Comitato di Liberazione Nazionale: differenze tra le versioni

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== Storia ==
[[File:Dettaglio della fontana C.L.N. "Legnano, ai suoi figli caduti per la libertà" in Largo Franco Tosi, Legnano.JPG|thumb|Dettaglio della fontana del Comitato di Liberazione Nazionale posta in memoria dei Legnanesi che combatterono e morirono per la liberazione dell'Italia dal nazi-fascismo. La dedica recita: "Legnano, ai suoi figli caduti per la libertà". Questo monumento è collocato in Largo [[Franco Tosi]] a [[Legnano]].]]
Era una formazione interpartitica formata da movimenti di diversa estrazione culturale e ideologica, composta da rappresentanti del [[Partito Comunista Italiano]] (PCI), [[Democrazia Cristiana]] (DC), [[Partito d'Azione]] (PdA), [[Partito Liberale Italiano]] (PLI), [[Partito Socialista Italiano#La rinascita: tra la Resistenza e la Repubblica|Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria]] (PSIUP) e [[Partito Democratico del Lavoro|Democrazia del Lavoro]] (DL). I rapporti tra i sei partiti furono inizialmente segnati da divergenze circa la linea politica da tenere nei confronti della monarchia e del governo Badoglio:
 
{{citazione|L'alleanza dei sei partiti, intima e cordiale quando si poneva il problema della liberazione del territorio nazionale e della lotta al fascismo e al nazismo, diventava difficile da mantenere quando si doveva definire con precisione i modi e le forme del suo avvento al potere. Il punto di attrito rimaneva sempre il problema istituzionale. Non che i sei partiti si dividessero sulla preferenza da dare alla Repubblica o alla Monarchia, giacché questa scelta si era convenuto di lasciarla al Paese che, dopo la liberazione del territorio nazionale, doveva essere liberamente consultato. Ma il contrasto sorgeva quando, pur accantonata la questione della scelta, si doveva definire l'atteggiamento del Comitato di fronte alla Monarchia messa ''sub judice'' ma sempre viva ed operante. Qui il comitato si spartiva in due campi: l'uno disposto a stabilire un ''modus vivendi'' con la Monarchia per tutto il tempo necessario a raggiungere la fine della guerra e quindi la consultazione popolare; l'altro fermamente deciso a relegare subito la Monarchia ai margini dello Stato, il quale avrebbe dovuto essere retto (fino alla proclamazione della Repubblica) da un Governo straordinario, con tutti i poteri costituzionali, e interamente simile a quei governi provvisori che si instaurano nei periodi rivoluzionari quando un regime è già caduto e non è ancora creato il regime successorio. Nel primo campo gravitavano il Partito Liberale, il Partito Democratico Cristiano e la Democrazia del Lavoro; nel secondo si schieravano, in prima linea gli azionisti e i socialisti, in seconda linea (con minore accentuazione intransigente) i comunisti<ref>Ivanoe Bonomi, ''Diario di un anno (2 giugno 1943-10 giugno 1944)'', Milano, Garzanti, 1947, ''Introduzione'', pp. XIII-XIV.</ref>.}}