Comunicazione filosofica (Kierkegaard): differenze tra le versioni

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Lo [[pseudonimo]] era stato un espediente della letteratura [[Romanticismo|romantica]] sotto cui si nascondeva la vera identità dell’autore che, per vari motivi, voleva rimanere nascosto al pubblico dei lettori.
In Kierkegaard lo pseudonimo,come per primo ha ravvisato lo studioso [[Gregor Malantschuck]], assume tutt'altro valore e significato. Come dice lo stesso Kierkegaard lo scopo è quello di mettere in scena una sorta di "''teatro delle maschere''" di cui è il burattinaio lo stesso filosofo. Ogni opera ha indicato come autore un nome originale e significativo che vuole alludere allo stesso contenuto dell'opera, come ad esempio: l'autore della "Postilla conclusiva non scientifica" è indicato come "Climacus", mentre l'autore della "Malattia mortale" è "Anti-Climacus". Qui i due pseudonimi vogliono rimandare evidentemente a contenuti dove si dibattono tesi contrastanti. Lo scopo è quello di rendere le opere stesse veri e propri "personaggi" che dialogano tra loro, magari sostenendo argomenti contrapposti. Ogni nome è quindi una chiave d'interpretazione dell'opera, è una maschera di Kierkegaard che fa dialogare i suoi finti autori da un'opera all'altra.
Questa è quindi una comunicazione indiretta , una ''comunicazione d'esistenza'', dove la verità viene offerta al lettore che la dovrà scegliere tra le varie opere impegnando nella scelta se stesso e la sua esistenza.
 
Ma lo scopo degli pseudonimi è anche quello di riprodurre la caratteristica [[Socrate|"ironia" socratica]]. Come Socrate che "''sapeva di non sapere''" prima ancora che si iniziasse un dialogo con il suo interlocutore, ma fingeva di "non sapere", presentandosi come ignorante, per non mettere a disagio chi dialogava con lui, ma soprattutto perché voleva che anche egli arrivasse liberamente alla sua professione di ignoranza, così Kierkegaard vuole non far apparire i suoi convincimenti e non identificarsi con quelli delle "maschere". In questo modo ogni pseudonimo può rappresentare liberamente una "''possibilità d'esistenza''" . Tutte queste possibilità esistenziali sono vissute da Kierkegaard come presenti in lui, ma egli non aderisce pienamente a nessuna di esse.
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Compito del comunicatore deve essere al contrario quello di conformare la sua esistenza a quanto egli afferma e scrive. Bisogna quindi "reduplicare " la parola come hanno fatto Cristo e Socrate il cui "''merito infinito è precisamente di essere stato un pensatore esistente, non uno speculante che dimentica ciò che è l'esistere''".(S.Kierkegaard "Opere" a cura di C.Fabbro, Firenze 1972.)
 
Nella stessa condizione di anonimato si trova chi riceve la comunicazione. Con lo sviluppo della stampa ormai tutto ciò che si scrive viene diretto al "pubblico" ma "''il pubblico è un astratto che non esiste''".(Ibidem,op.cit.) Kierkegaard ha evidentemente colto la trasformazione propria della società del suo tempo: egli percepisce il fenomeno ancora indistinto della ''massificazione'' che si manifesterà pienamente nel corso della [[prima guerra mondiale]]. Ormai all'[[Vincenzo Gioberti (Il pensiero politico)|opinione pubblica]] formata da una [[borghesia]] più o meno colta, consapevole delle proprie idee, che spesso condiziona il potere politico si sta sostituendo una massa anonima ed indistinta che riceve passivamente la comunicazione, se ne fa strumentalizzare e diventa vittima passiva di chi ha il potere, di chi controlla la comunicazione agendo sulle passioni e i sentimenti.
La massa si conforta nel suo numero, si sente sicura solo quando ciò che pensa lo pensano anche gli altri poiché "''la maggior parte degli uomini non ha paura di avere un'opinione errata, bensì di averne una da sola''".(Ibidem,op.cit.)
 
==L'appropriazione della verità==
 
La comunicazione indiretta è dunque secondo Kierkegaard l'unica che può arrivare alla [[persona]] e questo lo si può fare "''portando degli Io in mezzo alla vita. Perché il nostro tempo manca completamente di uno che dice : Io. Tali Io [ gli pseudonimi ] sono ora bensì degli Io poetici, ma sono comunque sempre qualcosa''". (Ibidem, ''0pop. cit.'' ) La comunicazione vera è dunque quella non del privato al pubblico , ma del singolo al singolo, dell'esistente all'esistente. Gli uomini devono diventare "''attenti alla verità''". La verità è "''l'autoattività dell'appropriazione''" . Come Socrate con il suo dialogo "inconcludente", così Kierkegaard non scrive mai "''l'ultimo paragrafo che conclude il sistema''" (Ibidem, op.cit.). Filosofare per lui è fare domande, non dare risposte. Il singolo lettore dovrà porsi davanti il quadro delle varie possibilità d'esistenza rappresentate nelle opere e "''come in uno specchio''" riconoscersi o meno in una sola di queste. Avrà forse la sorpresa di cogliere un aspetto nuovo di se stesso; il suo spirito si risveglierà, "''colpito alle spalle''" da questa nuova verità su se stesso.
"''Tutta la mia feconda attività di scrittore – dice Kierkegaard – si riduce a quest'ultimo pensiero: colpire alle spalle''" (Ibidem,op.cit.), stupire, sorprendere, scuotere chi viveva nell'ovattata illusione di una vita lontana dall'esistenza.
 
==Bibliografia==