Mastering: differenze tra le versioni

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Sempre più [[fonico|fonici]] di ripresa cominciarono a trascurare l'accuratezza della ripresa microfonica pensando di poter colmare eventuali lacune in fase di editing e di missaggio. Al loro pari anche in fase di missaggio si tendeva a trascurare alcuni dettagli produttivi pensando che sarebbe stato il mastering, ultimo anello della catena, a dover da solo definire o stravolgere completamente il suono di un brano.
 
Oggi, dopo un ventennio di audio digitale, sappiamo perfettamente che è fondamentale che ogni stadio della catena produttiva di un disco lavori al suo meglio se si vogliono ottenere buoni risultati, inoltre è risaputo che l'anello più debole della catena è sempre il primo, quindi nel nostro caso la registrazione della sorgente sonora.<br>
 
Il Mastering non ha la possibilità di stravolgere completamente il lavoro fatto in precedenza; d'altro canto è vero che partendo da tracce ben registrate e ben mixate è possibile ottenere un ottimo suono finale con un buon mastering.
 
Gran parte delle [[leggende metropolitane]] legate al mastering sono nate alla fine dello scorso decennio quando si è iniziato ad attuare dei bruschi interventi di compressione dinamica in fase di mastering.<br>
 
Queste scelte operative erano dettate dalle case discografiche che volevano che i loro brani suonassero a volumi più sostenuti.<br>
Era più facile che un brano con un volume maggiore attirasse l'attenzione degli ascoltatori di una stazione radio. In effetti, [[psicoacustica|psicoacusticamente]] parlando, risulta che le persone in genere trovino inconsciamente più piacevoli i brani con una pressione sonora maggiore. <br>
 
Il risultato fu l'appiattimento dinamico dei dischi dell'epoca. Andando ad analizzare la forma d'onda di un brano dai primi anni novanta in poi, scopriremmo che essa non presenta picchi ma rimane perlopiù vicina agli 0 dB, limite invalicabile dell'audio digitale.