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La pratica della riduzione dei debitori in schiavitù si era poi andata aggravando negli ultimi tempi, anche a causa dei frequenti conflitti che impegnavano i romani contro i bellicosi vicini, conflitti che, nel caso migliore non permettevano ai cittadini-soldati di seguire adeguatamente i lavori nelle proprie proprietà, in quello peggiore, ne comportavano la perdita o la distruzione.
 
{{Quotecitazione|''...Un uomo già piuttosto attempato e segnato dalle molte sofferenze irruppe nel foro. Era vestito di stracci lerci. Fisicamente stava ancora peggio: pallido e smunto come un cadavere e con barba e capelli incolti che gli davano un'aria selvaggia. Benché sfigurato, la gente lo riconosceva: correva voce che fosse stato un ufficiale superiore e quelli che lo commiseravano gli attribuivano anche altri onori militari; lui stesso, a riprova della sua onesta militanza in varie battaglie, mostrava le ferite riportate in pieno petto. Quando gli chiesero come mai fosse così mal ridotto e sfigurato - nel frattempo l'assembramento di gente aveva assunto le proporzioni di un'assemblea - egli rispose che, durante la sua militanza nella guerra sabina, i nemici non si eran limitati a razziargli il raccolto, ma gli avevano anche incendiato la fattoria e portato via il bestiame; poi, nel pieno del suo rovescio, erano arrivate le tasse e si era così coperto di debiti. Il resto lo avevano fatto gli interessi da pagare sui debiti contratti: aveva prima perso il podere appartenuto a suo padre e a suo nonno, quindi il resto dei beni e infine, espandendosi al corpo come un'infezione, il suo creditore lo aveva costretto non alla schiavitù, ma alla prigione e alla camera di tortura....|[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], [http://la.wikisource.org/wiki/Ab_Urbe_Condita/liber_II lib. II, par. 23]}}
tortura....''|[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], [http://la.wikisource.org/wiki/Ab_Urbe_Condita/liber_II lib. II, par. 23]}}
 
Mentre in senato si discuteva senza arrivare ad una soluzione sulla questione dei debitori ridotti in schiavitù, sul fronte militare Roma era minacciata dai [[Volsci]], resi più audaci dalle difficoltà interne alla Repubblica. Nonostante tutto però non riuscirono a convincere le città Latine, appena uscite sconfitte dalla [[battaglia del Lago Regillo]], ad unirsi a loro in funzione anti romana. Anzi, i Latini denunciarono al Senato romano i preparativi di guerra dei Volsci, ottenendo per questo la liberazione di oltre 6.000 soldati fatti prigionieri, e ridotti in schiavitù a seguito della sconfitta dell'anno prima.<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], lib. II, par 22</ref>
 
In questa situazione di crisi la plebe rimase compatta nel rifiutarsi di rispondere alla chiamata alle armi, se non fossero state accolte le proprie richieste. Il senato incaricò quindi il console Servilio, considerato più adatto di Appio per trattare con la plebe, di convincere il popolo ad arruolarsi. Servilio da parte sua, riuscì a convincere la plebe a rispondere alla chiamata alle armi, facendo promesse ed emanando un editto in favore dei debitori secondo il quale:
{{quotecitazione |....più nessun cittadino romano poteva essere messo in catene o imprigionato, in modo da impedirgli di iscrivere il proprio nome nella lista di arruolamento dei consoli, nessuno poteva impossessarsi o vendere i beni di un soldato impegnato in guerra, né trattenere i suoi figli e i suoi nipoti.|[[Tito Livio]], ''Ab Urbe Condita'', II, 24.|...ne quis civem Romanum vinctum aut clausum teneret, quo minus ei nominis edendi apud consules potestas fieret, neu quis militis, donec in castris esset, bona possideret aut venderet, liberos nepotesve eius moraretur.
|lingua=la}}