Gian Francesco Malipiero: differenze tra le versioni

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Il linguaggio musicale di Malipiero è caratterizzato da un'estrema libertà formale; egli, infatti, ripudiò sempre la disciplina accademica della [[variazione (musica)|variazione]] a favore dell'espressione più anarchica e fantastica del canto, oltre ad evitare fortemente il rischio di cadere nel descrittivismo della [[musica a programma]]. Fino alla metà degli [[anni 1950|anni cinquanta]] Malipiero rimase legato a una scrittura diatonica e ampia, rifacentesi allo strumentalismo italiano pre-ottocentesco e alla melopea [[canto gregoriano|gregoriana]], per spostarsi progressivamente verso territori espressivamente più inquieti e tesi, che lo avvicinarono al totale cromatico, senza però che avvenisse in lui la conversione verso la pratica [[dodecafonia|dodecafonica]] (i suddetti ''Dialoghi'' sono una testimonianza di tale sperimentazione). Più che abbandonare del tutto il proprio stile precedente, l'autore fu capace di reinventarlo in maniera personalissima e con grande spirito di aggiornamento. Non è difficile intravvedere, in alcune pagine tarde, suggestioni provenienti dagli allievi [[Luigi Nono (compositore)|Luigi Nono]] o [[Bruno Maderna]].
Nonostante il suo isolamento artistico, Malipiero ebbe contatti con i massimi compositori del [[XX secolo|'900]], come [[Igor Stravinsky]], [[Ernest Bloch]], [[Charles]] Ives]], [[Luigi Dallapiccola]] (che lo riconobbe come maggior genio musicale dopo la morte di [[Giuseppe Verdi]]), [[Paul Hindemith|Hindemith]], [[Roger Sessions|Sessions]], [[Luciano Berio]] e, pur senza dar vita a una vera e propria scuola, ha lasciato un segno profondissimo e inconfondibile nella cultura musicale italiana. Fu zio del compositore [[Riccardo Malipiero]].
 
== Opere principali ==