Massimo (famiglia): differenze tra le versioni

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|cognome = Massimo
|stemma = Stemma principi Massimo.jpg
|blasonatura = Arma: Partito; nel primo fasciato d'azzurro e d'argento alla banda d'oro attraversante (Astalli); nel secondo d'argento al palo fascia d'azzurro, uscente dalla partizione, carico sul palo di sette scudetti del campo, sulla fascia di due scudetti eguali posti nel verso della pezza (Citarei), la fascia accompagnata da due leoni di rosso, coronati d'argento (Massimo)<ref>Giannino Tiziani,''Famiglie e stemmi cornetani dalla schedatura di beni artistici di Tarquinia'', p.13</ref>. Cimiero: un leone d'oro. Sostegni: Due leoni d'oro affrontati. Motto: Cunctando Restituit. <ref>AymadenAmayden, p. 202</ref>
|stato = {{PON pre 1808}}
|titoli =<br />
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Le origini della famiglia restano oscure e leggendarie. Il più antico personaggio di cui si ha notizia sarebbe vissuto nel [[X secolo]]: una [[lapide]] del [[1012]] nella [[basilica dei Santi Bonifacio e Alessio]] sull'[[Aventino]] ricorda un Leone Massimo. Tuttavia il primo a essersi fregiato del nome di famiglia «de Maximis», come segno di appartenenza all'aristocrazia [[roma]]na, sembra sia stato [[Massimo di Lello di Cecco]] nella prima metà del [[XV secolo]] (+[[1465]], titolare di un banco di pegni, definito nei documenti dell'epoca «Maximus Lelli Cecchi»; suo padre [[Lello Massimo|Lello]] (morto nel [[1420]]) gestiva una spezieria nel [[Sant'Eustachio (rione di Roma)|rione Sant'Eustachio]] e fu [[Conservatore di Roma]] nel [[1418]], mentre il nonno Cecco, che sottoscrisse nel [[1349]] gli statuti dell'arte della lana, fu probabilmente il principale artefice della fortuna economica della famiglia<ref>Anna Modigliani, [http://www.treccani.it/enciclopedia/massimo-massimo_%28Dizionario-Biografico%29/ MASSIMO, Massimo (Massimo di Lello di Cecco)]. In: ''[[Dizionario Biografico degli Italiani]]'', Roma: Istituto dell'Enciclopedia italiana, Vol. LXXII, 2009</ref>. Tra il [[XIV secolo|XIV]] e il [[XV secolo]] i Massimo possedevano un ingente patrimonio derivante da attività commerciali e professionali e ciò permise alla famiglia di stringere alleanze matrimoniali con alcune casate aristocratiche romane (i [[Santacroce (famiglia)|Santacroce]], i Mazzatosta, i Planca, gli Spannocchi, i [[Mattei (famiglia)|Mattei]], i [[Cesarini (famiglia)|Cesarini]], i Mancini, i [[Colonna (famiglia)|Colonna]], ecc.)<ref>Ivana Ait, ''Tra scienza e mercato. Gli speziali a Roma nel tardo Medioevo'', Roma: Istituto Nazionale di Studi Romani, 1996, p. 20 e pp. 55-66, ISBN 8873111009</ref><ref>Anna Modigliani, ''Mercati, botteghe e spazi di commercio a Roma tra Medioevo ed età moderna'', Roma: Roma nel Rinascimento, 1998, ISBN 8885913180)</ref>. Se il titolo di [[Nobile (aristocrazia)|nobile]] della famiglia risale al [[XIV secolo]], quello di [[marchese|marchesi]] al [[1544]], quello di [[principe|principi]] al [[1826]] e quello di [[duca|duchi]] al [[1828]].
[[File:Castello Massimo, Arsoli.jpg|upright=1.7|thumb|sinistra|[[Arsoli]]: il castello dei principi Massimo negli [[Anni 1920|anni venti]]]]
Una mitica tradizione fa risalire l'origine della famiglia Massimo alla ''[[Gens Fabia]]'' dell'[[antica Roma]] la quale con [[Quinto Fabio Massimo Rulliano|Quinto Fabio Rulliano]] avrebbe aggiunto nel [[IV secolo a.C.]] per [[senatoconsulto]] della [[repubblica romana]] il ''[[Onomastica romana#Cognomen|cognomen]]'' «''Maximi''». La leggenda sarebbe stata diffusa da [[Onofrio Panvinio]] (1529-1568) nel suo "De gente Maxima" del [[1556]] (Cod. Vat. 6168 pag. 166) pubblicato da [[Angelo Mai]] nel [[1843]] nel tomo IX dello "Spicilegium romanum"<ref name = Ceccarius>[[Ceccarius]], ''I Massimo'', Roma: Istituto di studi romani, 1954</ref>. Secondo il Panvinio a questa famiglia sarebbero appartenuti due [[papa|papi]] santi, [[Papa Anastasio I|Anastasio I]] e [[Papa Pasquale I|Pasquale I]]. La leggenda ebbe una certa fortuna per cui la famiglia Massimo è considerata da alcuni, fra cui [[Vittorio Spreti]], la più antica d'Europa<ref>Vittorio Spreti, ''Enciclopedia storico-nobiliare italiana: famiglie nobili e titolate viventi riconosciute dal R. Governo d'Italia, compresi: città, comunità, mense vescovili, abazie, parrocchie ed enti nobili e titolati riconosciuti, promossa e diretta dal marchese Vittorio Spreti'', Milano: Enciclopedia storico-nobiliare italiana, 1931; Rist. anast. Bologna: Forni, stampa 1969, Vol. IV, p. 478 ([http://books.google.it/books?ei=xxKRTNh41Jk40d2xhQ0&ct=result&id=AygbAAAAYAAJ&dq=Famiglia+principesca+romana+considerata+la+pi%C3%B9+antica+d%27Europa&q=secondo+una+secolare+tradizione#search_anchor Google libri]; URL consultato il 15 settembre 2010).</ref><ref>{{cita web|url= http://www.iltempo.it/spettacoli/2009/08/30/1064031-gloriosi_principi_massimo_dinastia_antica_europa.shtml|titolo= Il tempo|15 settembre 2010}}</ref>. A [[Napoleone Bonaparte]] che chiedeva notizie sulla veridicità di tale discendenza, [[Francesco Camillo VII Massimo]], plenipotenziario di [[papa Pio VI]], rispondeva: «''Je ne saurais en effet le prouver, c’est un bruit qui ne court que depuis douze cents ans dans notre famille''»<ref name = Ceccarius/> (in realtà non potrei provarlo, è una diceria che si racconta nella nostra famiglia solo da una dozzina di secoli). Il desiderio di possedere ascendenze mitiche era abbastanza comune nelle casate dato che costituivano un'ulteriore prova della loro nobiltà: nella maggior parte dei casi le ricerche araldiche venivano affidate a noti eruditi il cui fine era di compiacere l'aristocratico committente.<ref>AymadenAmayden, p. 204</ref>
 
