Cogito ergo sum: differenze tra le versioni

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== Implicazioni del ''cogito'' ==
Con il ''cogito ergo sum'' Cartesio sembra in parte rifarsi alla filosofia di [[Agostino d'Ippona|Agostino]] e alla sua affermazione ''[[Si fallor sum]]'' (''Se sbaglio esisto''),<ref>Agostino, ''La città di Dio'', XI, 26: «''Non qui non est, utique nec falli potest, ac per hoc sum; si enim fallor, sum''» («Ciò che non è, non può far niente, tantomeno sbagliare, il che è già far qualcosa; se dunque dubito, sono»).</ref> ma in realtà ne capovolge radicalmente la prospettiva: per Agostino, infatti, il [[dubbio]] era espressione della [[verità]], e significava che io ho la capacità di dubitare solo in quanto c'è una Verità che mi trascende e rende possibile il mio [[pensiero]].
 
Cartesio invece, che tiene lui stesso a sottolineare la differenza col metodo agostiniano, intende affermare che è la verità a scaturire dal dubbio, non viceversa. Il fatto di dubitare, cioè, è la condizione che mi permette di dedurre l'[[essere]] o la verità.<ref>La supremazia del ''cogito'' mette in evidenza la differenza di Cartesio rispetto ad esempio all'[[agostinismo]] di [[Tommaso Campanella|Campanella]]: «Per Cartesio l'autocoscienza è pensiero, e solo pensiero. [...] Mentre per Campanella essa era l'uomo e ogni cosa della natura, [...] la teoria ontologica cartesiana è tutta assorbita dall'esigenza critica del ''cogito'' al quale si riduce ogni dato; l'essere è condizionato dal conoscere» (Antonino Stagnitta, ''Laicità nel Medioevo italiano: Tommaso d'Aquino e il pensiero moderno'', Roma, Armando editore, 1999, pag. 78).</ref> Solo così il dubbio può diventare "metodico": arrivando a giustificarsi da sé, e non sulla base di una verità ad esso pregressa, il dubbio stesso si assume il compito di distinguere il vero dal falso.