La finestra di Alice: differenze tra le versioni

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== L’alterità, un riscatto possibile: La finestra di Alice di Carlo Sarti ==
 
di Maurizio Fabbri
 
Accade a chiunque, nel corso della propria esistenza, di trovarsi ad essere o a comportarsi come un sistema chiuso, incapace di aprirsi al mondo e alle sue sollecitazioni e di proiettarsi verso nuovi orizzonti. Quando questo succede, la vita si risolve nel cercare un rifugio, un porto sicuro, nel quale l’esistenza di ciascuno si limita a sperimentare la consolazione di non essere sul mare in tempesta in una barca prossima ad affondare: spettatori del naufragio altrui, per riprendere la nota metafora di Lucrezio.
L’illusione di essere spettatori della vita, anziché protagonisti, tuttavia è effimera e transitoria, anche nel più confortevole e protettivo dei rifugi: per chiunque, viene il momento in cui il rifugio cessa di essere tale e il mondo con i suoi pericoli torna ad avvicinarsi… Ebbene, in quel momento, in cui tutto si complica e l’ansia torna a implementarsi, l’esistenza si fa di nuovo interessante, per le opportunità di azione e di protagonismo che ancora ci offre.
Non è per scelta, dunque, che diveniamo talvolta artefici della nostra esistenza, ma per necessità e, spesso, in conseguenza di un “dono non richiesto”: come quello che la neocorteccia ha portato nell’evoluzione del Sapiens Sapiens, dice Arthur Koestler, inducendo la specie umana a compiere salti evolutivi che l’hanno resa protagonista della propria storia, ma anche costitutivamente a disagio con se stessa, nostalgica delle proprie origini limbiche e rettiliane.
Ebbene, il dono non richiesto è l’architrave della trama di quest’ultimo film di Carlo Sarti: è il dono di Fabio Fernandez a …, che il secondo respinge con forza e a più riprese, quando invece costituisce l’unico elemento in grado di salvargli la vita. Se nel film precedente, Good bye Mister Zeus, il protagonista si salva da solo, ne La finestra di Alice si salva nonostante se stesso, grazie all’intervento non voluto e non programmato di un agente esterno. Le dimensioni della salvezza, tuttavia, risultano appena accennate, non chiaramente delineate: apparentemente, non vi è alcuna intenzionalità nei comportamenti di quell’intruso che entra quasi a forza nella sua vita, imponendosi come inquilino, amico, rivale e profittatore, eppure, alla fine del film tutti i suoi comportamenti si armonizzano l’uno con gli altri e compongono un mosaico che pare convergere verso un’unica e ben precisa finalità.
Mentre Good bye Mr Zeus era girato a Bologna, La finestra di Alice si spalanca sulle vie più nascoste di Piacenza. In un caso come nell’altro, la città si sottrae allo sguardo dello spettatore nell’attimo stesso in cui gli si rivela. Le inquadrature scompongono gli spazi in angoli e frammenti che non restituiscono mai il volto intero dell’urbe. I luoghi scelti sono, paradossalmente, privi di identità propria e, per quanto mirabili, potrebbero trovarsi in qualunque altra parte del mondo, a Londra come a New York. Proprio per questo, luoghi in cui tutti possiamo riconoscerci ed ambientare le trame della nostra esistenza, al di là e al di fuori dei confini d’appartenenza.
L’ambiente vero del film non è lo spazio, ma il tempo, anzi, il tempo vissuto e dell’interiorità, che si dipana nel suo dare voce alle storie di formazione dei soggetti: molta psicoanalisi scorre sotto i film di Carlo Sarti, dove le dimensioni della temporalità sembrano smarrire i legami con lo spazio e restituirli sotto forma di sguardi allucinati che stravolgono la realtà nell’attimo stesso in cui l’osservano. Al tempo stesso, tuttavia, la narrazione è piana e lineare, lo stile del racconto lieve, come nella miglior commedia. Gli elementi di profondità della trama affiorano appena e costituiscono una sorta di retrogusto che, per essere apprezzato, non deve prendere il sopravvento sull’atto della fruizione.
Un’opera, questa, di Carlo Sarti, che, al pari di quella precedente, guarda alla miglior commedia americana ed europea: si respirano le influenze di Woody Allen, Benigni e Almodovar, ma il risultato finale è una felice alchimia che amalgama, senza citare. L’unica citazione è una breve, simpatica, sequenza, nella quale si fa omaggio alla comicità di Stanlio e Olio: il resto si dipana sul filo di un humour elegante e raffinato il cui tono è sempre alto, mai prosaico, pur nelle concessioni agli elementi di visceralità che contribuiscono a vivacizzare la narrazione.
 
(testo di Maurizio Fabbri - per gentile concessione dell'autore)