Il sangue dei vinti: differenze tra le versioni

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L'opera intende denunciare una congiura del silenzio, tema che verrà affrontato in particolare ne ''[[La Grande Bugia]]'', e di una cultura dell'insabbiamento sistematiche alle quali la sinistra, in particolare quella comunista, ha fatto ricorso, per rintracciare le radici della stagione delle stragi e della [[strategia della tensione]], questa volta ribaltando i termini della questione, laddove ai silenzi e ai compromessi segreti posti in essere dalla Repubblica, si oppone l'amnesia e la mistificazione che ha non solo colpito i vinti, ma la loro stessa memoria.
 
L'autore infatti sostiene che l'obiettivo dell'opera è circoscritto nel raccontare, sottraendolo ai decenni di oblio cui lo ha condannato una certa ''retorica resistenziale'', il destino dei vinti, vittime di una persecuzione non casuale ed organizzata, tesa a realizzare l'egemonia del PCI in guisa che pubblicate dal quotidiano [[La Repubblica (quotidiano)|la Repubblica]] in replica ad alcune critiche al suo libro, «''i dirigenti comunisti italiani intendevano indebolire un'intera classe, la borghesia, e sostituire il vecchio ceto dirigente con una nuova leadership in cui il Pci fosse pienamente rappresentato. È esattamente ciò che è accaduto dopo il 25 aprile, in tante località, anche piccole. Dove sono stati giustiziati il podestà, il segretario comunale, il medico condotto, la maestra, l'ostetrica, il possidente o il commerciante più in vista. [...] Accoppando questa gente, e facendo sparire i loro corpi, si creava un vuoto che è stato riempito da un altro ceto''»<ref>G. Pansa, ''Sangue nero sangue rosso'', «la Repubblica», 13 novembre 2003.</ref>.
 
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