Stratone di Sardi: differenze tra le versioni

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==''Musa paidica''==
Stratone è celebre per avere messo insieme un'antologia di [[epigramma|epigrammi]] d'amore [[omosessuale]] chiamata ''{{polytonic|Μοῦσα παιδική}}'' (''Mousa paidikế'', ossia "La [[Muse (mitologia)|Musa]] dei ragazzi"). <br>
Essa conteneva tanto epigrammi sia di sua produzione, sia di altri poeti greci ed ellenistici ([[Alceo di Mitilene]], [[Callimaco di Cirene]], [[Meleagro di Gadara]] o [[Dioscoride]]), accomunati dal tema [[omosessuale]]<ref>Cfr. R. Aubreton, ''Le livre XII de l’Anthologie Palatine. La Muse de Straton'', in "Byzantion", 39 (1969), pp. 35-52.</ref>.
Di questa raccolta ci sono stati tramandati 258 epigrammi, dei quali 94 dello stesso Stratone, di qualità non eccelsa, ondeggianti tra mimesi dei grandi modelli e scurrilità<ref>Sulle quali, cfr. W.M. Clarke, ''Phallic vocabulary in Straton'', in "Mnemosyne", 47 (1994), pp. 466-472.</ref>. Un esempio dello stile stratoniano:
{{citazione|Passando dal mercato di ghirlande,<br>
Line 37 ⟶ 38:
incoronai gli dei,e poi pregai<br>
perché avessi quel gran bel ragazzo.|Stratone, ''AP'', XII 8}}
IntornoIn seguito, al [[900]] d.C. uno studioso bizantino, [[Costantino Cefala]], redasse un compendio che fondeva diverse antologie poetiche greche, tra le quali anche la ''Mousa paidiké'', per realizzare una collezione completa di epigrammi. In realtà, comunque, non è sicuro se la raccolta stratoniana sia stata da lui inglobata nella sua interezza o se egli ne abbia fatto una selezione, né se Cefala mantenesse l'ordine dell'antologia originaria. Comunque sia, gli epigrammi della ''Mousa paidikè'' confluirono come detto in questa collezione, condividendone da quel momento la sorte successiva, mentre il testo originale della ''Mousa'' stesso è andato perduto.
<br>La maggior parte di quello che conosciamo del lavoro di Stratone deriva però da un manoscritto copiato intorno al [[980]], che conservava molte delle poesie della precedente antologia di Cefala. Il manoscritto venne scoperto nella biblioteca dei Conti Palatini ad [[Heidelberg]] nel [[1606]] o [[1607]], da un giovane studioso in visita di nome [[Claude de Saumaise|Claudius Salmasius]]. Non vi è alcun documento che chiarisca come sia arrivato lì, ma probabilmente vi fu portato da uno studioso italiano in visita; intorno alla metà del Cinquecento lo studioso e antiquario romano [[Fulvio Orsini]] ([[1529]]-[[1600]]) aveva visto e menzionato tale manoscritto, allora in possesso di un certo Angelo Colloti.
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