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[[File:Arte romana, cameo in sardonice con guiulia domna come dea luna o syria, 193-217.JPG|thumbnail|Cameo con la dea Luna.]]
== Descrizione ==
Spesso era rappresentata come il complemento femminile di Sole, personificazione dell'astro solare. A volte si trova rappresentata, insieme a [[Proserpina]] e [[Ecate]], come ''diva triformis'', ossia dea che assume tre diverse sembianze.
A volte invece non è definibile come una vera e propria dea, quanto come un attributo che qualifica una dea, come quando [[
Ma [[Marco Terenzio Varrone|Varrone]], quando tratta i ''Di selecti'', la elenca tra altre 12 divinità, distinguendola da Diana e Giunone, che pure sono citate tra i ''Di selecti''.<ref>Varrone, come riportato da [[Agostino d'Ippona]] in [[La città di Dio]]</ref> Lo stesso Varrone la include tra gli dei visibili, tra i quali cita anche Sol, distinti da quelli invisibile come [[Nettuno (divinità)|Nettuno]], e quelli mortali come [[Ercole]].<ref>Varro, frg. 23 (Cardauns) = Tertullian, Ad nationes 2.2.14–2</ref>
== Culto e templi ==
Varrone elenca la dea Luna tra le 12 divinità vitali per l'agricoltura,<ref>Varro, De re rustica 1.1.4–6</ref> e Virgilio, che la elenca tra altre dodici divinità, le se riferisce come la più chiara sorgente di luce del mondo.<ref>Virgilio, Georgiche 1.5–25.
I romani datano il culto della dea all'epoca regia di Roma. [[Tito Tazio]] avrebbe portato a Roma il culto dei [[Sabini]],<ref>[[Marco Terenzio Varrone|Varrone]], ''De lingua latina 5.74''
Alla dea, identificata come ''Noctiluna'', venne dedicato anche un tempio sul [[Palatino]], ma di questo edificio non ci è noto che il riferimento di Varrone.<ref>Varro, De lingua latina 5.68</ref>
== Nell'arte ==
Nell'arte romana è rappresentata come la ''Luna crescente'' tirata da una biga cui sono aggiogati due buoi.
Nei Carmen Saeculare, rappresentati nel [[17 a.C.]], Orazio la rappresenta come ''siderum regina bicornis'', la regina degli astri dai due corni, mentre lei ascolta il canto di due ragazze ed [[Apollo]] quello di due ragazzi.<ref>Horace, Carmen Saeculare, lines 33–36.</ref>
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