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Il territorio in questione è stato frequentato fin da epoca preistorica. Broglio e Bartolonei, grazie a scavi effettuati nel nel 1967 nella bassa valle delle Lanze (m. 1480), hanno portato alla luce i manufatti di un'industria litica del [[Paleolitico superiore]] e precisamente dell'[[Epigravettiano|Epigravettiano recente]]. L'insediamento si trova in prossimità di due pozze d'acqua, dove su materiale morenico sormontato da un deposito dovuto a un antico ghiacciaio sono stati trovati bulini, grattatoi, coltelli di fogge diverse e altri oggetti. In tutto sono ben 153 i manufatti che richiamano i ritrovamenti presso il coevo "riparo Battaglia", presso [[Asiago]]. Entrambi sono infatti tipici accampamenti stagionali di cacciatori che, nella bella stagione, salivano in quota per cacciare soprattutto stambecchi. Tali manufatti rinvenuti ora sono al [[Museo naturalistico archeologico (Vicenza)|Museo di Santa Corona]] a Vicenza.
 
In epoca precristiana la [[val d'Astico]] fu abitata dai [[Reti]], un popolo celtico che giunse fino alla [[val d'Assa]] sull'altopiano di Asiago, dove fondò [[Rotzo]] e [[Bostel]]. Nel 15 d.C. i Reti furono annientati dai Romani e il ritrovamento di numerose monete di epoca romana sembra attestare in valle una certa importanza strategica della vallata in tale periodo.
 
=== Alto medioevo ===
Nel 489 i [[Goti]] di [[Teodorico il Grande|Teodorico]] invasero [[Italia]] e da quel momento le Prealpi vicentine iniziarono un significativo rapporto con le popolazioni germaniche, fino a quando i [[Impero bizantino|Bizantini]] non riuscirono a imporsi. Alcuni storici hanno teorizzato che i primi insediamenti cimbri discendano proprio dai resti dei Goti, altri ne collocano l'origine al tempo dei Longobardi (VI-VIII sec.) o a epoche successive (X sec.): i Longobardi infatti furono i primi a dominare sfruttando adeguatamente le terre della [[val d'Astico]]. Essi nell'Alto medioevo avevano diviso il territorio in ducati e il Ducato Vicentino confinava a settentrione con quello di [[Trento]], dove i confini seguivano la morfologia del terreno sulla linea di spartiacque: Passo della Borcola, Monte Maggio, Monte Melegna, Bocca di Valle Orsara, corso dell'Astico fino Busatti e su fino a Cima Vezzena. Tale linea di confine subirà nei secoli modifiche dalle conseguenze significative, tuttavia il territorio in questione conserva tracce evidenti dell'assetto dato da questo popolo rude, ma organizzato sia militarmente che economicamente, ciò è evidente nella toponomastica<ref>Si veda [[Fara Vicentino]], toponimo che allude a ''fara'', cioè clan di consanguinei</ref> e nella documentazione attestante la ''corte longobarda'' di Sant'Agata a Cogollo. Grazie a questa organizzazione fortemente strutturata, in epoca longobarda la Val d'Astico era una via di comunicazione tra i monti e il piano, che facilitò i collegamenti tra l'economia dell'altopiano e quella della pianura.
Attorno al X sec. la popolazione aumentò a causa delle colonie tedesco-bavaresi, spinte in questa zona dagli Ottoni tra il 952 e il 976, da cui probabilmente deriva l'origine cimbra della cultura e della lingua del luogo, che resta comunque una zona molto tranquilla, se confrontata con la pianura vicina, terra di continue invasioni.
 
Nel 912 il re d'Italia [[Berengario del Friuli|Berengario]] dona la parte sinistra della val d'Astico a Sibicone, [[vescovo di [[Padova]]. Con questa donazione, i vescovi presero il controllo giuridico, amministrativo ed economico della zona e furono aiutati nell'esercizio di ciò da monaci e ospizi.
Celebri furono i due ospizi di San Pietro Valdastico e di Brancafora, che furono i maggiori centri attorno ai quali insediarono i primi nuclei abitati della valle. Entrambi erano retti da un priore, nominato con un diritto di rendita dal vescovo e coadiuvato da laici e monaci. Grazie a tali ospizi, dove trovavano rifugio i viandanti che risalivano la "Strada del Lancino" verso Trento o i sentieri verso l'altopiano dei Sette Comuni, si sviluppò l'agricoltura ed il commercio del territorio. Dal 1450 non si parla più di ospizi, ma di parrocchie e nel 1600 la chiesa di Brancafora fu annessa alla diocesi di Trento.<ref>Liverio Carollo, Sui sentieri della Val d'Astico, La Serenissima, 1991, pp.34-45</ref>