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{{Citazione|Quando smembrarono [[Puruṣa]], in quante parti lo divisero? Che cosa divenne la sua bocca? Che cosa le sue braccia? Come sono chiamate ora le sue cosce? E i suoi piedi? La sua bocca diventò il ''brāhmaṇa'', le sue braccia si trasformarono nello ''[[kṣatriya]]'', le sue cosce nel ''[[vaiśya]]'', dai piedi nacque lo ''[[śūdra]]''.|''[[Ṛgveda]]'', X,90-11,12|yat puruṣaṃ vy adadhuḥ katidhā vy akalpayan <br>mukhaṃ kim asya kau bāhū kā ūrū pādā ucyete <br>brāhmaṇo 'sya mukham āsīd bāhū rājanyaḥ kṛtaḥ <br>ūrū tad asya yad vaiśyaḥ padbhyāḥ śūdro ajāyata|lingua=sa}}
Il '''brahmano''', detto anche '''bramino'''<ref>{{Treccani|bramino1|Bramino|accesso= 12 settembre 2015|v= 1|citazione=}}</ref> o '''bramano''', più raramente '''bracmano'''<ref>{{Treccani|brahmano|Brahmano|accesso= 12 settembre 2015|v= 1|citazione=}}</ref> ([[devanāgarī]]: ब्राह्मण, [[IAST]] ''brāhmaṇa''), è un membro della [[casta]]<ref>Questo termine è di derivazione esclusivamente occidentale (deriva dal lat. ''castus'', puro) fu usato per la prima volta nei confronti del ''varṇa'' indiano dai commercianti portoghesi.</ref> sacerdotale del ''Varṇaśrama dharma'' o ''Varṇa vyavastha'', la [[Sistema delle caste in India|tradizionale divisione]] in quattro [[casta|caste]] (''[[varṇa]]'') della società [[Induismo|induista]].
 
Il termine italiano "brahmano" deriva dal [[lingua latina|latino]] ''brachmani'' (o ''bragmani''), a sua volta ripreso dal [[lingua greca|greco]] ''brakhmânes'' che adatta in quella lingua il termine [[sanscrito vedico]] ''brāhmaṇa''.

I brahmani rappresentano la casta sacerdotale e costituiscono la prima delle quattro caste<ref>Da precisare che nel ''[[Ṛgveda]]'' non vi è alcun riferimento al primato di questa [[casta]] a riprova del fatto che nel primo periodo[[Veda|vedico]] qualsiasi componente della tribù degli [[Arii]] poteva candidarsi a questa funzione.</ref>: a loro spetta la celebrazione dei rituali religiosi più significativi.
 
== Origine del termine e sviluppo della sua funzione nella cultura [[Veda|vedica]] ==
[[File:Agni 18th century miniature.jpg|Agni|thumb|Il Dio [[Veda|vedico]] del sacerdozio, [[Agni]] in un'immagine devozionale del XVIII secolo. Da notare che cavalca una capra (''ajā'') che indica l'energia della Terra, il suo copricapo è il sacro fuoco (come la barba), mentre i suoi attributi sono ascia (''paraśu''), fiaccola, rosario (''[[akṣamālā]]'') e lancia di fuoco (''śakti''). Questa immagine essendo a quattro braccia lo individua con due teste.]]
 
Il termine [[sanscrito]] ''brāhmaṇa'' deriva, per alcuni autori come [[Jan Gonda]]<ref>Jan Gonda. ''Notes on Brahman''. Utrecht, 1950.</ref>, da ''bṛh'' ([[sanscrito vedico]], it.: forza, crescita, sviluppo) ovvero colui che possiede il ''bṛh'' intesa come forza magica e misteriosa, da cui il successivo ''[[Brahman]]''<ref>Da precisare che il sacerdote, il ''brāhmaṇa'', e il ''[[Brahmaṇ]]'' vengono indicati nello stesso modo, essendo tuttavia il primo di genere maschile, il secondo di genere neutro. Nei [[Veda]] non compare mai nella forma neutra ma solo in quella maschile, dal che se ne deriva che lo sviluppo della funzione e lo stesso nome sacerdotale ha preceduto l'indagine speculativa del ''[[Brahman]]'', appartenendo quest'ultima alla più tarda letteratura delle ''[[Upaniṣad]]''.</ref> intesa come forza o realtà cosmica.
 
