Sociologia del diritto: differenze tra le versioni

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Studi e ricerche di sociologia del diritto compaiono in alcuni contesti anche con altre denominazioni, come p. es., negli Stati Uniti, "Law and Society".
 
== Cenni sulla storia della disciplina ==
== Classici ==
La sociologia del diritto ha radici antiche anche se è stata riconosciuta come disciplina di studio universitario solo recentemente, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Limitandosi ai tempi moderni, si possono individuare fra i suoi precursori i giusnaturalisti dei secoli XVII e XVIII, critici del giusnaturalismo come [[Giambattista Vico|G. B. Vico]] e [[Montesquieu|Ch. de Montesquieu]], giuristi come F. K. von Savigny e J. Bentham, autori di concezioni opposte sul diritto, visto come produzione spontanea della società oppure come comando di un sovrano (Treves 1988, Maggioni 2012).
Il tema del rapporto tra diritto e realtà sociale è l’oggetto di studio dell’analisi sociologica del diritto dal momento in cui il diritto non si considera più determinato sulla base di norme e principi di grado superiore, ma in rapporto alla società. Il riferimento polemico è alla [[giusnaturalismo|dottrina del diritto naturale]], rispetto alla quale la sociologia del diritto, pur condividendo il proposito dello studio di un diritto diverso da quello positivo, si distingue nettamente per la via seguita e l’oggetto prescelto. Come più volte messo in luce da [[Renato Treves|Treves]], alla via della speculazione la sociologia del diritto sostituisce la via dell’esperienza; alla ricerca di un diritto assoluto e immutabile che trova il proprio fondamento, a seconda dei tempi e degli Autori, nella natura, in dio o nell’uomo, la sociologia del diritto contrappone lo studio di un diritto relativo e variabile, indissolubilmente legato al contesto sociale. Nonostante l’attenzione riservata da alcuni autorevoli esponenti della scuola moderna del diritto naturale, quali [[Hobbes]], [[John Locke|Locke]] o [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], alle funzioni che il diritto ricopre all’interno della società (tema che rimarrà centrale nel dibattito sociologico), solo l’abbandono del razionalismo astratto e della pretesa di assolutezza della dottrina del diritto naturale a favore di una nuova sensibilità per il divenire storico e la concreta realtà sociale condurrà alla nascita della sociologia del diritto. A caratterizzare l’analisi sociologica del fenomeno giuridico è infatti, fin dagli albori, la distinzione operata a livello metodologico tra diritto come struttura normativa e società e la concezione degli stessi come due variabili legate tra loro da un nesso di interdipendenza interpretato in chiave evolutiva e controllabile empiricamente. In tale prospettiva l’evoluzione sociale è letta come aumento della complessità ed il diritto come un elemento condizionante e condizionato di questo processo di sviluppo che esso stesso favorisce nel momento in cui si adatta alle sue esigenze. È proprio questa interpretazione in chiave evolutiva del rapporto diritto-società che caratterizza le prospettive dei classici della disciplina. Senza pretesa di essere esaustivi, ne presentiamo di seguito le più note.
 
Fra Ottocento e Novecento la sociologia del diritto ha preso forma attraverso dottrine sociologiche, politiche e giuridiche. Fra le prime, emerge la figura di [[Émile Durkheim|E. Durkheim]], che descrive il diritto come il “simbolo della solidarietà sociale”, enuncia una compiuta teoria delle sanzioni giuridiche, formula il concetto di anomia e analizza problemi sociali particolari, come il suicidio (Durkheim 1962, 1969). Su linee simili si pone anche il tedesco [[Ferdinand Tönnies|F. Tönnies]], che collega due tipi di organizzazione sociale, la “comunità” (''Gemeinschaft'') e la “società” (''Gesellschaft''), a due forme di diritto, rispettivamente fondate sul costume e la religione ovvero sulla decisione politica (Tönnies 1963).
La problematica evolutiva è centrale per esempio alla teoria di [[Henry Sumner Maine|Henry J.S. Maine]] (1822-1888), il quale dimostra come lo sviluppo di sistemi sociali ad elevata complessità implichi necessariamente un allentamento della relazione tra struttura sociale e configurazione giuridica, con un venir meno del rapporto diretto tra le principali direttrici della differenziazione sociale e il diritto, a favore di un’elevata mobilità dei rapporti giuridici. Questo processo si concretizza nel passaggio dalle società di status alle società di contratto: lo [[status]] indica la condizione propria della società primitiva in cui i rapporti personali si riducono a rapporti di famiglia e la posizione degli individui, determinata dalla nascita, appare immutabile; il contratto indica invece la condizione caratteristica delle società complesse, in cui gli individui, indipendenti dal proprio gruppo, si raccolgono in associazioni volontarie e determinano con atti di volontà i propri rapporti giuridici. Il tema viene ripreso dal sociologo evoluzionista contemporaneo [[Herbert Spencer]] (1820-1903) il quale analogamente sostiene che è nel passaggio dalla società militare organizzata in regime di status al tipo di società industriale organizzata in un regime di contratto che si definisce l’evoluzione del diritto. Considerando come motore dell’evoluzione la lotta per l’esistenza che [[Charles Darwin]] aveva posto quale base della selezione naturale, Spencer attribuisce alla guerra una funzione civilizzatrice: la guerra avrebbe spinto gli uomini ad uscire dallo stato di omogeneità ed uguaglianza proprio delle società semplici, avrebbe formato le prime differenziazioni nell’organizzazione sociale specificando organi e funzioni, favorendo la creazione della struttura politica autoritaria e gerarchica che contraddistingue le società militari. A tale società in seguito subentrerà la società industriale, che invece di richiedere la subordinazione delle azioni individuali in funzione di un’azione collettiva, tenderà a promuoverle e a difenderle attraverso l’amministrazione della giustizia, espressione della volontà comune.
 
