Muzak (rivista): differenze tra le versioni

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Nel primo numero che era già composto da 68 pagine compariva un manifesto dal titolo ''Autoritratto della muzak generation'' che ne tracciava le linee programmatiche:
 
{{Citazione|Muzak. Con questa parola gli inglesi indicano la musicaccia. Quella di [[Orietta Berti]]. O [[Engelbert Humperdinck (cantante)|Engelbert Humperdick]]. O [[David Cassidy]]. Tre, quattro, cinque, forse dieci (chi ancora si ricorda di [[Elvis]]?) anni fa ognuno ha avuto modo di trovare nella musica la sua soddisfazione di un momento. Forse la majurana. Forse un rumcocacola di troppo. Un partner da amare. E certi colpi di batteria, una chitarra solista. Un suono elettronico che entra in circolo, o la politica sublimata nel sound semplificato e vagamente [[Woody Guthrie|guthriano]] di [[Bob Dylan]] o di [[Joan Baez]] prima maniera. Il bisogno di razionalità dei [[Pink Floyd]]. O quello di pazzia (elegiamola...all'infinito) di [[Frank Zappa]]. O ancora le evoluzioni sonoro-canore di [[Jimi Hendrix|Jimi]] l'indimenticabile. E perché no? Amche i [[Beatles]]. Anche quelli discguistosamentedisguistosamente muzak di michelle[[Michelle]]. E i [[Rolling Stones|rollingRolling]]: punto fermo di tante orecchie tristi e sorde.
 
Ecco, Muzak non c'entra niente. È autoironia. E buttatela via l'autoironia di questi tempi. Muzak è rimarcare che tutto ciò che è musica (anche la [[Musica da ascensore|muzak]], appunto) è sempre e comunque una cosa che riguarda delle persone. Veicolo dell'individualità ritrovata e della socialità riscoperta. Muzak è musicaccia. Ebbene: la musicaccia è quello che ci interessa. Se non altro per renderla musica a tutti gli effetti. Un'utopia? E perché no?|Il collettivo redazionale, Muzak #1, Ottobre 1973}}