L'origine del termine ''brāhmaṇa'' e il consequenziale sviluppo del suo utilizzo nella letteratura [[Veda|vedica]] e delle funzioni sacerdotali ad esso attribuite seguono un percorso piuttosto articolato.

Il ''[[Ṛgveda]]'' si apre in questo modo:
{{Citazione|Ad [[Agni]] rivolgo la mia preghiera, al sacerdote domestico, al divino officiante del sacrificio, all'invocatore che più di tutti porta ricchezze. |Ṛgveda, I-1,1|agnim īḍe purohitaṃ yajñasya devam ṛtvijam hotāraṃ ratnadhātamam|lingua=sa}}
 
[[File:Rigveda MS2097.jpg|left|thumb|upright=1.4|''[[Ṛgveda]]'' (''padapatha'') manoscritto in [[devanāgarī]] risalente al XIX secolo.]]
 
La funzione sacerdotale del dio [[Agni]] è il primo tema affrontato dal primo ''[[Veda]]''. Questa funzione è la prima ad essere ben delineata soprattutto in qualità di ''hotṛ'', l'officiante delle libagioni (simile al ''[[zaotar]]'' dell'<nowiki></nowiki>''[[AvestaAvestā]]'').
 
Ma a ben guardare il ''[[Ṛgveda]]'' (risalente ad un periodo incerto, comunque a cavallo tra il XX e il X secolo a.C.) è un vero e proprio manuale delle attività sacerdotali del dio [[Agni]] che, dopo essere indicato come ''hotṛ'', viene assunto anche al ruolo di ''adhvaryu'', di ''brāhmaṇa'', di ''potṛ'', di ''neṣṭṛ'', di ''agnīdh'', ''gṛapathi'' e ''praśāstṛ''.
 
A queste attribuzioni del Dio corrispondevano dei sacerdoti [[arii]] specifici (a loro volta corrispondenti alle otto classi sacerdotali delineate anche nell'<nowiki></nowiki>''[[AvestaAvestā]]'' e quindi di probabile derivazione [[Indoeuropei|Indoeuropea]]). Nel pieno del successivo sviluppo [[Veda|vedico]] (intorno al X secolo a.C.), i compiti di principali officianti (''ṛtvij'') del rito più importante, il ''[[Soma (Vedismo)|soma]]'' (l<nowiki>'</nowiki>''haoma'' dell<nowiki>'</nowiki>''[[Avesta]]'') si distingueranno, tuttavia, in sole quattro qualità sacerdotali: ''brāhmaṇa'', ''adhvaryu'', ''udgātṛ'' e ''hotṛ''.
 
Non solo, osserva David M. Knipe:
Ognuno di questi quattro sacerdoti veniva coadiuvato da ulteriori tre assistenti (''samhita''). E, come all''<nowiki>'</nowiki>hotṛ'' veniva assegnato il compito di recitare il ''[[Ṛgveda]]'', gli altri tre officianti avevano rispettivamente il compito di recitare: l<nowiki>'</nowiki>''adhvaryu'' lo ''[[Yajurveda]]''; l<nowiki>'</nowiki>''udgātṛ'' il ''[[Sāmaveda]]'', mentre al ''''brāhmaṇa'' non solo veniva affidata la recitazione del quarto [[Veda]], l<nowiki>'</nowiki>''[[Atharvaveda]]'', ma anche il compito di controllare e soprintendere all'intero rito e la recitazione degli altri tre [[Veda]] rappresentando, l<nowiki>'</nowiki>''[[Atharvaveda]]'', il loro compimento.
{{q|Le somiglianze nelle funzioni non solo dei brahmani vedici e dei magi iranici, ma anche dei druidi celtici e dei flamini romani hanno portato alcuni studiosi a ipotizzare una tradizione sacerdotale proto-indoeuropea.|David M. Knipe, ''Sacerdozio induista'', in "Enciclopedia delle religioni", vol. 9. Milano, Jaca Book, (1987) 2006, p.320}}
 
