Camillo Boldoni: differenze tra le versioni

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Il 2 giugno i Cacciatori degli Appennini furono mandati ad Alessandria. Non tutti i soldati avevano  ricevuto l’equipaggiamento e le armi, ma quello che più conta non erano addestrati. I volontari avevano sui coscritti il vantaggio di combattere per uno scopo e erano pronti a dare la vita per raggiungerlo, ma per fare questo avevano bisogno delle armi e di saperle usare. Ogni buon comandante ha cura dei propri soldati e Camillo  Boldoni protestò fino all’ultimo giorno di comando per ottenere quanto gli occorreva.  Queste sue proteste riportate a Garibaldi vennero ritenute una scusa addotta per non mettere i Cacciatori degli Appennini sotto il suo comando.
 
La vittoria dei franco-piemontesi, il 4 giugno 1859, a Magenta, aprì le porte di Milano e di Piacenza ed è qui che vennero destinati i Cacciatori degli Appennini, che vi giunsero il 21 giugno. Erano appena arrivati  quando giunse l’ordine di trasferirsi  a Milano. Qui, il 28 giugno 1859, ricevettero l’ordine di raggiungere Garibaldi a Como. I successivi trasferimenti non avevano consentito di far seguire gli equipaggiamenti agli uomini e occorse una settimana prima che il Corpo  si potesse trasferire a Como in pieno assetto.
 
Frattanto Il 24 giugno, dopo la battaglia di Solferino-San Martino, c’era stata la sosta delle ostilità e si stava trattando l’armistizio
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Con il grado di colonnello, comandando il 1º reggimento «Cacciatori degli Appennini», fu decorato da Napoleone III con la massima onorificenza militare francese, la [[Médaille militaire|Médaille militaire,]] per i meriti acquisiti durante la presa di [[Piacenza]].
 
Nel [[1860]] [[Cavour]] lo inviò nella sua terra natia al confine tra Puglia e Basilicata dove,
Il 4 aprile del 1860 a Palermo un migliaio di rivoltosi s’impadronì del Monastero della Grancia e incitò alla rivolta i cittadini. Non vi fu una gran risposta tra la popolazione e non arrivarono in tempo gli armati che si attendevano dalla provincia. Per questi motivi il maggiore Bosco, quello stesso che avrebbe affrontato Garibaldi a Milazzo, ebbe buon gioco a soffocare la rivolta. La miccia restò accesa. Si attendeva solo chi sapesse inquadrare e guidare la rivolta.  Garibaldi, esacerbato e deluso dall’esito della guerra e spinto dagli esuli siciliani che avevano combattuto con lui nei Cacciatori, organizzò  una spedizione per dare manforte ai rivoltosi. Quasi mille volontari accorsero al suo richiamo e il 5 maggio partì con loro da Quarto. L’11 maggio sbarcarono a Marsala e trovarono ad attenderli un altro migliaio di uomini malamente armati. A Napoli e a Torino si pensò che Garibaldi avrebbero fatta in breve la stessa fine di Pisacane, ma non passò un mese che s’accorsero  d’aver sbagliato. Cavour, preoccupato  che Garibaldi arrivasse a Napoli con i suoi uomini e proclamasse la repubblica, corse ai ripari. Dopo un consulto con chi conosceva gli uomini di cui poteva disporre, fece chiamare Camillo Boldoni e lo presentò al Re. Vittorio Emanuele gli  diede il suo viatico e Cavour lo mandò a Napoli con l’incarico di far insorgere la Basilicata e la speranza che fosse capace di schierare un esercito lealista al fianco di Garibaldi quando sarebbe arrivato a Napoli. Nello stesso tempo Cavour  fece partire l’ esercito sabaudo che invase l’Umbria e le Marche  e, a Castelfidardo, il 20 settembre, batté il piccolo esercito di  volontari pontifici accorsi per contrastare l’invasione e si diresse lungo la costa adriatica verso le terre borboniche.
nel mese di agosto, fu fra gli artefici della cosiddetta [[Insurrezione lucana (1860)|insurrezione lucana]], guidandone le operazioni militari sino a ai primi di settembre, quando al seguito di [[Garibaldi]] entrò a Napoli al comando dei suoi “Cacciatori lucani”. I
n quelle poche settimane Camillo Boldoni fece l'impresa di organizzare un esercito di volontari che infiammò e rese possibile le insurrezioni della Basilicata e della Puglia senza mai perderne il controllo.
 
Successivamente Camillo Boldoni tornò in [[Piemonte]], dove si era ormai stabilito dal 48.
Camillo Boldoni, sotto falso nome, giunse a Napoli il 15 luglio 1860 e poté finalmente riabbracciare la  famiglia. 
 
