Francesco Berni: differenze tra le versioni

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Tornato a Roma, vi trovava una frotta di ammiratori e imitatori ([[Giovanni Della Casa]], [[Francesco Maria Molza]], Giovan Francesco Bini, [[Agnolo Firenzuola]], Mattio Franzesi ecc.), raccolti nella cosiddetta Accademia dei Vignaiuoli.<ref>Vedi Danilo Romei, ''Roma 1532-1537: accademia per burla e poesia "tolta in gioco"'', in Id., ''Berni e berneschi del Cinquecento'', Firenze, Centro 2 P, 1984, pp. 49-135; poi in Id., ''Da Leone X a Clemente VII'', cit., pp. 205-266. Vedi anche Silvia Longhi, ''Lusus. Il capitolo burlesco nel Cinquecento'', Padova, Antenore («Miscellanea erudita», XXXVIII), 1983.</ref> Da qui si diffonde il genere della poesia bernesca. Fra le sue ultime prove va citato almeno il ''Capitolo a fra Bastian dal Piombo'', per la sua esaltazione della poesia di [[Michelangelo Buonarroti|Michelangelo]] contrapposta alla vanità della poesia dei petrarchisti: «tacete ''unquanco'', ''pallide viole'' / e ''liquidi cristalli'' e ''fiere snelle'': / e' dice cose e voi dite parole» (vv. 29-31).
 
La sua vita e la sua opera sono arruffate e contraddittorie. Dietro la sua maschera giocosa visse con tormento il conflitto fra ciò che era (un omosessuale) e ciò che doveva e voleva essere (un buon cristiano). A essere un buon cristiano non riuscì mai; eppure ci provò, specialmente quando, «fatto teatino e romito» e «digiunando in pane et in acqua» seguì a Verona un uomo «dabbene» per vedere se il suo esempio poteva sconfiggere la sua «poltroneria».<ref>Lettera alla duchessa Caterina Cybo, Verona 10 ottobre 1528, in ''Francesco Berni'' 1999, pp. 475-476.</ref> In una delle sue ultime lettere affermava con amarezza: «non ho fatto mai alli dì miei cosa buona».<ref>Lettera a Luigi Priuli, da Fiorenza, senza data, in ''Francesco Berni'' 1999, p. 507.</ref>
 
==Note==