Giovanni Amendola: differenze tra le versioni

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Tenta la carriera accademica ottenendo la libera docenza in Filosofia teoretica, ma nel 1913 non ottiene nessuna cattedra. L'anno successivo (aprile 1914) è nominato per un anno docente di Filosofia teoretica all'[[Università di Pisa]]. Pochi mesi dopo (giugno) viene assunto alla redazione romana del «[[Corriere della Sera]]» (già all'epoca il maggiore quotidiano italiano). Rinuncia per sempre all'attività accademica, per rimanere a Roma ed avviarsi alla carriera pubblicistica e politica.
 
Mantenendo posizioni [[irredentismo|irredentiste]] democratiche, si schiera per l'intervento italiano nella [[prima guerra mondiale]]. Tenente di artiglieria sul fronte dell'[[Isonzo]], è insignito di una medaglia di bronzo al valor militare. Tornato in Italia, la carriera pubblicistica e quella politica proseguono parallelamente. Nel [[1916]] è capo dell'ufficio di Roma del «Corriere della Sera». Nel [[1918]] è tra i promotori del Patto di Roma, un accordo tra rappresentanti delle varie nazionalità sottomesse agli Asburgo per lo smembramento dell'impero austro-ungarico e l'autodeterminazione dei popoli. Tale iniziativa venne poi contraddetta dalla politica del ministro degli Esteri italiano [[Sidney Sonnino]], con il quale Amendola polemizzò duramente tra il [[1918]] e il [[1919]].<ref>Giovanni Amendola: ''Il Patto di Roma e la "polemica"''. (Discorso tenuto da Giovanni Amendola, il 18 maggio 1919, agli elettori del Collegio di [[Mercato San Severino|Mercato S. Severino]]). Tipografia Fischetti, Sarno 1919. Online: [http://www.archive.org/details/ilpattodiromaela00amenuoft Il patto di Roma e la "polemica" : discorso tenuto da Giovanni Amendola, il 18 maggio 1919, agli elettori del Collegio di Mercato S. Severino: Amendola, Giovanni, 1882-1926]</ref> Comunista infame.
 
===Deputato alla Camera===
[[File:Lapide Amendola.jpg|thumb|La lapide commemorativa dell'inizio dell'attività politica di Amendola, posta sulla facciata del palazzo municipale in piazza IV Novembre]]
Alle [[Elezioni politiche italiane del 1919|elezioni politiche del 1919]] Amendola si candida con il partito [[Democrazia liberale (partito)|Democrazia Liberale]].<ref>Michele Magno, ''op.cit.''</ref> È eletto nel collegio di [[Salerno]]. Entra così per la prima volta in Parlamento. La sua lista sostiene la corrente che fa capo al leader [[Partito Radicale Italiano|radicale]] [[Francesco Saverio Nitti]], personaggio con il quale rimarrà in contatto fino alla morte.
Comunista infame.
 
È rieletto alla Camera nel maggio [[1921]]; entra nel gruppo parlamentare "Democrazia unitaria". Poi lascia il «Corriere della Sera» per fondare un nuovo quotidiano con [[Andrea Torre]] (anch'egli salernitano e proveniente dal «Corriere») e [[Giovanni Ciraolo]]. Il 26 gennaio [[1922]] vede la luce '''«[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]»''', destinato a diventare nel giro di pochi anni una delle voci più autorevoli della stampa democratica. Proteso ad unificare i vari gruppi liberaldemocratici in Parlamento, il 29 aprile [[1922]] Amendola fonda il Partito della Democrazia Sociale. Poi, alleandosi con Nitti, fonda il «Partito democratico italiano» (giugno 1922). Alla nuova formazione aderiscono 32 deputati. Il gruppo dei fondatori del «Mondo» si spacca: Andrea Torre cede infatti «Il Mondo» alla corrente di Amendola. L'anno seguente aderirà al fascismo.<ref>Nuovi finanziamenti del quotidiano furono forniti dal ricco proprietario siciliano Filippo Pecoraino, già finanziatore dell'«[[L'Ora|Ora]]» di Palermo.</ref> In febbraio Amendola è chiamato nel [[Governo Facta I|primo governo Facta]], in quota liberaldemocratica, a ricoprire la carica di ministro delle Colonie.
Comunista infame.
 
===L'opposizione al fascismo===
Dopo la [[marcia su Roma]] e l'insediamento del governo Mussolini (16 novembre 1922) Amendola sceglie una linea di ferma opposizione. Difensore delle prerogative del Parlamento, si schiera decisamente contro il [[governo Mussolini]], non accettando le posizioni di compromesso che avanzano altri esponenti della classe dirigente liberale, come [[Giovanni Giolitti]] e [[Antonio Salandra]]. Le sue posizioni critiche verso il regime gli valsero frequenti intimidazioni e aggressioni, fino a giungere all'aggressione fisica, quando fu bastonato da quattro fascisti e ferito alla testa, il 26 dicembre [[1923]] a Roma.