Guerre romano-persiane: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m aggiornamento sintassi del template {{references}}
m apostrofo tipografico
Riga 123:
{{Vedi anche|Esercito romano|Esercito partico|Esercito sasanide}}
 
Quando gli Imperi romano e partico si scontrarono per la prima volta, sembrava che la Partia avesse il potenziale per espandersi fino al [[Mar Egeo|Egeo]] e al Mediterraneo. Tuttavia, sotto Pacoro e Labieno, i Romani respinsero la grande invasione partica della Siria e riuscirono gradualmente ad avvantaggiarsi della debolezza del sistema militare partico, che, secondo [[George Rawlinson]], era adatto per la difesa dell'Impero ma non adatto per la conquista di nuovi territori. I Romani, dall'altra parte, stavano continuamente modificando la loro "grande strategia" da Traiano in poi, e furono da Pacoro in poi in grado di prendere l'offensiva contro i Parti.<ref>Rawlinson (2007), p. 199: "Il sistema militare partico non aveva l’elasticitàl'elasticità di quello romano&nbsp;[...] Sebbene fosse sciolto e apparentemente flessibile, era rigido nella sua uniformità; non venne mai alterato; rimase sotto i trenta Arsaci come lo era stato sotto il primo, migliorato nei dettagli magari, ma essenzialmente lo stesso sistema." Secondo Michael Whitby (2000), p. 310, "le truppe orientali preservarono la reputazione militare romana fino alla fine del sesto secolo capitalizzando le risorse disponibili e mostrando una grande capacità di adattamento a una grande varietà di sfide".</ref> Come i Sasanidi nel tardo terzo e quarto secolo, i Parti di solito evitavano ogni difesa prolungata della Mesopotamia contro i Romani. Tuttavia, l'[[altopiano iranico]] non cadde mai, poiché le spedizioni romane esaurivano sempre il loro impeto offensivo una volta raggiunta la bassa Mesopotamia, e la loro estesa linea di comunicazioni lungo un territorio non sufficientemente pacificato li esponeva a rivolte e a contrattacchi.<ref name="Wheeler (2007), 259">Wheeler (2007), p. 259</ref>
 
Dal IV secolo in poi, i Persiani Sasanidi crebbero nella forza e assunsero il ruolo di aggressore. Essi consideravano molti dei territori annessi all'Impero romano in epoca partica e sasanide appartenenti per diritto alla sfera iraniana.<ref name="Fr473">Frye (2005), p. 473</ref> Everett Wheeler afferma che "i Sasanidi, amministrativamente più centralizzati dei Parti, organizzavano formalmente la difesa del loro territorio, sebbene essi non avessero un esercito permanente fino a Cosroe I".<ref name="Wheeler (2007), 259"/> In generale i Romani consideravano i Sasanidi una minaccia più seria dei Parti, mentre i Sasanidi consideravano l’Imperol'Impero romano il nemico ''per eccellenza''.<ref>Greatrex (2005), p. 478; Frye (2005), p. 472</ref>
 
Militarmente, i Sasanidi, come del resto i Parti, dipendevano fortemente dalla combinazione di arcieri a cavallo e [[catafratti]], la [[cavalleria pesante|cavalleria pesante corazzata]] fornita dall'aristocrazia. Essi aggiunsero ad essi un contingente di [[elefanti da guerra]] reperiti in India, ma la loro [[fanteria]] era qualitativamente inferiore a quella dei Romani.<ref>Cornuelle, [http://www.derafsh-kaviyani.com/english/sassanian.html An Overview of the Sassanian Persian Military]; Sidnell (2006), 273</ref> La cavalleria pesante persiana inflisse alcune sconfitte ai fanti romani, inclusi quelli condotti da Crasso nel 53&nbsp;a.C.,<ref>Secondo Reno E. Gabba, l’esercitol'esercito romano venne riorganizzato in seguito alla battaglia di Carre (Gabba [1966], 51–73).</ref> Marco Antonio nel 36&nbsp;a.C., e Valeriano nel 260 d.C. La necessità di contrastare questa minaccia portò all'introduzione dei ''[[Catafratti|cataphractarii]]'' nell'esercito romano;<ref>Vegezio, III, ''Epitoma Rei Militaris'', [http://www.thelatinlibrary.com/vegetius3.html 26]<br />* Verbruggen–Willard–Southern (1997), 4–5</ref> come conseguenza, la cavalleria armata pesante crebbe in importanza in entrambi gli eserciti dopo il terzo secolo e fino alla fine delle guerre.<ref name="Fr473" /> I Romani avevano raggiunto un alto livello di sofisticazione negli assedi, e avevano sviluppato numerose macchine da assedio. Dall’altraDall'altra parte, i Parti erano inetti nell'assediare; la loro cavalleria era più adatta alla tattica colpisci-e-fuggi. La situazione mutò con l’ascesal'ascesa dei Sasanidi, che erano abili quanto i Romani nell’artenell'arte dell’assediodell'assedio, e impiegavano l’l'[[artiglieria]], macchine sottratte ai Romani, terrapieni, e [[torri d'assedio]].<ref>Campbell–Hook (2005), 57–59; Gabba (1966), 51–73</ref>
 