Nel [[XVI secolo]] la famiglia si divise in due rami: il primo, quello dei signori (poi principi di [[Arsoli]]) detti "delle Colonne", residente nel [[palazzo Massimo alle Colonne]], ancora esistente; il secondo, quello dei duchi di [[Rignano]] detti "di Aracoeli" ora estinto nella linea maschile con Emilio, nel [[1907]].<ref>Mario Tosi, ''La società romana : dalla feudalità al patriziato: 1816-1853'', Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 1968, pp. 68-70 ([http://books.google.it/books?id=ZNrIcZ6sV7QC&pg=PA68 Google libri])</ref>. Nel [[palazzo Massimo alle Colonne]] una lapide ricorda come sia stata la sede della prima stamperia di Roma ad opera di [[Conrad di Schweinheim]] e di [[Arnold Pannartz]] coadiuvati dai fratelli [[Pietro Massimo|Pietro]] e [[Francesco Massimo]] figli di [[Massimo di Lello di Cecco]]; in realtà l'edificio adibito a stamperia doveva essere situato in una casa che i due fratelli possedevano nelle immediate adiacenze di [[Campo de' Fiori]], lungo la via Mercatoria<ref>A. Modigliani, «[http://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-massimo_%28Dizionario-Biografico%29/ MASSIMO, Pietro]». In: ''[[Dizionario Biografico degli Italiani]]'', Roma: Istituto dell'Enciclopedia italiana, Vol. LXXII, 2009</ref>. Dal [[XVI secolo]] in poi tutti i primogeniti maschi della famiglia Massimo sottoscrissero gli atti pubblici non col proprio nome di battesimo, ma con quello di «Camillo», in ricordo di Camillo Massimo ([[1577]]-[[1640]]), primo istitutore del [[Diritto di maggiorasco|fedecommesso di primogenitura]]<ref>Maura Piccialuti Caprioli, ''L<nowiki>'</nowiki>immortalità dei beni: fedecommessi e primogeniture a Roma nei secoli XVII e XVIII'', Roma: Viella, 1999, ISBN 88-85669-99-9</ref>.
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La stirpe è rappresentata dal capofamiglia don Fabrizio Massimo-Brancaccio ([[1963]]-), principe di [[Arsoli]] e di [[Triggiano]]; da Stefano ([[1955]]-), principe di [[Roccasecca dei Volsci]], erede di Vittorio Emanuele e dell'attrice inglese [[Dawn Addams]] ([[1930]]-[[1985]]), coniugato con Atalanta Foxwell, dalla quale ha avuto Valerio ([[1973]]-), Cesare e Tancredi.<ref>Cafà, p. 160</ref>
 
Le residenze dei Massimo sono state: il [[palazzo Massimo alle Terme]] (ora Museo Nazionale), il [[palazzo Massimo alle Colonne]], il [[palazzo di Pirro]], il palazzo di Aracoeli, la [[villa Massimo]], sulla [[Nomentana]], e il castello di [[Arsoli]] ([[secolo X]], acquistato nel [[1574]] da Fabrizio su suggerimento di [[san Filippo Neri]]). Il luogo di sepoltura si trova nella cappella gentilizia di Santa Maria Annunziata in [[Basilica di San Lorenzo in Damaso|San Lorenzo in Damaso]], a Roma.<ref>AymadenAmayden, p. 203</ref>