Tantra: differenze tra le versioni

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Un'altra tradizione moderata la si ritrova nello [[Śaivasiddhānta]], una tradizione ''śaiva'' tuttora presente in India soprattutto nel sud e che risalirebbe almeno al X secolo<ref>Padoux, 2011, p. 73.</ref>. Śiva è adorato nella forma di [[Śadaśiva]], Śiva l'eterno, il Signore (''pati'') che emana l'universo, lo conserva, lo riassorbe, si cela e si rivela per mezzo della grazia.<ref>Flood, 2006, p. 222.</ref> Lo Śaivasiddhānta è dualista: da un lato le singole anime (''paśu'') sono eternamente distinte dal Signore (causa efficiente); dall'altro il mondo, nel quale agisce la ''māyā'' (causa materiale), è distinto da Lui. Quindi Dio ha creato il mondo e le anime, ma ne resta sempre separato; l'unico contatto fra le anime e Dio si ha nella grazia divina. La ''māyā'' non è una divinità, ma soltanto un<nowiki>'</nowiki>''energia'' che non è dotata della coscienza di sé. Strumento principale per la liberazione è il rito: i seguaci dello Śaivasiddhānta sono iper-ritualisti e presentano una devozione emozionale (''bhakti'') molto accentuata. Essendo una dottrina dualista, la liberazione dal ciclo delle rinascite non implica alcun ricongiungimento dell'anima col Signore, ma soltanto un'assimilazione della Sua essenza.<ref>Padoux, 2011, pp. 74-75.</ref> Il cammino per la liberazione è aperto a tutte le classi sociali, ma inaccessibile alle donne, le quali possono soltanto beneficiare del percorso del proprio consorte.<ref>Flood, 2006, p. 223.</ref>
 
I [[Nātha]] costituiscono un'importante tradizione ''śaiva'', evolutasi poi nel tempo e oggi rappresentata dai [[Kānpaṭha]]. È ai Nātha che si deve, nel IX secolo CEd. C. circa<ref>Flood, 2006, p. 133.</ref>, l'introduzione nel mondo tantrico dello [[Haṭhayoga]], sistema Yoga che contempla numerose posture (''[[āsana]]''), anche difficili, pratiche di purificazione del corpo e tecniche di meditazione complesse. La dottrina è non-dualista: tramite i metodi dello Haṭhayoga ci si può ricongiungere con Dio, Śiva, che è attivo nel mondo con la sua ''śakti'', non venerata quindi come dea ma visualizzata come sessualmente unita a Śiva.<ref>Padoux, 2011, pp. 87-88.</ref>
 
Una delle più antiche sette ''śaiva'' è quella dei [[Kāpālika]] ("portatori di teschio"), i cui seguaci erano [[ascetismo|asceti]] distinguibili per il fatto di portare con sé un cranio umano aperto che usavano come scodella per il cibo. Da costoro e da altri culti trasgressivi e visionari che prediligevano divinità terrifiche, sorse, intorno al II secolo CEd. C., la sette dei [[Pāśupata]]<ref>I rapporti reciproci fra queste sette, e la cronologia sono questioni ancora aperte. Secondo Gavin Flood i Pāśupata risalirebbero appunto al II secolo e sarebbero essi la setta ''śaiva'' più antica di cui si ha notizia; da questa sarebbero derivati i Lākula, dediti a pratiche ascetiche estreme, che andavano in giro ricoperti di cenere e con una collana fatta di teschi e i capelli scarmigliati a imitazione dell'iconografia corrente del dio Rudra (Flood, 2006, p. 211-214 e p. 207).</ref> e successivamente quella dei [[Lākula]]. Da questi ebbe quindi origine un nucleo di culti che va sotto il nome di [[Kula (induismo)|Kula]].<ref>Padoux, 2011, p. 76.</ref>
 
[[File:Triśūlābjmaṇḍala.jpg|thumb|Una riproduzione schematica del ''triśūlābjmaṇḍala'', il mandala del tridente e dei loti, adoperato in uno dei culti visionari della scuola del Trika. Le tre dee del Trika sono immaginate sui rebbi del tridente, che quindi l'adepto visualizza nel proprio corpo ripercorrendo tutti e 36 i principi costitutivi della manifestazione cosmica, dalla terra a Śadaśiva, steso immobile sotto i rebbi in corrispondenza della sommità del suo capo, e oltre, fino alle tre dee supreme, Parāparā, Parā, Aparā, il divino assoluto.]]