Guerra civile russa: differenze tra le versioni

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Il problema maggiore per i bolscevichi, quindi, rimanevano l’esercito polacco a ovest e le truppe bianche di Vrangel’ in Crimea, sebbene insurrezioni e sacche di resistenza persistessero nel territorio controllato da Mosca. Nonostante fossero in atto timide trattative di pace, l’esercito polacco guidato da [[Józef Piłsudski]] sferrò in aprile una potente offensiva contro i sovietici vedendo l’opportunità di costruire la [[Grande Polonia]] vagheggiata dai nuovi leader nazionali. [[Kiev]] cadde nelle mani dei polacchi il 25 aprile 1920. Costernati e colti alla sprovvista, i bolscevichi si videro costretti a preparare una vasta controffensiva; il governo di Lenin decise di far leva anche sul [[patriottismo]] russo e ucraino per reagire allo smacco subito dai Polacchi. [[Lev Trockij|Trockij]] e [[Lev Borisovič Kamenev|Kamenev]] diressero oltre 200.000 unità sul fronte occidentale raccogliendo le migliori forze, e organizzarono la controffensiva secondo due direzioni: nord-occidentale (Žlobin-Minsk-Grodno) con a capo il generale [[Michail Nikolaevič Tuchačevskij|Tuchačevskij]], e sud-occidentale (Kiev-Žitomir-Rivne) con a capo il generale [[Semën Michajlovič Budënnyj|Budënnyj]]. L’offensiva iniziò il 26 maggio e si rivelò travolgente e inarrestabile. In un mese e mezzo l’esercito polacco arretrò di 400 km cedendo un territorio di oltre 250.000 km<sup>2</sup>. Ad agosto le armate bolsceviche arrivarono a 50 km da [[Varsavia]] credendo già che la [[Polonia]] potesse diventare bolscevica, quando l’esercito polacco trovò le forze, sostenuto e incoraggiato dalla Francia, di reagire con una nuova controffensiva. I sovietici, disincantati ed estenuati, indietreggiarono di in poco tempo, stabilendosi a ottobre su una linea 200 km a est della [[Linea Curzon]] che diventerà il futuro confine.
{{Vedi anche|Guerra sovietico-polacca}}
Nel frattempo, a est, l’Armata Rossa proseguiva la riconquista anche in direzione dei territori centro-asiatici. Nell’agosto [[1920]] i bolscevichi abbatterono l’Autonomial’[[Autonomia di Alash]] e fondarono la [[Repubblica Socialista Sovietica Kazaka|RSS kazaka]], congiungendosi con i bolscevichi del [[Turkestan]]. Il 2 settembre fu infine rovesciato anche l’Emiratol’[[Emirato di Bukhara]]. Dopo alcuni combattimenti, [[Estonia]] e [[Lettonia]], impegnate in una ardimentosa lotta di indipendenza, firmarono paci separate con il governo sovietico che rinunciava definitivamente alla loro sottomissione.
 
Dell’esercito bianco, come detto, rimaneva ormai solo l’armata di [[Pëtr Nikolaevič Vrangel'|Vrangel’]] in Crimea, composta da alcune decine di migliaia di uomini. A giugno essa riuscì a forzare l’istmol’[[istmo di Perekop]] e ad avanzare nel [[Bacino del Donec|Donbass]] sfruttando il fatto che Rossi erano impegnati nella guerra contro i Polacchi. Alle truppe controrivoluzionarie di Vrangel’ si unirono nell’estate anche gruppi di partigiani ucraini ed elementi reazionari scampati ai bolscevichi, andando a formare una resistenza di oltre 100.000 uomini tuttavia scarsamente inquadrati. Arrestatosi il conflitto con i Polacchi, divisioni dell’Armata Rossa vennero ridirette in Ucraina orientale al fine settembre sotto il comando di [[Michail Vasil'evič Frunze|Mikhail Frunze]], al fine di liquidare le truppe di Vrangel’. L’attacco dei bolscevichi non fu retto dai Bianchi che a ottobre furono ricacciati nella penisola di [[Penisola di Crimea|Crimea]]. Il 9 novembre 1920 i bolscevichi irruppero in Crimea e, dopo un’ultima disperata resistenza, Vrangel’ e i superstiti fuggirono il 16 novembre a bordo di navi russe scortate da navi da guerra inglesi e francesi. Era la fine dell’esperienza ''bianca'' controrivoluzionaria in Russia.
 
