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Durante il VII Congresso del PLI, svoltosi a Roma (Palacongressi dell'[[EUR|Eur]]) dal 9 all'11 dicembre [[1955]], gli “Amici del Mondo” diedero inizio all'avventura del [[Partito Radicale (Italia)|Partito Radicale]]. Essi erano variamente composti: ne facevano parte un gruppo di secessionisti del Partito Liberale (tra cui Pannunzio), una frangia moderata ([[Bruno Villabruna|Villabruna]], [[Adriano Olivetti|Olivetti]], [[Nicolò Carandini|Carandini]], [[Franco Libonati|Libonati]]) e una parte più progressista che vedeva tra i suoi militanti [[Arrigo Benedetti]] e [[Eugenio Scalfari]].
[[Ernesto Rossi]], in un primo momento, si mostrò titubante circa l’adesionel'adesione al partito ma, in occasione della prima costituente – 20 gennaio 1956 - fu egli stesso a cercare di convincere, in ambiente progressista, [[Giorgio Agosti]] e [[Manlio Rossi Doria]] ad aderire alla nuova iniziativa politica.
 
Il Partito Radicale si pose come alternativa alle forze politiche dominanti, intendendo la democrazia in senso laico, socialista e riformista. Questa "terza forza"<ref>{{cita|Cardini|p. 181|Cardini, 2011}}</ref> si prefiggeva di sbloccare una situazione politica già imbrigliata - come sosteneva [[Nicolò Carandini]] - tra il timore comunista da una parte e le istanze clericali dall'altra. D'altra parte il partito decise di rifiutare in parlamento ogni compromesso con le altre forze politiche presenti. Ciò a causa dell'ostilità che i fondatori avevano sempre nutrito nei confronti dei partiti politici, "mere macchine per fabbricare deputati e senatori". Può essere così spiegata la scarsa risolutezza che caratterizzò i primi anni di vita della nuova formazione politica.
 
Gli "Amici del Mondo" e il Partito Radicale condividevano, ad un primo sguardo, un orizzonte comune di problematiche, percorsi e obiettivi politico-sociali. Le istanze di maggior vicinanza erano ravvisabili, in primo luogo, nella necessità di abrogare talune leggi fasciste ancora presenti all'interno dell'ordinamento italiano e, successivamente, la realizzazione delle [[Comunità europee]], l'approvazione di leggi [[antitrust]], la difesa di una cultura e di un pensiero laico (soprattutto all'interno della scuola statale), "l'abolizione della miseria", l'urgenza di normare gli ambiti relativi al [[divorzio]] e al riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio... {{Citazione necessaria|Nel Taccuino. Il resto è silenzio, apparso nel dicembre [[1955]] sul «Mondo»}}, circa la comunione d'intenti tra uomini di salda cultura liberale – come Rossi, [[Riccardo Bauer]], [[Aldo Garosci]] - e i “nuovi radicali”- [[Bruno Villabruna]], [[Mario Pannunzio]], [[Nicolò Carandini]], [[Franco Libonati]]…– , fu scritto: «Accomunati dal vincolo fraterno delle amare esperienze non rassegnati, non perplessi, si accingono a costituire una nuova larga formazione politica che s’ispiris'ispiri ad una concezione moderna e civile del [[liberalismo]], a quella concezione che [[Benedetto Croce]] ebbe a definire ad una parola radicale […] In questo campo, i padroni del vapore non troveranno certo mercenari e staffieri pronti a vender le idee per un assegno mensile»<ref>[[Giuseppe Fiori]], ''Una storia italiana'', p. 260.</ref>.
 
Nonostante il Partito radicale mostrasse caratteristiche che senza dubbio erano perfettamente aderenti al pensiero di Ernesto Rossi, l'economista iniziò a porre una certa distanza tra sé e gli "Amici del Mondo". Con il passare degli anni i rapporti tra Rossi e Pannunzio divennero "molto freddi"<ref>{{cita|Cardini|p. 285|Cardini, 2011}}</ref>. La rottura del forte sodalizio tra Rossi e Pannunzio, che si era cementato nel corso della loro reciproca collaborazione al «Mondo», avvenne nel [[1962]]. In quell'anno scoppiò una diatriba all'interno del partito fra gli alternativisti, che intendevano costituire la “sinistra radicale” ([[Gianfranco Spadaccia]], [[Marco Pannella]], Roccella, Mellini, [[Angiolo Bandinelli]], [[Massimo Teodori]]) e i filo-[[Ugo La Malfa|lamalfiani]] ([[Giovanni Ferrara (repubblicano)|Giovanni Ferrara]], [[Stefano Rodotà]], [[Piero Craveri]]).
 
Il gruppo degli “Amici del Mondo” si lacerò e vide scindersi dal suo interno personalità quali Pannunzio, Carandini e Cattani. A provocare la rottura definiva tra Rossi e Pannunzio fu in particolare il “caso [[Leopoldo Piccardi|Piccardi]]”. Lo storico [[Renzo De Felice]] aveva scoperto nel corso delle sue ricerche sul razzismo in Italia, che nel 1939 Leopoldo Piccardi (1899-1974), in qualità di Consigliere di stato, aveva partecipato ad un convegno giuridico italo-tedesco destinato ad essere il luogo dell'elaborazione teorica delle [[Leggi razziali fasciste|leggi razziali]]. Mentre Pannunzio e altri “Amici del Mondo” condannarono irrevocabilmente Leopoldo Piccardi, Rossi che aveva sulle spalle anni di collaborazione con “l’amico“l'amico del Mondo”, gli fu solidale, insieme a [[Ferruccio Parri]].; Parri e Rossi avviarono da quel momento un sodalizio intellettuale che li vede collaborare sulle colonne del settimanale ''[[L'astrolabio]]''.
 
Gianfranco Spadaccia nel suo ritratto dedicato ad [[Ernesto Rossi]] “radicale” ricorda: «Noi, con la guida e la tenace ostinazione di [[Marco Pannella]], invece raccogliemmo l'eredità organizzativa e politica del Partito Radicale ridotto ormai a poche decine di iscritti ma avemmo l'insperato sostegno di [[Elio Vittorini]], che accettò di divenire presidente del Consiglio nazionale. Anche con Ernesto ci fu dunque una separazione organizzativa. Il suo scetticismo nei confronti dello strumento-partito fu rafforzato dalle vicende traumatiche che il [[Partito Radicale (Italia)|P.R.]] aveva subito. Non vi fu mai invece separazione personale e dissenso politico»<ref>[[Gianfranco Spadaccia]], ''Ernesto Rossi, un radicale'', in Lorenzo Strik Lievers,''Ernesto Rossi. Economista, federalista, radicale'', cit., p. 178</ref>.