Verso la fine del primo secolo&nbsp;d.C., Roma per proteggere i suoi confini orientali costruì una serie di fortificazioni lungo la frontiera; tale sistema di fortificazioni durò fino alle conquiste islamiche del VII secolo dopo essere stato migliorato da Diocleziano.<ref>Shahîd (1984), 24–25; Wagstaff (1985), 123–125</ref> Anche i Sasanidi fortificarono i confini con l'Impero romano. Secondo R.N. Frye, fu sotto Sapore II che il sistema di fortificazioni persiano venne esteso, probabilmente per imitare la costruzione da parte di Diocleziano di nuove fortificazioni nella frontiera orientale dell'Impero romano. I soldati romani impegnati al confine erano noti come ''[[limitanei]]'', e affrontarono più volte i [[Lakhmidi]] in [[Iraq]], i quali assistevano frequentemente i Persiani nei loro conflitti con i Romani. Sapore aveva l'intenzione di formare un esercito permanente di difesa contro altri Arabi del deserto, specialmente quelli alleati con Roma. Sapore costruì anche nuove fortificazioni in occidente per emulare il sistema romano dei ''limes'', che aveva impressionato i Sasanidi.<ref>Frye (1993), 139; Levi (1994), 192</ref>
Riga 538:
}}
 
Entrambi gli schieramenti tentarono di giustificare i loro rispettivi obbiettivi militari. L'ambizione da parte di Roma prima, e di Bisanzio poi, a dominare il mondo era accompagnata da un senso di missione - come garanti di pace e ordine - e dall'orgoglio per le loro conquiste civili. Fonti romane e bizantine svelano pregiudizi diffusi sulle forme di governo, lingue, religioni dei regni orientali. John F. Haldon sottolinea che "sebbene i conflitti tra la Persia e l’Imperol'Impero d’Oriented'Oriente girassero intorno a questioni di controllo strategico della frontiera [...], vi era sempre presente un elemento religioso-ideologico". Dai tempi di Costantino in poi, gli imperatori romani si proclamarono infatti protettori dei cristiani di Persia.<ref>Barnes (1985), p. 126</ref> Questo atteggiamento generò forti sospetti sulla fedeltà dei cristiani sudditi dell'Iran sasanide, e spesso contribuì all'inasprimento dei conflitti tra Romani e Persiani.<ref>[[Sozomeno|Sozomen]], ''Storia Ecclesiastica'', II, [http://www.freewebs.com/vitaphone1/history/sozomen.html#P3230_1341005 15]<br />* McDonough (2006), 73</ref> Una caratteristica della fase finale del conflitto, quando quella che era iniziata nel 611–612 come una guerra di saccheggi divenne una guerra di conquista, era la preminenza della croce come simbolo di vittoria imperiale e il fatto che la guerra contro i Persiani fosse considerata da Costantinopoli una sorta di crociata contro i miscredenti; Eraclio stesso si riferì a Cosroe come il nemico di Dio, e gli autori del VI e del VII secolo sono molto ostili all'Impero sasanide.<ref>Haldon (1999), p. 20; Isaak (1998), p. 441</ref> Questa tradizione di erudizione storica "pro-romana" prevalse per secoli, e fu solo recentemente che gli studiosi adottarono un altro approccio, e tentarono di illuminare la meno conosciuta posizione persiana.<ref>Dignas–Winter (2007), [http://assets.cambridge.org/97805218/49258/excerpt/9780521849258_excerpt.pdf 1–3] (PDF)</ref>
 
== Storiografia ==