Camillo Boldoni: differenze tra le versioni

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Fervevano intanto le iniziative dei mazziniani che non volevano l’Italia riunita sotto una Monarchia, quale essa fosse. La sfortunata disavventura di Carlo Pisacane (1857) lo prova.
 
Cavour ebbe un incontro segreto con Napoleone Terzo nella località termale di Plombiers  e stabilì un accordo che avrebbe dovuto comportare la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, l’allargamento del Regno di Sardegna con l’annessione della Lombardia e la costituzione   di un regno dell’Italia Centrale affidato al granduca di Toscana o alla duchessa di Parma. Il Piemonte cominciò, allora, a rafforzare  il suo esercito e a chiamare   alle armi i volontari rifugiati nei suoi confini. Per raccoglierli venne costituito un Corpo paramilitare, che comprendeva due battaglioni stanziati il primo, a Savigliano (Cuneo), chiamato   Cacciatori delle Alpi, e l'altro, ad Aqui, chiamato Cacciatori degli Appennini. Il primo fu affidato a Giuseppe Garibaldi e il secondo a Girolamo Ulloa.
 
Il 6 maggio 1859, Camillo Boldoni si arruolò tra i Cacciatori degli Appenini   e   fu messo a capo di uno dei due reggimenti dei quali era costituito il Corpo. Il Regno di Sardegna, intanto, era già sceso in guerra il 27 aprile 1859 dopo che L’Austria, insospettita dalla attività prebellica del Piemonte, il 23 aprile 1859 gli aveva inviato un “ultimatum”.
 
Il 28 aprile 1859 Ulloa era stato chiamato in Toscana per essere messo a capo del costituendo  Esercito di Toscana e aveva chiesto di portare con sé i Cacciatori degli Appennini, ma la sua richiesta non era stata esaudita e il comando del Corpo era passato a Boldoni.
 
All’inizio delle ostilità Garibaldi venne mandato a Casale con i Cacciatori delle Alpi. Il 22 maggio era ad Arona  e nella notte successiva s’impossessò di Sesto Calende. Chiese, allora, di essere raggiunto dai Cacciatori degli Appennini. Gli venne risposto che questi non erano sotto il suo comando ed erano destinati ad altri compiti.
 
Il 2 giugno i Cacciatori degli Appennini furono mandati ad Alessandria. Non tutti i soldati avevano  ricevuto l’equipaggiamento e le armi, ma quello che più conta non erano addestrati. I volontari avevano sui coscritti il vantaggio di combattere per uno scopo e erano pronti a dare la vita per raggiungerlo, ma per fare questo avevano bisogno delle armi e di saperle usare. Ogni buon comandante ha cura dei propri soldati e Camillo  Boldoni protestò fino all’ultimo giorno di comando per ottenere quanto gli occorreva.  Queste sue proteste riportate a Garibaldi vennero ritenute una scusa addotta per non mettere i Cacciatori degli Appennini sotto il suo comando.
 
La vittoria dei franco-piemontesi, il 4 giugno 1859, a Magenta, aprì le porte di Milano e di Piacenza ed è qui che vennero destinati i Cacciatori degli Appennini, che vi giunsero il 21 giugno. Erano appena arrivati   quando giunse l’ordine di trasferirsi   a Milano. Qui, il 28 giugno 1859, ricevettero l’ordine di raggiungere Garibaldi a Como. I successivi trasferimenti non avevano consentito di far seguire gli equipaggiamenti agli uomini e occorse una settimana prima che il Corpo  si potesse trasferire a Como in pieno assetto.
 
Frattanto Il 24 giugno, dopo la battaglia di Solferino-San Martino, c’era stata la sosta delle ostilità e si stava trattando l’armistizio
 
I Cacciatori degli Appennini   raggiunsero Como l’8 luglio. Garibaldi, per prima cosa sostituì   Malenchini  a Boldoni e affidò a quest’ultimo il compito di recarsi a Brescia, Piacenza e Bergamo per procurare cannoni. L’armistizio di Villafranca, il 12 luglio 1859, mise fine a questa farsa e Boldoni  diede  subito le dimissioni. Anche Garibaldi lasciò il comando a metà agosto. Erano tutti delusi. Il regno di Sardegna aveva guadagnato la Lombardia, ma aveva dovuto cedere la Savoia e Nizza ai Francesi. Il Veneto era restato agli Austriaci e negli stati centrali d’Italia stavano per rientrare i governanti che ne erano fuggiti all’inizio delle ostilità.
 
Con il grado di colonnello, comandando il 1º reggimento «Cacciatori degli Appennini», fu decorato da Napoleone III con la massima onorificenza militare francese, la [[Médaille militaire]], per i meriti acquisiti durante la presa di [[Piacenza]].
 
