Yoga Sūtra: differenze tra le versioni

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Nella filosofia del [[Sāṃkhya]], che come si è detto Patañjali adotta, ''citta'' è l'insieme formato da ''buddhi'' (l'intelletto; l'intelligenza discriminante), ''ahamṁkāra'' (il senso dell'Io; l'Ego), ''manas'' (la mente; il senso interno che sovrintende agli altri dieci sensi, i cinque di percezione e i cinque di azione). Il filosofo e mistico [[Vivekananda]] usa il termine "materiale mentale" (''mind-stuff'') per tradurre ''citta'', l'insieme costituito dalle suddette tre categorie del Sāṃkhya. Quando uno stimolo giunge al ''citta'' vengono prodotte le ''vṛtti'', e tutto ciò che ordinariamente noi conosciamo non è che una reazione a quegli stimoli: le ''vṛtti'' sono il nostro universo. Tacitare queste ultime consente al ''citta'' di tornare a quello stato di purezza cui naturalmente tende, il che è poi il fine dello Yoga espresso nella terminologia del Sāṃkhya.<ref>Vivekananda, ''Op. cit.'', commento a I.2.</ref>
 
Il maestro yoga [[B. K. S. Iyengar]] preferisce tradurre ''citta'' con "coscienza", essendo essa veicolo dell'osservazione, dell'attenzione e della ragione.<ref>B.K.S. Iyengar, ''Commento agli Yoga Sūtra di Patañjali'', ''Op. cit.'', p. 65. Così anche l'orientalista italiano [[Leonardo Vittorio Arena]], in Patañjali, ''Yogasutra'', BUR, 2014, p. 7.</ref>
 
Cinque sono gli stati psicomentali (I.6): giusta conoscenza (la mente, tramite la [[percezione]], l'[[inferenza]] e l'autorità<ref>Nella chiosa a I.7 il filosofo Vivekananda spiega che qui si vuol intendere l'autorità (''āptavākya'') di uno Yogi "che ha visto la verità", per esempio l'autore di scritture sacre (Vivekananda, ''Patanjali's Yoga Aphorisms'', ''Op. cit.'').</ref>, produce pensieri non contraddittori); errore (la mente costruisce pensieri non aderenti alla realtà); [[astrazione (filosofia)|astrazione]] (la mente si astrae dalla [[realtà]] e tenta di descriverla verbalmente); [[sonno]] (la mente elabora in assenza di oggetti concreti); [[memoria (psicologia)|memoria]] (la mente rievoca esperienze precedenti).<ref name=MAEM>M. Angelillo – E. Mucciarelli, ''Op. cit.'', pp. 93-103.</ref> La pratica costante (I.12) permette di inibire questi possibili stati della mente.