Si trovò subito sommerso dalle dispute tra le varie correnti dei cospiratori, che si erano riuniti sotto un Comitato Centrale, ma non avevano sopito le loro liti. Tra loro c’era chi avrebbe voluto una nuova e più liberale Costituzione, chi voleva una Repubblica garantita da Garibaldi e chi voleva l’Italia riunita sotto la guida del Re di Sardegna. Erano comunque tutti d’accordo che non si sarebbe potuto ottenere nulla senza una vittoria
militare e che senza uomini e senza armi questa non si sarebbe potuta ottenere. Bisognava raccogliere e guidare, come si stava facendo in Sicilia, i volontari
che si stavano raccogliendo nell’Italia Meridionale e, al tempo stesso, non si poteva rifiutare l’aiuto offerto dal Re di Sardegna. Dopo quasi un mese di
trattative, incalzati dalla vittoria di Garibaldi a Milazzo che sanciva la conquista della Sicilia, giunsero a un compromesso e nominarono Prodittatori Giacinto Albini
e Nicolò Mignogna. A Camillo Boldoni fu affidato il Comando Militare dell’insurrezione e il 10 agosto i tre partirono per la Basilicata.
 
Mignogna e Albini erano entrambi repubblicani, il primo, uomo di Garibaldi, avrebbe  voluto per se il comando militare ed entrò subito in contrasto con Boldoni. L’altro, più prudente, fungeva da ago della Bilancia e aveva in mano la carta vincente. I volontari che si adunarono numerosi il 14 e 15 agosto a Corleto erano, infatti frutto della sua paziente opera di proselitismo. Dopo due giorni fu insediato a Potenza un governo provvisorio in nome di Vittorio Emanuele e del dittatore Garibaldi. Boldoni accettò il compromesso, che fu aspramente criticato a Torino, e prese saldamente in mano il compito che gli era stato affidato. In poche settimane estese la rivolta alla parte settentrionale della Puglia e, per la fine di agosto la fascia dal Tirreno all’Adriatico, da Salerno a Barletta fu in potere degli insorti. Le armi arrivavano dai disertori dell’Esercito Borbonico, e grazie alle donazioni generose dei cittadini e alle sovvenzioni sabaude. Garibaldi il 31 Agosto entrò a Cosenza festosamente accolto e il 5 settembre arrivò ad Auletta, dove Boldoni gli consegnò in nome del Re l’Esercito Meridionale. Il primo provvedimento di Garibaldi fu anche questa volta l’esonero di Boldoni dal comando. Il 7 settembre si recò in treno da Salerno a  Napoli mentre si svolgeva la festa di Piedigrotta.  A primi di ottobre si combatté al Volturno e gli ultimi fedeli di Francesco II. L’esito della battaglia fu incerto ma i borbonici si attestarono al di là del Garigliano. A cose fatte arrivò l’Esercito Piemontese e a fine ottobre Garibaldi attese Vittorio Emanuele a Teano. Il loro colloquio si svolse, a cavallo, senza testimoni. Non si sa cosa si dissero, ma possiamo ipotizzare che Garibaldi, conscio del provvidenziale aiuto ricevuto dall’Esercito Meridionale, nella battaglia del Volturno, abbia consegnato le terre conquistate al Re e gli abbia chiesto per  i suoi uomini il giusto premio per le loro imprese. La risposta del Re, qualunque fosse stata la richiesta, non soddisfece  Garibaldi, che girò il cavallo e raggiunse la sua scorta. Si racconta che quel giorno il Generale abbia mangiato pane e cipolle seduto su un muretto. L’offesa si concretizzò il 6 novembre quando Garibaldi schierò il suo esercito nel Largo di Palazzo per presentarlo al Re e questi non venne.  Dopo due anni Garibaldi fu ferito sull’Aspromonte e dopo sei fu sconfitto a Mentana. Visse i suoi ultimi anni a Caprera sorvegliato come un elemento pericoloso, ma circondato dall’affetto di quanti lo stimavano.
 
Successivamente Camillo Boldoni tornò in [[Piemonte]], dove si era ormai stabilito dal 48.
 
Il 28 aprile [[1861]] fu nominato Organizzatore della Guardia Nazionale delle province meridionali.
 
Nel [[1866]] gli fu assegnata il compito di ispezione negli ospedali militari.
Nel dicembre dello stesso anno fu nominato comandante della Casa Reale Invalidi e Veterani di [[Napoli]].
 
Nel [[1872]] fu messo a riposo e morì a Napoli nel [[1898]] , ove riposa in una piccola sobria tomba di famiglia.