Il 4 aprile del 1860 a Palermo un migliaio di rivoltosi s’impadronì del Monastero della Grancia e incitò alla rivolta i cittadini. Non vi fu una gran risposta tra la popolazione e non arrivarono in tempo gli armati che si attendevano dalla provincia. Per questi motivi il maggiore Bosco, quello stesso che avrebbe affrontato Garibaldi a Milazzo, ebbe buon gioco a soffocare la rivolta. La miccia restò accesa. Si attendeva solo chi sapesse inquadrare e guidare la rivolta.   Garibaldi, esacerbato e deluso dall’esito della guerra e spinto dagli esuli siciliani che avevano combattuto con lui nei Cacciatori, organizzò   una spedizione per dare manforte ai rivoltosi. Quasi mille volontari accorsero al suo richiamo e il 5 maggio partì con loro da Quarto. L’11 maggio sbarcarono a Marsala e trovarono ad attenderli un altro migliaio di uomini malamente armati. A Napoli e a Torino si pensò che Garibaldi avrebbero fatta in breve la stessa fine di Pisacane, ma non passò un mese che s’accorsero  d’aver sbagliato. Cavour, preoccupato   che Garibaldi arrivasse a Napoli con i suoi uomini e proclamasse la repubblica, corse ai ripari. Dopo un consulto con chi conosceva gli uomini di cui poteva disporre, fece chiamare Camillo Boldoni e lo presentò al Re. Vittorio Emanuele gli  diede il suo viatico e Cavour lo mandò a Napoli con l’incarico di far insorgere la Basilicata e la speranza che fosse capace di schierare un esercito lealista al fianco di Garibaldi quando sarebbe arrivato a Napoli. Nello stesso tempo Cavour  fece partire l’ esercito sabaudo che invase l’Umbria e le Marche  e, a Castelfidardo, il 20 settembre, batté il piccolo esercito di  volontari pontifici accorsi per contrastare l’invasione e si diresse lungo la costa adriatica verso le terre borboniche.
 
Camillo Boldoni, sotto falso nome, giunse a Napoli il 15 luglio 1860 e poté finalmente riabbracciare la   famiglia. 
 
Si trovò subito sommerso dalle dispute tra le varie correnti dei cospiratori, che si erano riuniti sotto un Comitato Centrale, ma non avevano sopito le loro liti. Tra loro c’era chi avrebbe voluto una nuova e più liberale Costituzione, chi voleva una Repubblica garantita da Garibaldi e chi voleva l’Italia riunita sotto la guida del Re di Sardegna. Erano comunque tutti d'accordo che non si sarebbe potuto ottenere nulla senza una vittoria
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e Nicolò Mignogna. A Camillo Boldoni fu affidato il Comando Militare dell’insurrezione e il 10 agosto i tre partirono per la Basilicata.
 
Mignogna e Albini erano entrambi repubblicani, il primo, uomo di Garibaldi, avrebbe  voluto per sé il comando militare ed entrò subito in contrasto con Boldoni. L'altro, più prudente, fungeva da ago della Bilancia e aveva in mano la carta vincente. I volontari che si adunarono numerosi il 14 e 15 agosto a Corleto erano, infatti frutto della sua paziente opera di proselitismo. Dopo due giorni fu insediato a Potenza un governo provvisorio in nome di Vittorio Emanuele e del dittatore Garibaldi. Boldoni accettò il compromesso, che fu aspramente criticato a Torino, e prese saldamente in mano il compito che gli era stato affidato. In poche settimane estese la rivolta alla parte settentrionale della Puglia e, per la fine di agosto la fascia dal Tirreno all’Adriatico, da Salerno a Barletta fu in potere degli insorti. Le armi arrivavano dai disertori dell’Esercito Borbonico, e grazie alle donazioni generose dei cittadini e alle sovvenzioni sabaude. Garibaldi il 31 agosto entrò a Cosenza festosamente accolto e il 5 settembre arrivò ad Auletta, dove Boldoni gli consegnò in nome del Re l’Esercito Meridionale. Il primo provvedimento di Garibaldi fu anche questa volta l’esonero di Boldoni dal comando. Il 7 settembre si recò in treno da Salerno a  Napoli mentre si svolgeva la festa di Piedigrotta.   A primi di ottobre si combatté al Volturno e gli ultimi fedeli di Francesco II. L’esito della battaglia fu incerto ma i borbonici si attestarono al di là del Garigliano. A cose fatte arrivò l’Esercito Piemontese e a fine ottobre Garibaldi attese Vittorio Emanuele a Teano. Il loro colloquio si svolse, a cavallo, senza testimoni. Non si sa cosa si dissero, ma possiamo ipotizzare che Garibaldi, conscio del provvidenziale aiuto ricevuto dall’Esercito Meridionale, nella battaglia del Volturno, abbia consegnato le terre conquistate al Re e gli abbia chiesto per   i suoi uomini il giusto premio per le loro imprese. La risposta del Re, qualunque fosse stata la richiesta, non soddisfece  Garibaldi, che girò il cavallo e raggiunse la sua scorta. Si racconta che quel giorno il Generale abbia mangiato pane e cipolle seduto su un muretto. L’offesa si concretizzò il 6 novembre quando Garibaldi schierò il suo esercito nel Largo di Palazzo per presentarlo al Re e questi non venne.   Dopo due anni Garibaldi fu ferito sull’Aspromonte e dopo sei fu sconfitto a Mentana. Visse i suoi ultimi anni a Caprera sorvegliato come un elemento pericoloso, ma circondato dall’affetto di quanti lo stimavano.
 
Successivamente Camillo Boldoni tornò in [[Piemonte]], dove si era ormai stabilito dal 48.