Martiri di Otranto: differenze tra le versioni

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== Storia ==
{{vedi anche|Battaglia di Otranto}}
Il [[28 luglio]] [[1480]] una flotta navale turca del [[sultano]] dell'[[Impero ottomano]] [[Maometto II]] proveniente da [[Valona]], forte di 90 [[Galea|galee]], 40 [[Fusta|galeotte]] e altre navi, per un totale di circa 150 imbarcazioni e 18.000 soldati, si presentò sotto le mura di Otranto<ref>{{Cita|Gianfreda, 2007|pag. 35}}</ref>.
 
La città resistette strenuamente agli attacchi, ma la sua popolazione di soli 6.000 abitanti non poté opporsi a lungo ai bombardamenti. Infatti il [[29 luglio]] la guarnigione e tutti gli abitanti abbandonarono il borgo nelle mani dei Turchi, ritirandosi nella cittadella mentre questi ultimi cominciavano le loro razzie anche nei [[Università del Regno|casali]] vicini.
 
Quando [[Gedik Ahmet Pascià]] chiese la resa ai difensori, questi si rifiutarono e in risposta le artiglierie turche ripresero il bombardamento.
L'[[11 agosto]], dopo 15 giorni d'assedio, Gedik Ahmet Pascià ordinò l'attacco finale durante il quale riuscì a sfondare le difese e a espugnare anche il castello.
 
Nel massacro che ne seguì, tutti i maschi di oltre quindici anni furono uccisi, mentre le donne e i bambini furono ridotti in schiavitù. Secondo alcune ricostruzioni storiche, i morti furono in totale 12.000 e i ridotti in schiavitù 5.000, comprendendo anche le vittime dei territori della penisola salentina intorno alla città<ref>Paolo Ricciardi, ''Gli eroi della patria e i martiri della fede: Otranto 1480-1481'', Vol. 1, Editrice Salentina, 2009</ref>.
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Vani furono i primi tentativi di riconquista, organizzati tra agosto e ottobre del 1480 da Re Ferdinando di Napoli, che richiamò alla guerra il figlio Alfonso d'Aragona e fece una flotta con l'aiuto del cugino (Ferdinando il Cattolico) e del Regno di Sicilia<ref>{{Cita pubblicazione|autore = G. Conte|titolo = Una flotta siciliana ad Otranto (1480)|rivista = Archivio Storico Pugliese|volume = |numero = LXVII|anno = 2014}}</ref>. Dopo tredici mesi Otranto venne riconquistata dagli [[Aragonesi]], guidati da [[Alfonso II di Napoli|Alfonso d'Aragona]], figlio del [[Re di Napoli]].
 
== Il racconto cattolico ==
 
{{F|storia|aprile 2015}}
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Il comandante della guarnigione Francesco Largo venne invece segato vivo.
[[ImmagineFile:Otranto_castelloOtranto castello.jpg|thumb|Castello di Otranto]]
A capo degli Otrantini -che il 12 agosto si erano opposti alla conversione all'Islam- era anche il vecchio sarto [[Antonio Pezzulla]], detto ''Il Primaldo''.
 
Il [[14 agosto]] Gedik Ahmet Pascià fece legare i superstiti e li fece trascinare sul vicino [[colle della Minerva]], dove ne fece decapitare almeno 800, costringendo i parenti ad assistere alle esecuzioni. Il primo a essere decapitato fu Antonio Primaldo. La tradizione tramanda che il suo corpo, dopo la decapitazione, restò ritto in piedi, a dispetto degli sforzi dei carnefici per abbatterlo, sin quando l'ultimo degli Otrantini non fu martirizzato.
 
Durante quel massacro le cronache raccontano che un turco, tal Bersabei, si convertì nel vedere il modo in cui gli otrantini morivano per la loro fede e subì anche lui il martirio, impalato dai suoi stessi compagni d'arme.
 
Tra gli 813 martiri d'Otranto, si ricorda per l'eroica morte, in testimonianza della fede, la figura di Macario Nachira, colto [[monaco basiliano]], appartenente a un'antica e nobile famiglia di Viggiano (oggi [[Uggiano la Chiesa]]).
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Il [[13 ottobre]] [[1481]] i corpi degli Otrantini trucidati furono trovati incorrotti e vennero successivamente traslati nella [[Otranto#Cattedrale|Cattedrale di Otranto]].
 
A partire dal [[1485]], una parte dei resti di quei martiri furono trasferiti a [[Napoli]]<ref>A tale trasporto si collega anche la tavola raffigurante i [[Berardo, Ottone, Pietro, Accursio e Adiuto|Protomartiri francescani]], a cui [[Sisto IV]] affidò la sorte dei cristiani, conservata nella [[Basilica di San Lorenzo Maggiore]]. Cfr. Giuseppe Cassio, Il riflesso della Guerra d'Otranto nel dipinto dei Protomartiri francescani a Napoli, in Italia francescana 88 (2013), p. 361-376</ref> e riposano nella [[chiesa di Santa Caterina a Formiello]], dove furono collocati sotto l'altare della [[Madonna del Rosario]] (che ricorda la vittoria definitiva delle truppe cristiane sugli [[Ottomani]] nella famosa [[battaglia di Lepanto (1571)|battaglia di Lepanto]]); successivamente furono collocati nella cappella delle reliquie, consacrata da papa Benedetto XIII, e solo dal [[1901]] deposte sotto l'altare in cui si trovano oggi. Una ''recognitio canonica'', effettuata tra il [[2002]] e il [[2003]], ne ha ribadito l'autenticità.
 
Nel [[1888]] l'arcivescovo Francesco Bressi, metropolita di [[Arcidiocesi di Otranto|Otranto]] e amministratore apostolico di [[Arcidiocesi di Foggia-Bovino|Bovino]], donò parte delle reliquie al Santuario di [[Santa Maria di Valleverde]] in [[Bovino (Italia)|Bovino]], dove attualmente si trovano nella cripta della nuova basilica in un'artistica urna in alabastro opera di Pasquale Garofalo di Bovino in sostituzione dell'ormai fatiscente vecchia urna in legno.
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