Fra le dottrine politiche, si stagliano le figure di [[Karl Marx|K. Marx]] (1975) e [[Friedrich Engels|F. Engels]] (1884), secondo cui il diritto dipende dal modo di produzione economica praticato in una società e rappresenta una proiezione sovrastrutture dei rapporti di produzione e del dominio di classe. Hanno rilievo anche le versioni riformistiche del socialismo, come quelle di A. Menger (1894) e K. Renner (1981), che vedono il diritto come strumento di mutamento sociale.
Agli stessi aspetti, ma con riferimento alla complessità del moderno sistema economico, si dedica l’analisi operata da [[Karl Marx]] (1818-1883): per l’Autore è centrale il passaggio del primato nell’attribuzione di significati sociali dalla politica all’economia. La constatazione della moderna indipendenza dei grandi processi di decisione da ogni valutazione inerente al soddisfacimento di bisogni soggettivi e locali conduce ad un’interpretazione del diritto come strumento in grado di servire la complessità sociale, assicurando un’elevata variabilità senza intaccare la struttura. Per Marx lo stato e il diritto sono da considerarsi variabili dipendenti rispetto a quella parte della società che detiene il potere, ovvero dispone della forza: essi sono una sovrastruttura rispetto alla struttura economica della società costituita dall’insieme dei rapporti di produzione all’interno dei quali gli uomini entrano indipendentemente dalla propria volontà. Il diritto, quindi, lungi dal rappresentare gli interessi di tutta la società, esprime quelli della sola classe dirigente che impone a tutta la società le norme di condotta maggiormente funzionali al proprio sviluppo.
 
Fra le dottrine giuridiche, una visione sociologica del diritto emerge soprattutto dalle concezioni antiformalistiche, secondo cui il diritto emana dalla società e con essa si evolve continuamente. Centrale è la figura del tedesco R. von Jhering, che nella fase matura della sua produzione rappresenta il diritto come strumento di lotta e d’azione sociale (Jhering 1960, 2014). Correnti analoghe si riscontrano anche in Italia, soprattutto con la Scuola positiva criminale, in Francia con figure come L. Duguit (1950) e F. Gény (1914-1924) e negli Stati Uniti con quei giuristi che segnalano la divaricazione fra “il diritto dei libri” (''law in the books'') e “il diritto in azione” (''law in action'') (Pound 1910, p. 12). In questa prospettiva il diritto viene spesso rappresentato come una istituzione coincidente con l’organizzazione di qualsiasi gruppo sociale, secondo una visione pluralistica che dissocia gli ordinamenti giuridici dagli stati. Protagonisti principali del pluralismo giuridico moderno sono il polacco [[Leon Petrażycki|L. Petrażycki]], autore di una concezione che, altresì, cerca nella psicologia umana il fondamento primario della normatività (Petrażycki 1955), l’austriaco E. Ehrlich, cui si deve una delle prime opere qualificate come “sociologia del diritto” (Ehrlich 1976), il costituzionalista italiano [[Santi Romano|S. Romano]] (1977), autore di una teoria generale delle relazioni fra diritto e vita sociale, e il sociologo franco-russo [[Georges Gurvitch|G. Gurvitch]] (1957), autore di una teoria sistematica dei rapporti giuridici e sociali. Muovendo da queste prospettive si perviene spesso – ma non necessariamente – a far confluire scienza del diritto e sociologia del diritto, e a praticare, più che una sociologia ''del'' diritto, una sociologia ''nel'' diritto o, con altra definizione, una ''giurisprudenza sociologica'' (Tarello 1974, Marra 2009).
Anche [[Ferdinand Tönnies|Tonnies]] (1855-1936) nel suo scritto ''Comunità e società'' distingue due diversi tipi di relazioni sociali a cui corrisponderebbero due diverse tipologie di diritto: le relazioni sociali che danno luogo alla [[comunità]], intesa come insieme organico organizzato sulla base di rapporti di sangue, di luogo e di spirito, e le relazioni sociali che danno luogo alla società come formazione ideale e meccanica, in cui i rapporti sono essenzialmente rapporti di scambio che trovano la loro espressione tipica nel contratto. Dipendente dal tipo di relazione sociale prevalente, il diritto è nel primo caso essenzialmente diritto comunitario, determinato dal costume e trasfigurato dalla religione; nel secondo caso diritto societario, definito dalla volontà arbitraria e sovrana dei singoli e garantito dallo stato. A caratterizzare il pensiero di Tonnies, comunque centrato sull’interdipendenza tra forme della società e forme del diritto, è una posizione ideologica contraria rispetto a quella dei suoi contemporanei: Tonnies afferma infatti la superiorità delle norme di diritto comunitario su quelle di diritto societario ed auspica un’integrazione delle strutture della società industriale, di cui riconosce l’importanza, con quelle della comunità, al cui spirito si sente maggiormente vicino. Figlio di generazioni di contadini, giunge al socialismo spinto da spontanea simpatia per i lavoratori agricoli e guarda al movimento operaio come all’attore che, reagendo contro l’ordinamento giuridico astratto e ai principi del liberalismo economico, riaffermerà nuove esigenze comunitarie. Criticherà d’altro canto il marxismo per il suo spirito societario e per aver messo in secondo piano la morale comunitaria.
 