Nel pieno del successivo sviluppo [[Veda|vedico]] (intorno al X secolo a.C.), i compiti di principali officianti (''ṛtvij'') del rito più importante, il ''[[Soma (Vedismo)|soma]]'' (l<nowiki>'</nowiki>''haoma'' dell'<nowiki></nowiki>''[[Avestā]]'') si distingueranno, tuttavia, in sole quattro qualità sacerdotali: ''brāhmaṇa'', ''adhvaryu'', ''udgātṛ'' e ''hotṛ''.
Sempre nel ''[[Ṛgveda]]'' (X-71,11) i compiti dei quattro officianti vengono riassunti nel singolo ''brāhmaṇa'' essendo costui quello che rappresenta l'intero sacerdozio in quanto sa, conosce (''vidyā'') ed esprime il ''[[Brāhmaṇ]]''. Ne consegue che il ''brāhmaṇa'', il sacerdote della società [[Veda|vedica]], è colui che è in grado di conoscere e insegnare la rivelazione cosmica. Questo sviluppo della letteratura [[Veda|vedica]] porterà ad identificare nel termine ''brāhmaṇa'' gli interi compiti della [[casta]] sacerdotale. Nell'India [[Vedismo|vedica]] si celebravano cerimonie pubbliche (''śrauta'') comprendenti tre fuochi sacrificali e cerimonie private (familiari, ''grhya'') con un singolo fuoco sacrificale.
 
Ognuno di questi quattro sacerdoti veniva coadiuvato da ulteriori tre assistenti (''samhita''). E, come all''<nowiki>'</nowiki>hotṛ'' veniva assegnato il compito di recitare il ''[[Ṛgveda]]'', gli altri tre officianti avevano rispettivamente il compito di recitare: l<nowiki>'</nowiki>''adhvaryu'' lo ''[[Yajurveda]]''; l<nowiki>'</nowiki>''udgātṛ'' il ''[[Sāmaveda]]'', mentre al ''''brāhmaṇa'' non solo veniva affidata la recitazione del quarto [[Veda]], l<nowiki>'</nowiki>''[[Atharvaveda]]'', ma anche il compito di controllare e soprintendere all'intero rito e lail controllo della recitazione degli altri tre [[Veda]] rappresentando, l<nowiki>'</nowiki>''[[Atharvaveda]]'', il loro compimento.
Nel corso del X secolo a.C. venne a costituirsi una classe di ''brāhmaṇa'', i ''[[purohita]]'', a cui venivano affidati i sacrifici (''yajamāna'') offerti dalle famiglie. Il ''purohita'' diviene di fatto il sacerdote di famiglia, colui che non solo offre le libagioni nei villaggi e nelle case, ma fornisce anche indicazioni etico-religiose e consigli spirituali alle famiglie e agli individui (in qualità di ''[[guru]]'' o ''[[ācārya]]'').
 
Sempre nel ''[[Ṛgveda]]'' (X-71,11) i compiti dei quattro officianti vengono riassunti nel singolo ''brāhmaṇa'', essendo costui quello che rappresenta l'intero sacerdozio in quanto sa, conosce (''vidyā'') ed esprime il ''[[Brāhmaṇ]]''.
 
Ne consegue che il ''brāhmaṇa'', il sacerdote della società [[Veda|vedica]], è colui che è in grado di conoscere e insegnare la rivelazione cosmica e quindi lo stesso ''[[Brahman]]'', che ne rappresenta la parola in formula poetica. Questo sviluppo della letteratura [[Veda|vedica]] porterà ad identificare nel termine ''brāhmaṇa'' gli interi compiti della [[casta]] sacerdotale.
 
Nell'India [[Vedismo|vedica]] si celebravano cerimonie pubbliche (''śrauta'') comprendenti tre fuochi sacrificali e cerimonie private (familiari, ''grhya'') con un singolo fuoco sacrificale. Nel corso del X secolo a.C. venne così a costituirsi una sotto-classe di ''brāhmaṇa'', i ''[[purohita]]'', a cui venivano affidati i sacrifici (''yajamāna'') offerti dalle famiglie. Il ''purohita'' divienedivenne di fatto il sacerdote di famiglia, quindi colui che non solo offre le libagioni nei villaggi e nelle case, ma fornisce anche indicazioni etico-religiose e consigli spirituali alle famiglie e agli individui (in qualità di ''[[guru]]'' o ''[[ācārya]]'').
 
== Lo sviluppo delle prerogative sacerdotali e di casta ==
Con i più tardi testi, le ''Saṁhitā'', i ''Sūtra'' e i ''[[Brāhmaṇa]]'' (intesi in questo caso come commentari ai ''[[Veda]]'' redatti dagli stessi ''brāhmaṇa''), le prerogative e le funzioni sacerdotali dei ''brāhmaṇa'' vengono sempre più a delinearsi.

