L'avaro: differenze tra le versioni

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eh vabbè
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===Atto V===
Arpagone convoca il Commissario per indagare sul furto del suo tesoro di 10.00000 scudi, ritenendo colpevole tutta la città,sobborghi compresi. Il Commissario lo rassicura dicendogli che inizieranno insieme ad indagare sul furto. Interrogano dunque per primo Mastro Giacomo, che sentendo che il padrone è stato derubato, e che si sta cercando il colpevole, decide di vendicarsi su Valerio, per l'atteggiamento servizievole nei confronti del padrone di casa, per il modo di impicciarsi negli affari altrui e di voler comandare, e infine per le bastonate da poco prese. Dunque asserisce di aver visto Valerio con suddetta scatola rubata in giardino. Arpagone non perde tempo e va subito da Valerio accusandolo di tradimento e di furto, e esortandolo a confessare tutto. Valerio, credendo che il padrone di casa abbia scoperto il suo intento di voler sposare Elisa, fa consolidare la falsa testimonianza di Mastro Giacomo, confessando di aver attuato il piano al solo scopo di bene e che merita di essere perdonato. Arpagone nega qualsiasi forma di perdono e mentre Valerio finisce col far intendere che è innamorato di Elisa e vuole sposarla. Il padrone di casa quindi ritiene che Valerio gli abbia rubato la cassetta del tesoro e in aggiunta voglia portagli via la figlia. Elisa giunge in difesa di Valerio ma senza alcun risultato. Arpagone quindi si reca da quello che nei suoi piani sarebbe dovuto essere il futuro marito di Elisa, cioè Anselmo, per spiegargli le complicanze che sono appena sorte. Valerio si difende asserendo di essere innamorato di Elisa, ma di non essere responsabile del furto del tesoro di Arpagone, e che quando si conoscerà il colpevole è le cose si risolveranno. Arpagone ed Anselmo gli fanno monito di non inventarsi false reputazioni e titoli inesistenti, e di mostrare le prove di quello che dice. Valerio quindi asserisce di essere figlio di Don Tommaso D'Alburzio di Napoli. Continua dicendo di essere scappato all'età di sette anni per fuggire dalle persecuzioni nei confronti di molte nobili famiglie di Napoli, e di essere stato allevato come un figlio dal capitano della nave con la quale fuggì, e una volta adulto, saputo che suo padre era ancora vivo, iniziò a cercarlo per il mondo. Durante tale viaggio conobbe Elisa, si innamorò di lei e che questo incontro gli fece prendere la decisione di introdursi in casa come domestico. Come prova della sua storia, cita persone e mostra oggetti e cimeli appartenenti alla sua famiglia. Marianna, sentendo tale racconto riconosce in lui suo fratello, spiegando che anche lei e sua madre fuggirono per mare ma furono presi da corsari e fatti schiavi. Dopo dieci anni di schiavitù, riebbero la libertà grazie ad una felice circostanza, tornarono a Napoli dove tutti i loro beni erano stati però venduti, e senza aver notizia del padre. Passarono quindi per Genova dove recuperando una piccola parte di beni, giungendo infine a Parigi. A sentire il racconto di Valerio e Marianna, Anselmo capisce di essere il comune padre smarrito e si rivela a i presenti con gioia asserendo di essere Don Tommaso D'Alburzio di Napoli, di esser venuto ad abitare lì sotto il nome di Anselmo per dimenticare le disgrazie passate. Aggiunge infine che intendeva sposarsi con una giovane donna come Elisa per rifarsi una nuova famiglia. A tali parole, Arpagone si chiede ad Anselmo, ora padre di Valerio di provvedere al furto di 10.000 scudi da parte di quest'ultimo. Sopraggiunge Cleante che tranquillizza il padre sulle sorti della cassetta, asserendo di custodirla lui stessa in un luogo, e che la riavrà a patto che permetta il matrimonio tra lui e Marianna. Arpagone però esige la cassetta per pagare le spese di matrimonio. Interviene quindi Anselmo che si offre di pagarle lui stesso il matrimonio ed un nuovo vestito. Arriva però il commissario che esige di essere pagato per il lavoro di indagine svolto, sebbene breve. Arpagone si rifiuta di pagare e offe Mastro Giacomo, ormai scoperto scoperto autore di una falsa testimonianza, per la forca. Anselmo interviene ancora una volta, convincendolo a perdonare Mastro Giacomo, e asserendo che lo pagherà lui il commissario. Tutti quindi si accingono ai preparativi per il duplice matrimonio, mentre Arpagone non vede l'ora che tutto sia finito per riavere il tanto agognato tesoro.
 
== Bibliografia ==