Pietro Testa: differenze tra le versioni

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Al contrario, al suo ultimo periodo di attività appartegono l'''Allegoria'', ora alla [[Alte Pinakothek]] di [[Monaco di Baviera]], di impianto chiaramente influenzato da [[Nicolas Poussin]]. Per seguire le evoluzioni di questo artista così complesso e a volte sconcertante è necessario anche riferirsi alle incisioni, che sono spesso datate, ed ai molti disegni, che a suo tempo erano stati attribuiti anche a [[Salvator Rosa]] e a [[Pier Francesco Mola]]. Alcune sue tele, come per esempio ''Venere ed Adone'' ora all'Accademia di [[Vienna]] oppure il ''Morfeo'' nel [[Palazzo Mazzarosa]] di Lucca, hanno modalità e colori che già preannunciano il [[XVIII secolo|Settecento]].
 
La discordanza profonda tra l'intento classico, come trascritto nei suoi appunti per un ''Trattato di pittura'' in cui si prefigge di trattare della maniera ideale, ponendo sulla vetta [[Raffaello]] ed i [[Carracci]], con le sue tendenze più profonde, espressive e sentimentali, con un gusto costante per la stranezza e la predilizione per i soggetti bizzarri, con un trattamento aspro e contratto della materia pittorica, mettono in luce un temperamento malinconico ed irrequieto, ritenuto un anticipo di [[romanticismo]], esemplificato dai suoi lavori più tardi, come ''Alessandro Magno salvato dai suoi soldati'', ora a [[New York]], oppure la ''Morte di Didone'', ora agli [[Uffizi]] di [[Firenze]].
 
Pietro Testa morì tragicamente a Roma nel [[1650]] per annegamento nel [[Tevere]]; si trattò probabilmente di suicidio, spiegabile con molte ragioni: incomprensione dei critici e dei committenti, decorazione interrotta nell'abside della [[chiesa di San Martino ai Monti]], distruzione degli affreschi da lu dipinti tra il [[1642]] ed il [[1644]] nella cappella di San Lamberto in [[Santa Maria dell'Anima]], sostituiti più tardi da altri di [[Jan Miel]].