De providentia: differenze tra le versioni

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Importante immagine di questa ardua impresa che spetta al buono è il mito di [[Fetonte]], di cui Seneca cita i versi [[Ovidio|ovidiani]], il quale invece d’essere distolto dalla difficoltà del compito si sente incitato a intraprendere la corsa celeste. Questa allegorizzazione favorevole d’un mito che di solito viene visto negativamente come folle esempio di superbia è significativo indice della tendenza di Seneca alla sublimazione, fino a sfiorare punte per così dire di superomismo morale.
 
Quando proprio la fortuna è insopportabile per il buono e impedisce di vivere degnamente, la divinità gli è venuta incontro rendendo facile morire, di cui tanti e brevi sono i modi a differenza del nascere e con cui il buono può liberarsi per sempre dai colpi di quella. Qui l’esempio classicamente romano che Seneca riprende è il suicidio di [[Catone Uticense|Catone uticense]], spettacolo meraviglioso per gli stessi Dei della virtù umana. E il finale di questo breve Dialogo è un’autentico elogio alla morte liberatrice, di cui in date circostanze il suicidio è la proclamazione più alta e il più alto esempio di virtù. Stolto è invece, come afferma l’''[[explicit]]'', averne paura:
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|Non arrossite dunque? Ciò che avviene così velocemente lungamente lo temete!