Bramino: differenze tra le versioni
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Con i più tardi testi, le ''Saṁhitā'', i ''Sūtra'' e i ''Brāhmaṇa'' (intesi in questo caso come commentari ai ''[[Veda]]'' redatti dagli stessi ''brāhmaṇa''), le prerogative e le funzioni sacerdotali dei ''brāhmaṇa'' vengono sempre più a delinearsi. È in questi testi che i ''brāhmaṇa'' iniziano a definirsi come l'unica casta collegabile al sacro e con il diritto di celebrare i sacrifici. Nel ''[[Śatapatha Brāhmaṇa]]'', (risalente a circa l'VIII secolo a.C.) i privilegi della casta sacerdotale vengono elencati (XI-5,7,1). Partendo dal fatto che essi ritengono di essere i rappresentanti del mondo degli Dèi (XII-4,4,6), i brāhmaṇa rivendicano onori (''arcā'') e doni (''dakśina''); il diritto a non subire vessazioni (''ajyeyatā''), e la condanna a morte (''avadhyatā'') anche nel caso di accertata colpevolezza<ref>La pena più grave che poteva essere loro inflitta era la perdita della benda sacra che portavano sul capo, la perdita dei beni e la messa al bando.</ref>.
A questi privilegi civili si aggiungeva il fatto che solo essi potevano consumare il ''[[Soma (Vedismo)|soma]]'' sacrificale e dividersi i resti del sacrificio (''ucchiṣṭa''). Persino la consorte e le vacche appartenenti ai ''brāhmaṇa'' venivano considerate "oggetti" sacri. In cambio di questi onori i ''brāhmaṇa'' si impegnavano a mantenere inalterata la trasmissione dell'antico sapere sacro nel corso dei secoli. I simboli esteriori dell'appartenenza alla [[casta]] dei ''brāhmaṇa'' erano ben precisati a partire dalle caratteristiche dei loro tumuli che potevano essere eretti fino all'altezza della bocca, essendo quelli degli ''
== Il brahmano nel periodo Classico e Moderno ==
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