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Lo Stato provvide ad eliminare questo contratto, in capo a beni delle amministrazioni e le aziende autonome dello stato, comprese l'amministrazione del fondo per il culto, l'amministrazione del fondo di beneficenza e di religione nella città di Roma e l'amministrazione dei patrimoni riuniti ex economali, per [[antieconomicità]], nel 1974 con la “Rinuncia ai diritti di credito inferiori a lire mille”,<ref>[http://demaniocivico.blogspot.com/2008/11/legge-29-gennaio-1974-n-16-abrogata.html Legge 29 gennaio 1974, n. 16]</ref> con la quale, oltre “alla chiusura delle partite di credito” si provvide anche alla cancellazione dell'annotazione in Catasto, dando comunicazione agli uffici interessati dell'avvenuta estinzione del contratto e lasciando così gli ex livellari proprietari a tutti gli effetti dei terreni che erano stati concessi a livello ai loro antenati.
 
Come confermato dalla Corte dei Conti,<ref>[http://demaniocivico.blogspot.com/2010/09/corte-dei-conti.html delibera/parere n.18/2006]</ref> tale legge 16/1974 non è applicabile ai beni comunali: "''É da ricordare che con la legge n.16 del 1974 alle Amministrazioni ed alle Aziende autonome dello Stato, ivi comprese l'Amministrazione del fondo per il culto, l'Amministrazione del fondo di beneficenza e di religione nella città di Roma e l'Amministrazione dei patrimoni riuniti ex economati, venne data la facoltà di rinunciare ai diritti di credito inferiori a lire mille costituiti da canoni enfiteuci, censi livelli ed altre prestazioni in denaro o in derrate derivanti da rapporti perpetui reali e personali costituiti anteriormente alla data del 28 ottobre 1941''".
Come confermato dalla Corte dei Conti,<ref>[http://demaniocivico.blogspot.com/2010/09/corte-dei-conti.html delibera/parere n.18/2006]</ref> tale legge 16/1974 non è applicabile ai beni comunali: "è da ricordare che con la legge n.16 del 1974 alle Amministrazioni ed alle Aziende autonome dello Stato, ivi comprese l'Amministrazione del fondo per il culto, l'Amministrazione del fondo di beneficenza e di religione nella città di Roma e l'Amministrazione dei patrimoni riuniti ex economati, venne data la facoltà di rinunciare ai diritti di credito inferiori a lire mille costituiti da canoni enfiteuci, censi livelli ed altre prestazioni in denaro o in derrate derivanti da rapporti perpetui reali e personali costituiti anteriormente alla data del 28 ottobre 1941. La lettera della legge è chiara: i destinatari di essa sono unicamente le Amministrazioni e le Aziende autonome dello Stato. Tale interpretazione è confortata dai relativi atti parlamentari (atto Senato della Repubblica n.365; atti Camera dei Deputati n.2460; IV legislatura) che, benché scarni, sono chiari sul punto. La legge nasceva da un disegno di legge presentato dal Ministero delle Finanze del tempo, la cui relazione di accompagnamento partiva dalla rilevazione che numerose partite di credito, iscritte nei libri debitori degli Uffici del registro derivanti da rapporti perpetui reali e personali, prevedano la corresponsione di prestazioni di modesto importo, di difficile gestione ed antieconomica. Si faceva, in particolare, riferimento a partite iscritte presso l'Amministrazione delle Finanze e presso l'Amministrazione del fondo per il culto. Va osservato che detta legge determinava l'estinzione del diritto in base al quale lo Stato aveva titolo a riscuotere canoni, censi, livelli ed altre prestazioni, talché le amministrazioni interessate legittimamente potevano rinunciare al diritto di riscuotere detti crediti. Tale essendo rimasta la situazione sotto il profilo legislativo, è da domandarsi se sulla base di detta disposizione anche gli enti locali, non espressamente ivi menzionati, possono ritenersi facoltizzati a rinunciare, anche nei limiti di somma sopra richiamati, alla riscossione di canoni, censi, livelli o altro del genere di cui siano titolari. Al riguardo, con riferimento al principale interrogativo posto dal Comune, va affermato che '''non appare giustificato che l'Ente, sulla base di quanto disposto dalla citata legge n.16 del 1974, deliberi in via autonoma e generalizzata l'estinzione di rapporti perpetui e personali, cui è collegata la titolarità dell'Ente relativamente a canoni e livelli e posti a carico di cittadini titolari di diritti reali'''. Va ricordato che i canoni ed i livelli, di che trattasi, in genere nell'Italia meridionale derivano dalla allodiazione di antiche proprietà collettive che, come tali, godono della imprescrittibilità nonché della inalienabilità e della inusucapibilità. Il Comune, in quanto rappresentante della comunità e referente di tali antiche proprietà collettive, o meglio di quanto rimane di esse dal punto di vista pubblicistico, è titolare di censi, livelli, canoni o altre prestazioni similari, indipendentemente dalla esistenza o meno del titolo di proprietà in testa al comune del singolo immobile. Si tratterebbe peraltro di rinunzia unilaterale, non espressamente prevista dalla norma di legge invocata, che, in quanto derogatoria rispetto ai principi generali posti a tutela della proprietà pubblica, non è suscettibile di interpretazione analogica. Il che non toglie che sia avvertita l'esigenza che l'Ente richiedente, anche in collaborazione con gli Uffici regionali competenti in materia, provveda ad una ricognizione delle singole diverse posizioni relativamente alle quali risulti titolare di canoni, censi, livelli o altre pretese del genere, al fine della riscossione degli stessi o della loro affrancazione su iniziativa di chi è soggetto a tali oneri e con le modalità proprie di quest'ultimo istituto."
 