La problematica evolutiva è centrale anche all’interpretazione di [[Émile Durkheim|Durkheim]] (1858-1917), il quale nel testo ''La divisione del lavoro sociale'' individua nel graduale passaggio da una differenziazione sociale segmentaria ad una differenziazione funzionale la necessità di un nuovo tipo di solidarietà sociale e quindi di una trasformazione del diritto che della nuova solidarietà è espressione: alla solidarietà meccanica, intrisa di regole morali, va sostituendosi una solidarietà organica che sostituisce all’uniformità dei referenti di valore il riconoscimento dell’interdipendenza tra le diverse parti sociali. La prima, caratteristica delle società primitive, implica una somiglianza tra gli individui ed un assorbimento della personalità individuale nella personalità collettiva; la seconda, tipica delle società evolute, implica invece una differenziazione dei suoi membri che deriva dalla divisione del lavoro, dalla distinzione dei campi d’azione e delle personalità individuali. Tutta l’analisi giuridica di Durkheim si basa su questa distinzione: le società fondate sulla solidarietà meccanica prediligono un diritto costituito da regole munite di sanzioni repressive che si accompagnano al biasimo collettivo ed esigono l’espiazione di una colpa (diritto penale); le società che si fondano sulla solidarietà organica prediligono invece un diritto costituito da regole munite di sanzioni restitutive volte a ristabilire la situazione originaria attraverso la semplice riparazione (diritto contrattuale, amministrativo e costituzionale). L’evoluzione del diritto è quindi caratterizzata per Durkheim dal passaggio dalla prevalenza del diritto repressivo alla preferenza per un diritto restituivo (o cooperativo).
 
A [[Max Weber]] (1864-1920) si deve il riconoscimento del processo della razionalizzazione come carattere fondamentale dello sviluppo della moderna società europea. In ''Economia e società'' Weber sostiene che tale processo, che raggiunge la sua espressione più caratteristica nel capitalismo della civiltà occidentale, è volto ad organizzare la vita sociale in modo prevedibile e orientato al raggiungimento dei fini desiderati. Per quanto concerne il diritto, esso conduce ad una sua ristrutturazione da insieme di contenuti eticamente stabiliti ad insieme di concetti formali astratti e utilizzabili nei procedimenti. Questa trasformazione avviene attraverso quattro stadi: il primo riguarda la creazione carismatica di norme da parte degli anziani del gruppo o dei sacerdoti, ovvero dei cosiddetti ''profeti giuridici''; il secondo concerne la produzione empirica di regole ad opera dei notabili giuridici; il terzo si concretizza nell’imposizione del diritto da parte di un imperium secolare o di un potere teocratico; infine l’ultimo è relativo alla statuizione sistematica del diritto e all’amministrazione della giustizia specializzata ad opera di giuristi di professione.
 