Ormai conscio della vittoria nonostante le diffuse distruzioni e le ingenti perdite causate dal conflitto, il governo bolscevico si adoperò nella fase finale della guerra civile per conquistare gli ultimi territori dell’ex impero[[Impero russo|Impero Russo]] ancora recuperabili (ad esclusione quindi di Finlandia, Paesi baltici e Polonia), per conseguire i trattati di pace e per stroncare le ultime resistenze interne.
 
A ottobre del 1920 l’esercito giapponese iniziò a ritirarsi dall’estremo oriente russo favorendo la ripresa dei territori siberiani oltre il [[lago Bajkal]] da parte di Mosca. Le ultime compagini bianche restanti dell’esercito di Kolčak, racchiuse nella regione attigua al fiume [[Amur]], verranno tuttavia liquidate definitivamente solo due anni dopo, nel [[1923]]. Il [[Caucaso]] però rimase in quel periodo la regione più ostica alla riconquista, resa più difficile dall’opposizione anche incrociata di etnie non russe (principalmente [[azeri]], [[georgiani]], [[armeni]]), dal territorio aspro e montuoso e dalla resistenza turca. Solo dopo oltre un anno di duri combattimenti e complesse manovre l’Armata Rossa riuscì ad occupare l’intero territorio caucasico e a sedare le resistenze armate. Il [[Trattato di Kars]], firmato il 23 ottobre 1921, stabilì la pace con la [[Turchia]] e la successiva nascita della [[Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica|RSSF transcaucasica]].
 
Nell’agosto del 1920, nella regione centrale di [[Tambov]], una vasta ribellione contro la dittatura bolscevica era scoppiata nelle campagne, estenuate dalla [[leva obbligatoria]] e dalle requisizioni coatte degli ammassi da parte del regime. La rivolta fu guidata dall’attivista politico di spicco [[Alexander Antonov|Aleksandr Antonov]] e dall’ufficiale [[Pёtr Tokmakov]], che furono in grado di organizzare un esercito di contadini e socialisti antibolscevichi in armi che fu ribattezzato talvolta “Armata“[[Armata verde”Verde|Armata verde]]”, formato da circa 40.000 unità. Il governo bolscevico rispose duramente inviando interi reparti dell’Armatadell’[[Armata Rossa]] al comando di [[Michail Nikolaevič Tuchačevskij|Michail Tuchačevskij]] a stroncare la rivolta. I combattimenti furono sanguinosi e senza esclusione di colpi (fu osservato perfino l’utilizzo di gas asfissianti e il ricorso a fucilazioni di massa da parte dei Rossi). Solo a giugno del 1921 l’esercito bolscevico riuscì ad annientare le principali forze degli insorti; tuttavia la resistenza armata nella regione di Tambov continuò fino al tardo [[1922]].
 
Nel marzo 1921 veniva stipulata anche la [[Pace di Riga]] che metteva fine al conflitto con la Polonia, ma nello stesso mese un’altra grave rivolta alimentò le preoccupazioni di [[Lenin]] e del governo bolscevico. Il primo marzo i marinai della base navale di [[Kronštadt]], gli stessi che quattro anni prima avevano appoggiato e favorito lo scoppio della [[Rivoluzione d’Ottobred'ottobre|Rivoluzione d’ottobre]], si ribellarono al potere costituito rivendicando autonomie e un [[socialismo]] più libertario. I bolscevichi della Armata Rossa ebbero mandato di sedare ogni insurrezione e il 7 marzo, al comando ancora una volta del generale Tuchačevskij, attaccarono l’isola-fortezza di Kronštadt, dove stavano asserragliati più di 10.000 soldati. Dopo oltre dieci giorni di duri combattimenti, i bolscevichi spensero la rivolta. 2.000 morti (più altrettanti giustiziati) in uno scontro armato che contrappose gli autori stessi della Rivoluzione che aprì le porte alla guerra civile, ora ancora più fratricida. Quest’episodio (assieme a quello di [[Tambov]] e molti altri) rafforzò l’idea che, per conservare e governare il nuovo stato proletario, fosse necessaria la repressione di ogni dissenso.
 
