Età giolittiana: differenze tra le versioni

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Alla caduta del secondo [[Governo Fortis II|Governo Fortis]] (24 dicembre [[1905]] - 8 febbraio [[1906]]), dopo un breve ministero [[Sidney Sonnino|Sonnino]], Giolitti insediò il suo terzo governo.
 
Il malessere continuava ad essere diffuso soprattutto nel [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno d'Italia]] dove, anche a causa dell'aumento [[demografia|demografico]] e ai numerosi dissesti economici causati da grandi disastri naturali (si ricordi l'eruzione del [[Vesuvio]] del [[1906]] ed il [[terremoto del 1908|terremoto che devastò Messina e Reggio Calabria]] nel [[1908]]), continuava l'emorragia dell'[[emigrazione]] che divenne un fatto culturale tale da trovare espressioni nella nostra [[letteratura]] nazionale, da [[Giovanni Verga]] a [[Luigi Capuana]]: interi paesi si spopolavano e sparivano antiche culture. Un fenomeno crudele e doloroso, ma anche in un certo senso benefico, poiché intere popolazioni ebbero modo d'uscire dal loro isolamento [[medioevo|medioevale]] e, sia pure a prezzo di insanabili ferite, entrare in contatto con le moderne società occidentali.
Il governo, che in un primo momento aveva ostacolato il flusso migratorio per non far salire troppo i prezzi sul mercato del lavoro, in seguito diede via libera, favorendo lal'espatrio fugadi all'esterocentinaia di migliaia di appartenenti dellealle classi subalterne, soprattutto perché cominciava a temere le conseguenze di un'aumentata pressione sociale e poteva così contare su un'affidabile stabilità monetaria.
 
Durante questo mandato Giolitti continuò, essenzialmente, la politica economica già avviata nel suo secondo governo, e si preoccupò di risanare il [[bilancio dello Stato]], con una più equa ripartizione degli oneri sociali, aiutato dalla congiuntura economica positiva dei primi anni del [[secolo XX|Novecento]].
Il governo poté dare il via nel [[1906]] alla [[conversione della rendita]] nazionale, diminuendo il [[tasso d'interesse]] dal 5% al 3,75% dando la possibilità, a chi non avesse accettato la diminuzione della rendita, di poter ottenere l'intero rimborso dei capitali sottoscritti; ma ben pochi furono i sottoscrittori che lo richiesero, segno della buona fiducia nelle [[finanza|finanze]] dello Stato.
Questa era, in realtà, un'operazione rischiosa, perché, per quanto si potesse prevedere un certolimitato panico tra i creditori dello Stato, le richieste di rimborso non erano facilmente prevedibili. Di fatto, comunque, ebbe successo perché queste furono assai limitate e la possibilità della [[bancarotta]] fu ampiamente sventata. Ciò fu possibile perché la conversione della rendita provocò una generale diminuzione del costo del denaro, che consentì di ottenere crediti ad un [[saggio di interesse]] più favorevole e, quindi, incontrò un nutrito consenso.
QuestoQuesta riduzione dei tassi d'interesse favorì l'industria pesante, che risultava ancora arretrata a causa della mancanza, da parte degli industriali, dei grandi [[capitale (economia)|capitali]] che sarebbero stati necessari a svecchiarlamodernizzarla.
 
Oltre a ciò, la conversione della rendita centrò il suo scopo primario: far "guadagnare" virtualmente allo Stato la differenza sui suoi debiti che, con l'abbassamento del tasso, non era più tenuto a pagare. I proventi di questa manovra poterono, così, essere impiegati nellnella realizzazione di grandi opere pubbliche come l'industriaacquedotto pugliese, il [[traforo del Sempione]] ([[1906]]), la [[Bonifica idraulica|bonifica]] delle zone di [[Ferrara]] e [[Rovigo]], che consentirono l'aumento dell'occupazione e notevoli profitti per le imprese chiamate a realizzarle.
 
La [[Lira italiana|lira]] godeva di una stabilità mai prima raggiunta al punto che sui mercati internazionali la moneta italiana era quotata al di sopra dell'oro e addirittura era preferita alla [[Sterlina britannica|sterlina]] inglese. E tutto questo, nonostante gli ingenti esborsi di denaro pubblico per la realizzazione di grandi opere pubbliche come l'acquedotto pugliese, il [[traforo del Sempione]] ([[1906]]), la [[Bonifica idraulica|bonifica]] delle zone di [[Ferrara]] e [[Rovigo]].
 
Accanto all'ormai completata [[statalizzazione delle ferrovie italiane|nazionalizzazione delle Ferrovie]] <ref>Conformemente alla [[s:L. 22 aprile 1905, n. 137, che approva i provvedimenti per l'esercizio di Stato delle ferrovie non concesse ad imprese private|Legge 22 aprile 1905, n. 137]] (chiamata legge [[Alessandro Fortis|Fortis]] dal nome del primo ministro di allora [[Alessandro Fortis]] ed entrata in vigore il 1º luglio 1905) e delle sue successive integrazioni fra cui la legge 7 luglio [[1907]], n. 429</ref>, infine, andò a collocarsi la proposta di nazionalizzazione delle assicurazioni (portata a compimento nel quarto mandato).
 
Lo sviluppo economico si estese, anche se in misura minore, al settore agricolo che, soprattutto con la riapertura soprattutto del [[mercato]] francese, dopo la ripresa voluta da Giolitti delle buone relazioni con la [[Francia]], interrotte dalla politica estera filotedesca crispina, vide accrescersi le esportazioni dei prodotti ortofrutticoli e del vino, mentre l'introduzione della coltura della [[barbabietola da zucchero]] incrementò lo sviluppo delle [[Zuccherificio|raffinerie]] nella [[pianura padana]].
 
Per ciascuna di queste azioni la critica storiografica non ha mancato di evidenziare anche i risvolti negativi: non ostacolare l'emigrazione significasignificava anche servirsene, un po' cinicamente, senza tenere intener conto ildel disagio arrecato a interi strati sociali costretti a sradicarsi dalla propria terra (specie dal Sud, dove il cosmopolitismo era certamente ben lontano dal diffondersi); favorire unicamente l'industria pesante a discapito di quella agro-manifatturiera èera, poi, una tipica visione industrialista che non tieneteneva in debito conto l'economia del Mezzogiorno, che avrebbe necessitato di trasformazioni più profonde del solo [[acquedotto pugliese]]; infine la nazionalizzazione delle assicurazioni consentì abnormi [[speculazione|speculazioni]] da parte di chi ne deteneva le [[Azione (finanza)|azioni]].
 
Innegabile è invece, la bontà del miglioramento della legislazione sul lavoro femminile e infantile con nuovi limiti di orario (12 ore) e di età (12 anni).