La lettera della legge è chiara: i destinatari di essa sono unicamente le Amministrazioni e le Aziende autonome dello Stato. Tale interpretazione è confortata dai relativi atti parlamentari (atto Senato della Repubblica n.365; atti Camera dei Deputati n.2460; IV legislatura) che, benché scarni, sono chiari sul punto. La legge nasceva da un disegno di legge presentato dal Ministero delle Finanze del tempo, la cui relazione di accompagnamento partiva dalla rilevazione che numerose partite di credito, iscritte nei libri debitori degli Uffici del registro derivanti da rapporti perpetui reali e personali, prevedano la corresponsione di prestazioni di modesto importo, di difficile gestione ed antieconomica. Si faceva, in particolare, riferimento a partite iscritte presso l'Amministrazione delle Finanze e presso l'Amministrazione del fondo per il culto. Va osservato che detta legge determinava l'estinzione del diritto in base al quale lo Stato aveva titolo a riscuotere canoni, censi, livelli ed altre prestazioni, talché le amministrazioni interessate legittimamente potevano rinunciare al diritto di riscuotere detti crediti.
La Legge 16/1974 è stata successivamente abrogata dal [http://demaniocivico.blogspot.com/2008/11/legge-29-gennaio-1974-n-16-abrogata.html D.L. 25/06/2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla Legge 06/08/2008, n. 133].
 
Come confermato dalla Corte dei Conti,<ref>[http://demaniocivico.blogspot.com/2010/09/corte-dei-conti.html delibera/parere n.18/2006]</ref> tale legge 16/1974 non è applicabile ai beni comunali: "è da ricordare che con la legge n.16 del 1974 alle Amministrazioni ed alle Aziende autonome dello Stato, ivi comprese l'Amministrazione del fondo per il culto, l'Amministrazione del fondo di beneficenza e di religione nella città di Roma e l'Amministrazione dei patrimoni riuniti ex economati, venne data la facoltà di rinunciare ai diritti di credito inferiori a lire mille costituiti da canoni enfiteuci, censi livelli ed altre prestazioni in denaro o in derrate derivanti da rapporti perpetui reali e personali costituiti anteriormente alla data del 28 ottobre 1941. La lettera della legge è chiara: i destinatari di essa sono unicamente le Amministrazioni e le Aziende autonome dello Stato. Tale interpretazione è confortata dai relativi atti parlamentari (atto Senato della Repubblica n.365; atti Camera dei Deputati n.2460; IV legislatura) che, benché scarni, sono chiari sul punto. La legge nasceva da un disegno di legge presentato dal Ministero delle Finanze del tempo, la cui relazione di accompagnamento partiva dalla rilevazione che numerose partite di credito, iscritte nei libri debitori degli Uffici del registro derivanti da rapporti perpetui reali e personali, prevedano la corresponsione di prestazioni di modesto importo, di difficile gestione ed antieconomica. Si faceva, in particolare, riferimento a partite iscritte presso l'Amministrazione delle Finanze e presso l'Amministrazione del fondo per il culto. Va osservato che detta legge determinava l'estinzione del diritto in base al quale lo Stato aveva titolo a riscuotere canoni, censi, livelli ed altre prestazioni, talché le amministrazioni interessate legittimamente potevano rinunciare al diritto di riscuotere detti crediti. Tale essendo rimasta la situazione sotto il profilo legislativo, è da domandarsi se sulla base di detta disposizione anche gli enti locali, non espressamente ivi menzionati, possono ritenersi facoltizzati a rinunciare, anche nei limiti di somma sopra richiamati, alla riscossione di canoni, censi, livelli o altro del genere di cui siano titolari. Al riguardo, con riferimento al principale interrogativo posto dal Comune, va affermato che '''non appare giustificato che l'Ente, sulla base di quanto disposto dalla citata legge n.16 del 1974, deliberi in via autonoma e generalizzata l'estinzione di rapporti perpetui e personali, cui è collegata la titolarità dell'Ente relativamente a canoni e livelli e posti a carico di cittadini titolari di diritti reali'''. Va ricordato che i canoni ed i livelli, di che trattasi, in genere nell'Italia meridionale derivano dalla allodiazione di antiche proprietà collettive che, come tali, godono della imprescrittibilità nonché della inalienabilità e della inusucapibilità. Il Comune, in quanto rappresentante della comunità e referente di tali antiche proprietà collettive, o meglio di quanto rimane di esse dal punto di vista pubblicistico, è titolare di censi, livelli, canoni o altre prestazioni similari, indipendentemente dalla esistenza o meno del titolo di proprietà in testa al comune del singolo immobile. Si tratterebbe peraltro di rinunzia unilaterale, non espressamente prevista dalla norma di legge invocata, che, in quanto derogatoria rispetto ai principi generali posti a tutela della proprietà pubblica, non è suscettibile di interpretazione analogica. Il che non toglie che sia avvertita l'esigenza che l'Ente richiedente, anche in collaborazione con gli Uffici regionali competenti in materia, provveda ad una ricognizione delle singole diverse posizioni relativamente alle quali risulti titolare di canoni, censi, livelli o altre pretese del genere, al fine della riscossione degli stessi o della loro affrancazione su iniziativa di chi è soggetto a tali oneri e con le modalità proprie di quest'ultimo istituto''."
 
