Carta del Lavoro: differenze tra le versioni

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== L'approvazione della Carta del Lavoro ==
Il documento fu preparato e discusso una prima volta il 6 gennaio [[1927]], ma subisce una certa difficoltà a vedere la luce, per il dibattito in seno alle confederazioni fasciste dei lavoratori e dei datori di lavoro.<br />
Sebbene esse ritenessero di dover superare la lotta di classe in favore della collaborazione, le posizioni rimangono distanti ed il [[Gran consiglio del fascismo]] si trova costretto a moderare le varie istanze. Imponendo rinunce ad entrambi, il governo riesce a conciliare le parti: viene ad esempio respinto il minimo salariale per categoria, ma vengono accettate indennità di licenziamento, conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed assicurazioni sociali.
 
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Nonostante non avesse valore di legge o di decreto, non essendo allora il Gran consiglio organo di Stato ma di partito, esso fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30 aprile 1927.
 
Porta le firme del capo del governo, dei ministri, dei sottosegretari, dei dirigenti del partito, dei presidenti delle [[Corporativismo#Le_corporazioni_durante_il_regime_fascista|confederazioni professionali fasciste dei datori di lavoro e dei lavoratori]] e si compone di trenta [[assiomi]], o enunciazioni, numerati con cifre romane. Dichiara che ''il lavoro è un dovere sociale'' e che il suo fine è assicurare, assai più che la giustizia, la ''potenza della Nazione'', determinando il termine della [[lotta di classe]].
 
{{citazione|Nessun documento ufficiale ha mai affermato così chiaramente questa natura etica dello Stato in generale ed in specie rispetto all'attività economica, come la Carta del Lavoro nelle sue premesse fondamentali e in tutto lo spirito che la governa. La Nazione è una unità morale, politica ed economica” [...]. Noi crediamo di poter liberamente commentare aggiungendo: Unità politica ed economica, in quanto unità morale” (...). Così si integra e si illumina il concetto dello Stato...; così pure si integra e si illumina la figura del cittadino... che non è più una entità statica e uniforme..., ma agisce.. e nel lavoro trova la sua concreta funzione e il suo posto nella vita, l'uomo è cittadino: al cospetto di quello stesso valore morale in cui consiste la sua unità|Giovanni Gentile, rivista mensile di cultura politica “Educazione fascista”}}