Libri sibillini: differenze tra le versioni

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<!-- IL MINUSCOLO DOPO LA FINE DI OGNI FRASE NON È UN ERRORE BENSÌ UNA LICENZA POETICA DELL'AUTORE-->
{{Citazione|I responsi Sibillini che, come prima abbiamo detto, è incerto da quale Sibilla siano stati scritti, sebbene [[Virgilio]] li attribuisca alla [[Sibilla Cumana|Cumana]], Varrone, invece, all'Eritrea. Ma consta che sotto il regno di Tarquinio una donna, di nome [[Amaltea]], abbia offerto al re stesso nove libri, nei quali erano scritti i fati e i rimedi di [[Roma]], ed abbia preteso per questi libri trecento filippi, che allora erano preziose monete auree. Costei respinta, dopo averne bruciato tre, ritornò un altro giorno e chiese altrettanto, ed egualmente il terzo giorno, dopo averne bruciati altri tre, ritornò con gli ultimi tre e ricevette quanto aveva chiesto, poiché il re era stato impressionato da questa stessa vicenda, cioè dal fatto che il prezzo restava immutato. Allora la donna non apparve all'improvviso. Quei libri si conservavano nel tempio di [[Apollo]], né soltanto quelli, ma anche quelli dei Marci e della ninfa Vegoe che aveva scritto presso gli [[Etruschi]] i ''libri fulgurales'': per cui aggiunse solo ''tuas sortes arcanaque fata''. E ciò riferisce il poeta.|''[[Servius Grammaticus]]'', [[In Vergilii Aeneida]]<ref>Serv In Verg. 6.72. Traduzione a opera di [[Gennaro Franciosi]]. Leges regiae pagg 199-200.</ref>. trad.: Gennaro Franciosi|''Sibyllina responsa, quae, ut supra diximus, incertum est cuius Sibyllae fuerint, quamquam Cumanae Vergilius dicat, Varro Erythraeae. sed constat regnante Tarquinio quandam mulierem, nomine Amaltheam, obtulisse ei novem libros, in quibus erant fata et remedia Romana, et pro his poposcisse CCC. philippeos, qui aurei tunc pretiosi erant. quae contempta alia die tribus incensis reversa est et tantumdem poposcit, item tertio aliis tribus incensis cum tribus reversa est et accepit quantum postulaverat, hac ipsa re commoto rege, quod pretium non mutabat. 'tunc mulierem subito non apparuisse'. qui libri in templo Apollinis servabantur, nec ipsi tantum, sed et Marciorum et Begoes nymphae, quae artem scripserat fulguritarum apud Tuscos: unde adidit modo 'tuas sortes arcanaque fata'. et hoc trahit poeta''.|lingua=la}}
 
I ''libri sibillini'' furono quindi affidati alla custodia di due membri [[Patrizio (storia romana)|Patrizipatrizi]] (''duumviri sacris faciundis''), che in seguito furono aumentati fino ad un numero di quindici, comprendendo fra essi anche cinque rappresentanti del popolo. Il loro ruolo consisteva nel consultare gli oracoli su richiesta del [[Senato romano|Senato]] (i lectisternia), per evitare di contrariare gli dèi con nuove imprese. I libri venivano conservati in una camera scavata sotto il [[Tempio di Giove Ottimo Massimo|tempio di Giove Capitolino]].
 
I libri bruciarono in un incendio nell'[[83 a.C.]] e si tentò di ricostruirli cercandone i testi presso altri templi e santuari. Queste nuove raccolte furono ricollocate nel [[tempio di Apollo Palatino]] grazie all'interessamento dell'imperatore [[Augusto (imperatore romano)|Augusto]].