La Legge 16/1974 è stata successivamente abrogata dal D.L. 25/06/2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla Legge 06/08/2008, n. 133.<ref>[http://demaniocivico.blogspot.com/2008/11/legge-29-gennaio-1974-n-16-abrogata.html D.L. 25/06/2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla Legge 06/08/2008, n. 133].</ref>
 
Quando, negli anni novanta del Novecento, i comuni fecero l'inventario dei loro beni, si ritrovarono ad essere [[concedenti livellari]] e riscoprirono il diritto di esigere un censo dai terreni livellari. Perciò molti comuni, deliberarono di ristabilire quel censo aggiornato, dando la possibilità ai livellari di richiederne l'[[affrancazione]] secondo le norme dell'attuale Codice Civile, cioè quelle dell'enfiteusi.
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Oggi in molti comuni il contratto di livello è vissuto come un problema di difficile soluzione per il semplice motivo che non si effettua una valida ricostruzione storico/giuridica, vista la definizione di tale istituto data da Silvio Pivano.
 
Anche se si legge negli articoli de "''Il sole 24 Ore''" l'affermazione secondo cui “''I comuni che hanno conservato il diritto a riscuotere il canone, ma non abbiano continuato a riscuotere i canoni ed esercitato la [[ricognizione del proprio diritto]], ogni diciannove anni, ai sensi dell'art. 969 del Codice Civile, hanno perso il diritto a riscuotere il canone, in quanto si è [[usucapione|usucapito]] non la proprietà già di pertinenza del legittimario, ma l'[[debenza|obbligo di debenza]] dei canoni''" ,<ref>(Avvocatura generale dello Stato, parere consultivo riferito all'Agenzia, CS 2749/02 del 15 aprile 2004), (Il Sole 24 Ore, rubrica L'Esperto risponde, ques. n. 229634 – rub. 140).</ref>, tale affermazione è del tutto priva di fondamento e contraria alle norme in vigore: il diritto del concedente a riscuotere il canone non si estingue per usucapione per il preciso disposto dell'art. 1164 del Codice Civile; si può usucapire solo il diritto dell'enfiteuta, mentre il dominio diretto è imprescrittibile; ai sensi dell'art. 1164 del Codice Civile (e prima ancora l'art. 2116 del vecchio Codice Civile abrogato), l'enfiteuta non può usucapire il diritto del concedente; secondo svariate pronunce della cassazione (4231/76 - 323/73 - 2904/62 - 2100/60 - 177/46), tutte concordi, "'''''l'omesso pagamento del canone, per qualsiasi tempo protratto, non giova a mutarne il titolo del possesso, neppure nel singolare caso sia stata attribuita dalle parti efficacia ricognitiva'''''.".
L'esercizio del potere di ricognizione di cui all'art. 969 si applica solo per le enfiteusi a tempo (casi singolari), e non riguarda quindi le enfiteusi perpetue: ai sensi dell'art. 958 del Codice Civile le enfiteusi sono perpetue quando non viene stabilita la durata; le enfiteusi in cui non viene fissato un termine sono a tutti gli effetti perpetue; come tali, non va esercitato nessun potere di ricognizione in quanto, ai sensi dell'art. 1164 del Codice Civile, se non muta il titolo del possesso dell'enfiteuta, tale enfiteuta non può usucapire la proprietà e quindi il canone non è prescritto; la ricognizione è un diritto riconosciuto al concedente (e non un dovere) per impedire all'ex enfiteuta (ma solo per le enfiteusi a tempo, dopo la loro scadenza) di usucapire il terreno. "Trattasi, quindi, di una mera facoltà e non di un obbligo, nel senso che il concedente, se non vuole esercitarla, non perde, per ciò solo, il suo diritto sulla cosa" (Cassazione n. 2904 del 10/10/1962).