Storia di Gela: differenze tra le versioni

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Nel [[406 a.C.]] un'armata [[cartagine]]se conquistò [[Agrigento]] e distrusse Gela, costringendone gli abitanti a riparare a Siracusa. Nel [[397 a.C.]], grazie alla protezione siracusana, la città venne ricostruita. Nel [[311 a.C.]] venne nuovamente devastata dai [[Cartagine]]si e nel [[282 a.C.]] distrutta definitivamente da [[Finzia]], tiranno di Agrigento, che ne spostò gli abitanti nella nuova città di "Finziade" (l'odierna [[Licata]]).
[[File:Agrigento-Tempio della Concordia01.JPG|thumb|Agrigento, Il Tempio della Concordia (440-430 a.C.)]]
A proposito di quest'ultimo evento, gli storiografi moderni propendono per una lettura maggiormente critica delle fonti<ref>Emanuele Zuppardo-Salvatore Piccolo, ''Terra Mater. Sulle sponde del Gela greco'', Betania Editrice, Caltanissetta 2005, pp. 162-163.</ref>, mostrando più attenzione ai presumibili condizionamenti ideologici degli storici dell'epoca. La versione di un Finzia così spietato nei confronti della madrepatria Gela, sarà stata certamente viziata dalla storiografia siracusana (detentrice, allora, del monopolio dell'informazione isolana), per puri interessi di propaganda bellica. A quel tempo Siracusa era in guerra contro Agrigento, e come sempre accade in ogni conflitto le parti tentavano di screditarsi a vicenda, per isolare politicamente l'avversario e fargli fallire alleanze in corso o da venire.<ref>Il passo di Diodoro, ''XXII, 2,6'', sembra avallare questa tesi: ''ma poiché'' [Finzia, ''ndr''] ''s'era dimostrato tanto sanguinario, tutte le città che erano sotto di lui si ribellarono e cacciarono le guarnigioni che vi aveva poste; e la prima delle città che si ribellarono fu Agirio''.</ref> Le evidenti incongruenze riscontrabili nel racconto della vicenda<ref>Prima fra tutte, l'incomprensibile donazione da parte del tiranno di Akragas di una nuova città alla comunità ''ghelòa'', che non poteva non essersi comportata in maniera ostile verso lo stesso “donatore” se questi alla fine si era risolto a radere al suolo la loro antica pόlis.</ref>, evidenzierebbero una paradossale incapacità di Finzia a valutare le sue giuste convenienze: da abile stratega qual era, non poteva non rendersi conto che la decisione di cancellare geograficamente l'antica colonia rodio-cretese gli sarebbe costata la perdita di un eccezionale "avamposto" e parecchi chilometri di territorio in direzione del nemico, a lui favorevoli dal punto di vista tattico. Oltretutto, è impensabile che il sovrano agrigentino non temesse un indebolimento delle sue [[Falange militare|falangi]] impiegandole anche su un altro versante di guerra, quello gelese. Ciò induce al sospetto che la cronaca siracusana abbia alterato la verità dei fatti, per rendere impopolare Finzia attribuendogli un crimine che, al contrario, era stato commesso da altri: dai [[Mamertini]], per esempio, una torma feroce e sanguinaria che rientrando da Agrigento<ref>I Mamertini, soldati mercenari di origine italica, erano scesi in Sicilia mettendosi al soldo di Agatocle, re di Siracusa. Morto questi, erano passati al servizio di Finzia, giungendo a rivoltarglisi contro e tentando, senza riuscirvi, di impadronirsi della stessa Agrigento.</ref> a Siracusa priva di bottino si era trovata a transitare per la città del golfo. Era il '''287 a.C.'''<ref>Sempre Diodoro, in ''XXIII,I'', ricorda che intorno a quell'anno la città aveva patito una devastazione proprio da parte dei Mamertini. Lo storico di Agira, vissuto duecento anni dopo questo episodio, avrebbe ripreso la notizia dagli ''Annali'' siracusani, i quali avranno sminuito le conseguenze di quell'evento per poi attribuire a Finzia la radicale distruzione della sua stessa madrepatria, che sapevano bene sarebbe stata ritenuta sacrilega in tutto il mondo greco. Ciò, infatti, nel rendere inviso il tiranno agrigentino alle città a lui federate (parecchie di queste lo abbandoneranno), finì per fargli mancare la forza necessaria a vincere la guerra contro i Siracusani.</ref>
 
In epoca [[Roma antica|romana]], Gela si era oramai ridotta ad un modesto villaggio, sebbene gli scrittori antichi ne ricordassero ancora il glorioso passato: [[Publio Virgilio Marone|Virgilio]], nell'[[Eneide]], cita i "''Campi Ghelòi''", e la città, inoltre, è ricordata da [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]], [[Strabone]] e [[Gaio Plinio Secondo|Plinio]].