Mimesi: differenze tra le versioni

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Il termine '''mimèsi''' deriva dal [[lingua greca antica|greco]] μίμησις (''mìmesis'') e ha il significato generico di "imitazione", "riproduzione" e con la derivazione da ''miméomai'' (rappresento) e ''mimos'' (mimo, attore) acquista il senso specifico di "rappresentazione teatrale" <ref>''Enciclopedia Garzanti di Filosofia'', (1987) alla voce corrispondente</ref>.
 
==Platone==
Per [[Platone]] occorre distinguere la ''eidolopoietikè mimesis'', la produzione di false immagini (idoli) che imitano le cose, e l<nowiki>'</nowiki>''autopoietikè'', la produzione delle cose stesse come simulacri che imitano la realtà delle forme ideali.
 
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*in ''fantastica'' quando produce simulacri (''phantasmata''), copie illusorie che si ottengono ad esempio nella "pittura ad ombre" <ref>Victor I. Stoichita, ''Breve storia dell'ombra. Dalle origini della pittura alla Pop Art'', Il Saggiatore, 2008 ''passim''</ref> utilizzando anche la prospettiva per ingannare lo spettatore <ref>Platone, ''Sofista'', 235d-236c, 265a e sgg.</ref>. Quest'arte dell'inganno è tipica della sofistica mentre la mimesi icastica è dell'artefice divino del cosmo che crea le cose come copie fedeli dei modelli ideali eterni <ref>Platone, ''Timeo'', 50c 5 e 49a 1</ref>
 
Aristotele vedeva l'origine di questa concezione platonica della mimesi icastica nelle dottrine pitagoriche che consideravano le cose sensibili come copie che riproducevano fedelmente i numeri eterni <ref>Aristotele, ''Metafisica'', I 6, 987b 10 e sgg.</ref>. In realtà Platone più che di imitazione parla di partecipazione ([[metessi]]) delle cose alle idee volendo affermare il principio della razionalità nella costituzione divina del mondo.
 
Nella mimesi artistica Platone poi parla nel II e III libro della ''Repubblica'' non di artisti ma di artigiani che dovrebbero collaborare, producendo e imitando oggetti che non si trovano in natura, con le altre due classi dei guardiani e dei filosofi al benessere dello Stato. Questi imitatori per Platone sono quelli «si occupano di figure e di colori o di musica, poeti con i loro valletti, rapsodi, attori, coreuti, impresari, fabbricanti di ogni sorta di suppellettili oggetti per diversi usi, soprattutto per la moda femminile» <ref>Platone, ''Repubblica'', 373 c ; tr. it. a cura di M. Vegetti, Laterza, Roma–Bari 2005, p. 81.</ref>. Il pittore, lo scultore, il poeta però non producono oggetti utili ma semplicemente copie e quindi si pone il problema se essi possano far parte dello Stato ideale. La risposta affermativa è condizionata al fatto che la loro attività sia utile alla buona educazione dei cittadini. Quando i bambini ascoltano le storie di Omero «il giovane non è in grado di giudicare ciò che è allegoria e ciò che non lo è» <ref>Platone, ''op.cit'' p.87</ref> e poiché «tutte le impressioni che riceve a tale età divengono in genere incancellabili e immutabili» <ref>Platone, ''op.cit. ibidem''</ref>,è «assai importante che le prime cose udite dai giovani siano favole narrate nel miglior modo possibile con l’intento di incitare alla virtù» ibidem''</ref>.
 
Quindi non una generica condanna dell'arte in quanto imitazione di un'imitazione ma l'accettazione di essa condizionata d un'utile funzione pedagogica da valutare attraverso un'attento giudizio censorio che se negativo, anche per valutazioni metafisiche e gnoseologiche, può portare all'espulsione dallo Stato <ref>Platone, ''Repubblica'', X libro</ref> dei poeti e dei pittori, «imitator[i] dell’oggetto di cui gli altri sono artigiani» <ref>Platone, ''op.cit.'' p.318</ref> dallo Stato. <ref>Platone, ''Repubblica'', X libro</ref>
 
==Aristotele==
 
==Note==