È in questi testi che i ''brāhmaṇa'' iniziano a definirsi come l'unica casta collegabile al sacro e con il diritto di celebrare i sacrifici. Nel ''[[Śatapatha Brāhmaṇa]]'', (risalente a circa l'VIII secolo a.C.) i privilegi della casta sacerdotale vengono elencati (XI-5,7,1). Partendo dal fatto che essi ritengono di essere i rappresentanti del mondo degli Dèi (XII-4,4,6), i brāhmaṇa rivendicano onori (''arcā'') e doni (''dakśina''); il diritto a non subire vessazioni (''ajyeyatā''), e la condanna a morte (''avadhyatā'') anche nel caso di accertata colpevolezza<ref>La pena più grave che poteva essere loro inflitta era la perdita della benda sacra che portavano sul capo, la perdita dei beni e la messa al bando.</ref>.
 
A questi privilegi civili si aggiungeva il fatto che solo essi potevano consumare il ''[[Soma (Vedismo)|soma]]'' sacrificale e dividersi i resti del sacrificio (''ucchiṣṭa''). Persino la consorte e le vacche appartenenti ai ''brāhmaṇa'' venivano considerate "oggetti" sacri. In cambio di questi onori i ''brāhmaṇa'' si impegnavano a mantenere inalterata la trasmissione dell'antico sapere sacro nel corso dei secoli. I simboli esteriori dell'appartenenza alla [[casta]] dei ''brāhmaṇa'' erano ben precisati a partire dalle caratteristiche dei loro tumuli che potevano essere eretti fino all'altezza della bocca, essendo quelli degli ''kṣatriya'' eregibili fino all'altezza delle ascelle, quelli dei ''vaiśya'' fino all'altezza delle cosce, mentre quelli dei '' śūdra'' non potevano superare le ginocchia. Così gli ornamenti dei ''brāhmaṇa'' erano in [[oro]] e [[argento]] di prima qualità, la loro [[iniziazione]] avveniva di [[primavera]] e potevano possedere fino a quattro mogli (la prima moglie doveva essere della stessa casta del marito, ''Libro di Manu'' III-12,13), quando gli ''kṣatriya'' non potevano averne più di tre, i ''vaiśya'' due e i '' śūdra'' un solo coniuge.
 
Si sviluppò quindi un sistema di scuole brahmaniche (''śākhā''), collegate tra loro, per salvaguardare e trasmettere la tradizione, rigidamente orale, ognuna delle quali era connessa a uno dei quattro ''Veda''. Allo stesso modo queste scuole vantavano di essere l'eredità dei tradizionali ''[[Ṛṣi]]'', questi a fondamento dell'intero''Veda''.
 
== Il brahmano nel periodo Classico e Moderno ==
A partire dalla prima metà del primo millennio a.C., la casta dei ''brāhmaṇa'' ha subito la concorrenza delle nuove religioni indiane allora emergenti: il [[Buddhismo]] e il [[Jainismo]].
Unitamente a questi nuovi movimenti religiosi, la stessa riflessione religiosa promossa dalle ''[[Upaniṣad]]'' promuoveva una interiorizzazione dell'attività sacrificale propria delle funzioni dei brāhmaṇa. Gli emergenti movimenti dedicati alla ''[[bhakti]]'' ponevano la devozione alla divinità e il rispettivo culto (''pūjā'') al di sopra del sacrificio [[Veda|vedico]] (''[[yajña]]''). Questa crisi di valori e di pratiche religiose relativa alle funzioni sacerdotali della [[casta]] ''brāhmaṇa'' subì un arresto all'inizio del periodo [[Gupta]] (III-VI secolo d.C.) quando le attività sacrificali ebbero una discreta ripresa. A questo corrispose la rinascita e la diffusione degli ''[[Śrauta-sūtra]]'', raccolte di ''sūtra'' basate sulla letteratura vedica e, in particolar modo, sui commentari ai quattro veda, i ''brāhmaṇa'', che inerivano alle istruzioni sacrificali.
 
