Deindustrializzazione: differenze tra le versioni
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Nel 1989 ebbi uno scambio con l’allora incaricato [[Presidente del Consiglio]] che era [[Giulio Andreotti]], il quale mi disse: “Dobbiamo cambiare l’[[economia italiana]] perché così non può andare avanti, ci dia una mano”. Io mi misi a disposizione e mi fecero incontrare con il suo braccio destro il quale, come è noto, mi chiese: “Che cosa devo fare per cambiare l’economia di questo Paese?”. Dissi: “Guardi, lei si faccia nominare dal prossimo [[Governo]] al Ministero del Bilancio e mi metta in mano tutta la struttura. Al resto ci penso io”. Poi me ne andai, pensando insomma che non sarebbe successo niente. E invece mi chiamò, dopo qualche settimana, e mi disse: “Guardi, sono Ministro del Bilancio” e mi mise a capo di tutta la struttura. Per cui io, nell’autunno del 1989 cominciai a cambiare l’economia di questo Paese. Nel senso perlomeno di rallentare il processo dell’Europa. Poi io ho avuto la buona scuola di Federico Caffè… non ero un euroscettico, però non ero neanche un euroestremista. Insomma, pensavo che l’Italia dovesse anche guardare all’Europa, ma con i suoi tempi, le sue caratteristiche, le sue peculiarità, per cercare di recuperare un po’ di sovranità monetaria etc.
In effetti io lì lavorai due o tre mesi e poi successe l’inferno. Arrivarono al [[Ministro del Tesoro]], [[
C’erano fondamentalmente, contro la [[spesa pubblica]], contro la classe politica del tempo, contro la [[sovranità monetaria]] – per quello che comporta – due correnti. Una era interessata soprattutto ai grandi business delle [[privatizzazioni]] e delle [[liberalizzazioni]]. Hanno guadagnato distruggendo l’industria pubblica: c’erano aziende che venivano vendute al loro valore di magazzino, e quindi come andavano in borsa ovviamente alzavano la loro quotazione. Poi c’erano gli altri, che erano magari in buona fede, cioè avevano l’obiettivo di moralizzare il Paese. In entrambi i casi la contropartita è stata negativa: abbiamo perso quel’abbrivio strategico che avevamo nell’ambito della nostra industria. Quindi in sostanza la nostra classe dirigente ha accettato una prospettiva di deindustrializzazione del nostro Paese.
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