Johann Wolfgang von Goethe: differenze tra le versioni

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Goethe fu anche portatore di una sua [[weltanschauung|visione filosofica]] del mondo, che egli tuttavia non tradusse mai in un sistema compiuto di pensiero, ma lo spinse a ricercare nei filosofi del suo tempo, o a lui precedenti, quei concetti in grado di esprimere ciò che sentiva: egli li trovò dapprima in [[Giordano Bruno]], per il quale la ragione universale è l'«artista interiore» che plasma e permea l'universo in ogni sua parte. In seguito si rivolse a [[Spinoza]] e alla sua concezione della [[divinità]] [[immanente]] al [[mondo]], da ricercare all'interno di questo: le [[leggi naturali|leggi della natura]] non sono soltanto una creazione di [[Dio]], ma costituiscono la Sua stessa essenza.
 
Goethe non poté invece trovare in [[Kant]] alcuna affinità, ritenendo che costui eludesse il vero problema della [[conoscenza]], poiché si occupava del modo in cui la realtà risulta apparirci e non di come essa fosse oggettivamente.<ref>Dell'opera kantiana Goethe apprezzò soltanto la ''[[Critica del Giudizio]]'' per la reciproca interazione che essa individuava tra arte e natura (cfr. [[Ernst Cassirer]], ''Rousseau, Kant, Goethe'', a cura di Giulio Raio, pp. 55-56, Donzelli Editore, 1999.</ref> Maggiore fonte di ispirazione trovò in [[Ferdinand Canning Scott Schiller|Schiller]], che lo spinse a vedere nel ''tipo'' della pianta o dell'animale, che Goethe chiamava ''[[entelechia]]'', l'«[[Idea]]» in senso filosofico. Goethe poté così venire attratto dagli esponenti dell'[[idealismo tedesco]], soprattutto dal giovane [[Friedrich Schelling|Schelling]], da cui apprese l'importanza di risalire dalla natura quale mero prodotto (''natura naturata'') alla natura creante (''[[natura naturans]]'') in via di divenire, e quindi da [[Hegel]] e dal suo tentativo di ricostruire il processo dialettico che dall'[[Assoluto]] conduce al dato finito.<ref>Ciò nonostante vi fosse una differenza di metodologia tra Goethe e Hegel, cfr. [[Karl Löwith]], ''Goethe ed Hegel'', in ''Da Hegel a Nietzsche'', trad. it., pp. 23-62, Torino, Einaudi, 1949.</ref>
 
Comune alla mentalità filosofica del [[romanticismo]], che egli stesso contribuì a forgiare, è la consapevolezza di Goethe che la natura è un [[organismo]] vivente, una totalità organizzata unitariamente, che si evolve in particolare attraverso l'alternanza di due forze: una di [[sistole]], cioè di concentrazione in un'entità individuale, e una di [[diastole]], ossia di espansione illimitata. Si tratta di un approccio [[contemplazione|contemplativo]] al divino, non però di tipo [[mistico]], né [[fede|fideistico]] nel senso religioso tradizionale, perché non esclude la riflessione e la possibilità di una [[conoscenza]] chiara e trasparente delle forme in cui si rivela la divinità. Questa va ricercata non nell'ultramondano, ma restando all'interno della natura, che è «la veste vivente della divinità»,<ref>Cit. in Andrzej Kobyliński, ''Modernità e postmodernità: l'interpretazione cristiana dell'esistenza al tramonto dei tempi moderni nel pensiero di Romano Guardini'', Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1998, p. 159.</ref> a partire dalle sue espressioni immediate.