Referendum costituzionale in Italia del 2006: differenze tra le versioni

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* [[Devolution|Devoluzione]] alle [[Regioni d'Italia|regioni]] della potestà legislativa esclusiva in alcune materie come organizzazione scolastica, polizia amministrativa regionale e locale, assistenza e organizzazione sanitaria (le norme generali sulla tutela della salute tornano di competenza esclusiva dello Stato); secondo i sostenitori del SÌ al referendum, questo avrebbe portato a maggiore responsabilizzazione delle autonomie regionali, allocando contemporaneamente poteri decisori e poteri di spesa alle Regioni, riducendo le spese sanitarie che altrimenti avrebbero toccato punte elevate, comportando un aumento dell'addizionale [[Irpef]] in diverse Regioni; secondo i sostenitori del NO, la devoluzione avrebbe comportato un aumento del fabbisogno economico superiore ai possibili trasferimenti di risorse dallo Stato e, quindi, l'introduzione di nuove imposte nelle regioni meno "virtuose";
* Alcuni ambiti (come la sicurezza del lavoro, le norme generali sulla tutela della salute, le grandi reti strategiche di trasporto, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento delle professioni intellettuali, l'ordinamento sportivo nazionale e la produzione strategica dell'energia) che, a seguito della riforma del 2001 erano regolati con leggi di principio statali e leggi di dettaglio regionali, sarebbero tornati di esclusiva competenza della legislazione statale. Secondo i sostenitori del SÌ, ciò avrebbe corretto talune storture della riforma del titolo V approvata dal [[centrosinistra]] nel 2001 che per alcune materie aveva già prodotto molti ricorsi alla corte costituzionale e per molte altre ne avrebbe causato a venire: a titolo di esempio, se l'ordinamento sportivo fosse rimasto competenza regionale, si sarebbe rischiata, per il futuro, l'illegittimità costituzionale dei campionati nazionali di calcio; secondo i sostenitori del NO, la Corte costituzionale aveva già interpretato il testo del titolo V in modo conforme alle esigenze prospettate da questa parte della revisione, rendendola non necessaria;
* Fine del [[bicameralismo perfetto]], con suddivisione del potere legislativo tra Camera dei deputati e Senato Federale. La Camera avrebbe discusso, in linea di principio, leggi di ambito nazionale (bilancio, energia, opere pubbliche, valori fondamentali, trattati internazionali, ecc.) e il Senato leggi che interessano materie a competenza regionale esclusiva o concorrente con lo Stato; secondo i sostenitori del SI, ciò avrebbe comportato maggiore velocità e incisività nell'approvazione delle leggi, poiché,perché senzain laassenza della riforma unal'approvazione leggedelle develeggi essereavrebbe approvatacontinuato daa quasirichiedere 1000il parlamentariconsenso e con ilsul medesimo testo sia daalla Camera che Senato, facendo, a volte, rallentare l'iter legislativo; secondo i sostenitori del NO, la ripartizione di competenze non èsarebbe stata chiara e avrebbe provocato numerosi conflitti di competenza dinanzi alla Corte costituzionale tra Camera e Senato. Taluni sostenitori del SÌ hanno ribattuto che la parte della riforma relativa all'iter legislativo si sarebbe applicata solo a partire dalla prima legislatura successiva all'entrata in vigore della legge costituzionale (quindi, salvo elezioni anticipate, nel [[2011]]) e nel frattempo eventuali lacune sarebberoavrebbero potutepotuto essere risolte dal Parlamento. Per i critici, inoltre, l'approvazione delle leggi da parte di una sola Camera avrebbe portato ad una minore ponderazione nell'elaborazione dei testi legislativi;
* Riduzione del numero di [[deputati]] (da 630 a 518) e [[senatori]] (da 315 a 252), con decorrenza tra due legislature. I senatori sarebbero stati eletti contestualmente all'elezione dei consigli regionali; i senatori a vita sarebbero diventati "deputati a vita"; sarebbe diminuita l'età minima per essere eletti alla Camera (da 25 a 21 anni) e al Senato (da 40 a 25 anni). La riduzione sarebbe stata in vigore dalla [[XVI Legislatura della Repubblica Italiana|XVI Legislatura]] e quindi non necessariamente nel 2016 come spesso riportato, ma certamente non sarebbe stata immediata;
* Aumento dei poteri del [[Primo Ministro]], con il cosiddetto "[[Premierato]]"; questi avrebbe potuto revocare i ministri, dirigere la politica degli stessi non più coordinando l'attività dei ministri ma determinandola; avrebbe potuto sciogliere direttamente la Camera (potere solitamente affidato al [[Presidente della Repubblica Italiana|Presidente della Repubblica]], non esercitabile però incondizionatamente, poiché egli può indire elezioni anticipate - secondo la migliore prassi - solamente ove riscontri l'impossibilità di una qualsiasi maggioranza); secondo i sostenitori del NO, ciò avrebbe aumentato eccessivamente i poteri del Primo Ministro, consentendogli di controllare la Camera, mentre storicamente è stato accettato il concetto secondo il quale dovrebbe essere lui a rendere conto al Parlamento. Inoltre la facoltà di revoca dei ministri, sempre secondo i sostenitori del NO, sarebbe stata puramente teorica in un sistema bipolare multipartitico, in cui l'estromissione di un ministro avrebbe come effetto la fine del sostegno del suo partito alla maggioranza; secondo i sostenitori del SÌ, la riforma avrebbe reso più incisiva l'azione di governo, dotando di effettivi poteri il premier;