Secondo quest'accezione, ne risulta una differenza di significato rispetto alla nozione di [[certezza]] e a quella di [[dubbio]]:
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Per [[Platone]] la credenza è una forma di conoscenza inferiore (''pistis''),<ref>Platone, ''Repubblica'', VI, 510 a.</ref> concernente le realtà sensibili, materiali, che compongono cioè quel mondo fenomenico fatto di copie delle [[Idee]] divine, di cui conservano soltanto una pallida sembianza. La credenza costituisce tuttavia il primo passo del processo di [[conoscenza]] che a partire da quella si evolve man mano verso l'intellegibile.
 
Per [[Aristotele]] la credenza è un correlato dell'[[opinione]], poiché avere un'opinione significa credervi.<ref>Aristotele, ''De anima'', III, 428 a 20.</ref> È quindi con [[Agostino d'Ippona]] che il termine consegue il significato che poi rimarrà immutato per secoli, quello di "[[pensiero]] con [[assenso]]",<ref>Agostino, ''De Praed. Sanct.'', 2.</ref> propedeutico alla comprensione intellettiva più elevata (''[[credo ut intelligam]]''). Più o meno negli stessi termini la pensa [[Tommaso d'Aquino]], che nella ''[[Summa Theologiae]]'' vede la credenza come l'essenza della [[fede]],<ref>Tommaso, ''Summa Theologiae'', II, 2, q. 2, a. 1.</ref> come ferma accettazione di un messaggio trascendente e vero, anche se dal punto di vista gnoseologico si tratta di una forma di [[conoscenza]] non del tutto perfetta, dal momento che essa prescinde dal ragionamento logico.
 
L'autorità della tradizione aristotelica e tomista si conserva attraverso la [[scolastica]], finché nel Seicento le prime avvisaglie del pensiero [[illuminismo|illuminista]] nella cultura britannica tenderanno a slegare gli aspetti fideistici della credenza dai processi cognitivi umani, come avviene ad esempio in [[John Locke]], che nella sua opera principale separa nettamente la [[conoscenza]] dalla credenza.<ref>Locke, ''Saggio sull'intelligenza umana'' IV, 16, 9.</ref> [[David Hume]], un secolo dopo, sottrae analogamente alla credenza qualunque contenuto [[ontologia|ontologico]] logicamente vincolante, sostenendo che essa sarebbe spesso una forma soggettiva di rafforzamento di nessi o istanze puramente immaginati,<ref>Hume, ''Ricerche sull'intelletto umano'', V, 2.</ref> per quanto egli affermi di essere un sincero credente nella [[religione]], nell'[[esistenza di Dio]] e nelle verità della [[Bibbia]].