Alla teoria funzionalista si deve infine il superamento dei limiti, al contempo, del realismo normativo durkheimiano e del soggettivismo del senso weberiano. Come afferma [[Niklas Luhmann|Luhmann]], [[Talcott Parsons]] (1902-1979) ha il pregio di riferire l’oggettività dell’insieme delle norme sociali alla contingenza dell’agire soggettivo. Nel contesto della sua teoria, il diritto ha come primaria funzione l’integrazione del sistema. Esso è quindi volto a coordinare e regolare le relazioni tra i vari attori e le varie unità del sistema al fine di garantirne il buon funzionamento, ovvero a mantenerne l’equilibrio: istituzioni legali e tribunali soddisfano questa necessità, rendendo effettive le norme e intervenendo in caso di devianza per riportare i comportamenti in linea con le aspettative e ristabilire l’equilibrio sociale. Nell’evoluzione successiva della teoria, in particolare nell’opera di Niklas Luhmann (1927-1998), ad essere posta al centro dell’analisi è soprattutto la positività del diritto che caratterizza la moderna società industriale, ovvero la possibilità del tutto nuova, a partire dal XIX secolo, del mutamento del diritto tramite legislazione, e quindi della concezione del diritto come mutabile. Ciò permette al diritto che si confronta con un’elevata complessità e variabilità sociale di essere compatibile con un numero sempre maggiore di situazioni ed eventi. Nel suo testo ''La differenziazione del diritto'', Luhmann indica quali precondizioni sociali della completa positivizzazione del diritto il primato dell’economia sul sottosistema politico e lo sviluppo del concetto di [[democrazia]]. È proprio l’accrescimento della complessità sociale a rendere necessari questi passaggi. Per quanto riguarda il primo aspetto si tratta del primato del sistema economico alla guida della società: l’Autore sottolinea come il meccanismo monetario del sistema economico sia infatti in grado di assicurare un livello di complessità infinitamente più elevato di quanto non possa il meccanismo di potere del sistema politico. La supremazia dell’economico consente di riscattare il diritto dai vincoli immanenti e invariabili che lo legavano a strutture sociali già esistenti: attraverso il riconoscimento della libertà contrattuale e della capacità giuridica a tutti i cittadini vengono eliminati i limiti impliciti nei vecchi ordinamenti di status. Allo stesso tempo, anche lo sviluppo del concetto di democrazia è funzionale ad una maggior variabilità e ad un più facile adeguamento del diritto in riferimento alla società: il sostegno politico, non più riferito ad istituzioni etiche stabili o ancorato ad ordinamenti di status, può essere tematizzato e problematizzato caso per caso, adattandosi alle esigenze della società. Con la completa positivizzazione del diritto, conclude Luhmann, la fissità delle norme di diritto naturale lascia il posto alla predisposizione di una variabilità controllata proceduralmente.
 
Fondamentale e per certi versi fondativo per la sociologia del diritto e la stessa sociologia nella loro fase matura è il contributo del tedesco [[Max Weber|M. Weber]], secondo cui la scienza sociologica è volta a comprendere il “senso” (''Sinn'') dell’azione sociale prima di poterla spiegare nel suo svolgersi. Tale senso si attinge riferendosi a schemi significativi di natura comunicativa come il linguaggio che, se socialmente condiviso, permette di intendersi e orientarsi. Tali schemi hanno natura “idealtipica” (''Idealtypen'') e guidano anche l’osservazione, permettendo di ricondurre i fenomeni osservati a pre-concepite categorie astratte. Anche il diritto si presenta come uno strumento che permette di comprendere e orientare l’azione sociale. Esso si caratterizza come un ordinamento considerato socialmente legittimo e sorretto dalla “possibilità di coercizione da parte di un apparato di uomini espressamente disposto a tale scopo” (Weber 1974, I, 31). Combinando fra loro le coppie razionalità/irrazionalità e formalità/materialità, Weber distingue quattro tipi ideali di diritto (materiale-irrazionale, formale-irrazionale, formale-razionale e materiale-razionale), a seconda di come nella società vengono assunte decisioni normative generali (legislazione) o particolari (giurisdizione) (Weber 1974, II, 16-17). Il diritto moderno assume caratteri di spiccata razionalità e formalità, che possono tuttavia condurlo ad ingabbiare la società in un reticolo di norme gestite burocraticamente, ostacolando il mutamento sociale. Questa concezione riconduce il diritto (almeno il diritto moderno) allo Stato, distingue la sociologia del diritto dalla scienza giuridica e può essere accostata, sia pure con rilevanti differenze, alla teoria formale del diritto di [[Hans Kelsen|H. Kelsen]], il quale infatti criticò duramente le tesi di Ehrlich, pluralista e assertore di una coincidenza fra le due scienze (Ehrlich-Kelsen 1992).
 
{{Concezioni diritto}}