La repressione del regime bolscevico, fattore integrante della guerra civile, si rivolse – come già menzionato – anche contro intere categorie sociali e in particolare contro i contadini, dimostratisi per la maggior parte ostili alla costituzione di un nuovo stato ancor più accentrato e “cleptocratico” del precedente. Le campagne infatti, che raccoglievano la grande maggioranza della popolazione, avevano salutato con diffuso favore il crollo dell’autocraziadell’[[Impero russo|autocrazia zarista]] nella speranza di vedere finalmente attuata la distribuzione delle terre; tuttavia tale speranza fu frustrata da misure che, al di là di una parziale distribuzione delle terre, ne “socializzavano” il raccolto, vale a dire imponevano una quota fissa di ammassi che doveva essere requisita dallo Stato senza sostanziale corresponsione di pagamento. Spesso queste quote coprivano larga parte del raccolto e non rare diventavano di fatto le ''corvée'' (come accadeva in epoca zarista). Il governo bolscevico, che abbisognava di ingenti risorse per condurre la guerra civile, non ebbe remore ad applicare nel modo più inflessibile il [[comunismo di guerra]]. [[Grigorij Konstantinovič Ordžonikidze|Ordžonikidze]] avrebbe ricordato nel 1930 che i contadini potevano rimanere «attaccati» al socialismo «solo con le catene». Il periodo 1921-1922 vide però l’insorgere di siccità e scarsi raccolti che, aggravati dai danni della guerra civile e dalle requisizioni coatte, portarono a una grave [[Carestia russa del 1921-1923|carestia]] particolarmente acuta nelle [[Regione del Volga|regioni del Volga]]. Le proporzioni della fame divennero tali che, secondo alcuni analisti, si trattò della più grande carestia in Europa dal medioevo; una carestia che determinò persino diffusi casi di [[cannibalismo]]. Solo l’introduzione della [[Nuova politica economica|NEP]] da parte di Lenin nel [[1921]] evitò un ulteriore disastro delle campagne russe.
 
Il [[30 dicembre]] 1922 fu fondata l’Unionel’[[Unione Sovietica]], primo stato socialista della storia, simbolo evidente della vittoria finale del [[Bolscevismo|comunismo bolscevico]] nella guerra civile in Russia.
 
== Vittime e perdite ==
La guerra civile ebbe conseguenze pesantissime per la [[Russia]] che, oltre gli sconvolgimenti politici, dovette subire immani devastazioni e ingentissime perdite umane. Lo choc economico, sociale e demografico patito fu tale che le dirette conseguenze si riverberarono nei successivi decenni.
 
Il numero di vittime provocate dal conflitto, frutto di stime basate su dati spesso imprecisi e lacunosi dell’epoca, varia da 3 milioni (tenuto conto solo di combattimenti e repressioni) fino a 11 milioni di morti (considerando anche carestie e malattie). Relativamente alla guerra civile russa, quindi, la maggior parte dei decessi nel periodo 1918-1922 furono dovuti a fame e malattie.
 
I dati più diffusi parlano di circa 2-2,5 milioni di morti nei combattimenti, tra cui 0,9-1,2 milioni di Rossi, 700 mila Bianchi e 500-700 mila soldati di altre formazioni militari. A queste morti vanno aggiunte le vittime del ''[[terrore rosso]]'', quantificabili in almeno 250.000 esecuzioni sommarie, e delle [[Terrore bianco|repressioni bianche]], nell’ordine anch’esse delle 300.000 unità (tra cui oltre 100 mila ebrei massacrati in Ucraina). Da assommare anche le vittime della “decosacchizzazione” messa in atto dai bolscevichi nel 1919, stimate in 300.000. Come detto, tuttavia, la maggior parte delle morti occorse nel periodo di guerra civile – non sempre conteggiate come vittime del conflitto – furono causate dalla terribile [[Carestia russa del 1921-1923|carestia del 1920-1922]] che provocò, secondo le stime, all’incirca 5 milioni di decessi. Accanto alla fame anche le epidemie, specie quella di [[tifo]], che fecero altre centinaia di migliaia di morti.
 
Ai morti si aggiungevano le masse di feriti, i 7 milioni di orfani senza tetto e, infine, circa 2 milioni di emigrati russi. La natalità si ridusse fortemente, l’equilibrio dei sessi si alterò in modo tale da generare una eccedenza di donne che perdurerà fin oltre la [[Seconda guerra mondiale]]; l’''[[intelligencija]]'' del Paese fu pressoché annientata.
 
L’economia russa fu così colpita che la produttività scese sotto i livelli del 1913. La produttività dell’industria si ridusse di cinque volte e quella agricola del 40%. I danni furono stimati in 50 miliardi di rubli-oro. La produttività tornerà ai livelli del 1914 solo alla fine degli anni ’20 sotto l’egida staliniana.
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* George Stewart. ''The White Armies of Russia: A Chronicle of Counter-Revolution and Allied Intervention''.
* David R. Stone. ''The Russian Civil War, 1917-1921'', in ''The Military History of the Soviet Union''.
* Geoffrey Swain. ''The Origins of the Russian Civil War.''.
*A. Graziosi, ''L'Unione Sovietica 1914-1991'', il Mulino, Bologna, 2011.
 
== Voci correlate ==