Onomastica romana: differenze tra le versioni

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== Nomi femminili ==
Quanto scritto sopra si applicava soltanto agli uomini. La società romana, infatti, non usava attribuire veri e propri nomi personali alle donne, che venivano conosciute soltanto con il proprio nome gentilizio (nomen), ovviamente declinato al femminile, talvolta seguito da un aggettivo nel - frequente - caso di omonimia tra donne appartenenti alla stessa gens (''Maior'' e ''Minor'' se le donne erano soltanto due; ''Prima, Secunda, Tertia'' e via dicendo se erano più di due). Alcuni esempi: la famosa madre dei Gracchi fu Cornelia, questo non è affatto un nome proprio, anche se alla sensibilità moderna lo sembra, ma semplicemente un gentilizio, peraltro uno dei più famosi; le figlie di [[Marco Antonio]] erano conosciute come [[Antonia maiormaggiore]] (nonna dell'Imperatore [[Nerone]]) e [[Antonia minorminore]] (madre dell'Imperatore [[Claudio (imperatore romano)|Claudio]]); più di due figlie erano distinte dal numero ordinale: [[Cornelia Quinta]] era la quinta figlia di Cornelius.
 
Emerge dallo studio delle iscrizioni lapidarie che nei tempi più antichi si usava la versione al femminile anche dei ''praenomina'' e che i nomi delle donne presumibilmente consistevano in un ''praenomen'' ed un ''nomen'' seguito da un [[patronimico]]. In periodo storico della [[Repubblica Romana|Repubblica]] le donne non ebbero più ''praenomen''. In effetti, sull'esistenza del ''praenomen'' femminile le opinioni sono discordi. Taluni ritengono che non sia mai esistito. Altri pensano, invece, che non potesse essere pronunciato per ragioni di ''pudicitia''. Secondo i sostenitori di quest'ipotesi, infatti, i Romani avrebbero ereditato dai Sabini una credenza che considera il prenome una parte della persona; dunque, pronunciare il ''praenomen'' di una donna sarebbe stato un atto di intimità assolutamente inaccettabile. Al di là delle diatribe tra gli studiosi, resta il fatto che nominare una donna era considerato atto socialmente irrispettoso.