Unitamente a questi nuovi movimenti religiosi, la stessa riflessione religiosa promossa dalle ''[[Upaniṣad]]'' promuoveva una interiorizzazione dell'attività sacrificale propria fino a quel momento delle funzioni dei ''brāhmaṇa''.
Ma il declino dei [[yajña|sacrifici vedici]] riprese a partire dal V secolo d.C. provocando un forte cambiamento sociale e di attribuzione di ruolo nella casta dei brahmani. Questi ultimi si distribuivano sempre più sul territorio, fino ai villaggi e alle famiglie presentandosi come una casta separata e collegata in esclusiva col sacro. Tale relazione esclusiva veniva esemplificata nel ruolo di ''Yajamāna'' così come indicato in varie parti dello ''Śatapatha Brāhmaṇa''. Ad esempio, il sacrificio del cavallo (''aśvamedha'', XIII 2.2.16)) veniva eseguito con un coltello d'oro per mezzo del quale (la luce dell'oro) il brahmano raggiungeva lui stesso il mondo trascendentale degli dèi, si lega alla potenza divina. In ultima analisi il brahmano diviene specialista del sacro, la sua casta l'unica collegabile al mondo degli dèi e ciò permane nonostante il declino della pratica dei sacrifici.
 
Non solo, gli emergenti movimenti dedicati alla ''[[bhakti]]'' ponevano la devozione alla divinità e il rispettivo culto (''pūjā'') al di sopra del sacrificio [[Veda|vedico]] (''[[yajña]]'').
 
Unitamente a questi nuovi movimenti religiosi, la stessa riflessione religiosa promossa dalle ''[[Upaniṣad]]'' promuoveva una interiorizzazione dell'attività sacrificale propria delle funzioni dei brāhmaṇa. Gli emergenti movimenti dedicati alla ''[[bhakti]]'' ponevano la devozione alla divinità e il rispettivo culto (''pūjā'') al di sopra del sacrificio [[Veda|vedico]] (''[[yajña]]''). Questa crisi di valori e di pratiche religiose relativa alle funzioni sacerdotali della [[casta]] ''brāhmaṇa'' subì un arresto all'inizio del periodo [[Gupta]] (III-VI secolo d.C.) quando le attività sacrificali ebbero una discreta ripresa. A questo corrispose la rinascita e la diffusione degli ''[[Śrauta-sūtra]]'', raccolte di ''sūtra'' basate sulla letteratura vedica e, in particolar modo, sui commentari ai quattro veda, i ''brāhmaṇa[[Brāhmaṇa]]'', che inerivano alle istruzioni sacrificali.
 
Ma il declino dei [[yajña|sacrifici vedici]] riprese a partire dal V secolo d.C. provocando un forte cambiamento sociale e di attribuzione di ruolo nella casta dei brahmani. Questi ultimi si distribuivano sempre più sul territorio, fino ai villaggi e alle famiglie presentandosi come una casta separata e collegata in esclusiva col sacro.
 
Così vennero a delinearsi quei tre "gruppi" sacerdotali che riverbereranno nell'India moderna: i brahmani detti ''vaidika'', strettamente legati alla tradizione vedica e alla letteratura religiosa in lingua sanscrita detta ''[[Śruti]]'' e quindi alle relative scuole di trasmissione anche cultuale; un gruppo più vasto costituito sempre da brahmani ma dedito a testi e riti relativi alla raccolta religiosa detta ''[[Smṛti]]'', quindi agli ''[[Itihāsa]]-[[Purāṇa]]'', più aperta, quindi, agli idiomi locali quali, ad esempio il tamiḻ o il konkanī; infine un maggiormente diffuso gruppo "sacerdotale" che prescindeva dall'appartenenza castale, includendo anche i fuori-casta, e dedito prevalentemente a culti inerenti alla Dea e alla divinazione, agli esorcismi, alla taumaturgia.
 
E, nonostante le teologie "[[induiste]]" si diversificassero sempre più in differenti e contraddittorie dottrine, a volte avanzate da esponenti di caste differenti da quelle del ''brāhmaṇa'', a lui e solo a lui spettano comunque le relazioni col sacro. L'intramontata letteratura vedica indica solo lui adatto a ciò. Ma il successivo sviluppo medievale fa emergere tre distinti gruppi sacerdotali: il primo, ancora vincolato alla letteratura vedica e al linguaggio [[sanscrito vedico]]; il secondo, più grande, pronto ad accogliere la letteratura religiosa successiva come i ''[[Purāṇa]]'' e gli ''[[Āgama]]'' e pronto ad accogliere anche gli idiomi locali quali il [[Konkani]], il [[Lingua Tamil|Tamil]], il [[Bengali]], l'[[Hindi]]; un terzo gruppo, ancora più grande del secondo, era invece formato da sacerdoti non di casta ''brāhmaṇa'', per lo più illetterati e collegati a riti tribali, sciamanici e culti locali periferici, pronunciati secondo miriadi di dialetti locali e periferici.