Califfo: differenze tra le versioni

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Tra gli obblighi cogenti vi è innanzi tutto la tutela dell'Islam in tutti i suoi aspetti (si parla dell'obbligo di garantire l'''ʿibāda'' della comunità dei fedeli guidata dal califfo, cioè la doverosa venerazione della ''[[Umma]]'' all'unico Dio ([[Allah|Allāh]]), e l'adozione di misure atte ad agevolarne e garantirne il culto e l'applicazione della [[Diritto islamico|Legge islamica]] a tutti i sudditi, musulmani o "protetti".<br />
Un altro obbligo, da assolvere quando le condizioni lo consentano, è quello di organizzare e guidare (di persona, o per il tramite di suoi delegati) il ''[[jihadjihād|jihād]]'', sia difensivo (in ''Dār al-Islām''), sia offensivo (in ''[[Dar al-Harb|Dār al-Ḥarb]]''), che, secondo Mawardī, può legittimare una conquista avvenuta senza autorizzazione, per il quale egli parla dell'''imārat al-istīlāʾ''.
 
Da notare che, per lo [[sciismo]], il ''jihād'' per essere legalmente valido, deve essere sempre guidato dall'[[Imam]] della Comunità. Dal momento che, tanto per lo sciismo [[duodecimano]], quanto per quello [[ismailita]] [[settimano]], l'Imam si è occultato agli occhi del mondo nel [[IX secolo]], per manifestarsi solo in occasione della fine dei tempi, il ''jihād'' non ha quindi più alcuna possibilità di essere validamente proclamato (e tanto meno condotto) in contesto sciita duodecimano,<ref>Etan Kohlberg, "The Development of the Imami Shi'i Doctrine of Jihad", su: ''[[Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft]]'', 1976, 126, pp. 64–86; in particolar modo alle pp. 80-81.</ref> mentre le prerogative di quello [[Fatimidi|fatimide]] coincidono con quelle [[sunnite]].<ref>A. Morabia, ''Le Gihad dans l'Islam médiéval'', p. 209.</ref>,
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A spingerlo a una tale presa di posizione, palesemente in contrasto con la realtà dei fatti (che faceva invece giudicare perfettamente legittimo il "califfato ottomano" da gran parte del mondo islamico [[maghreb]]ino e [[Vicino Oriente|vicino-orientale]]), fu la recente conquista italiana della [[Tripolitania]] e della [[Cirenaica]] [[Impero ottomano|ottomane]].<br />
Per rafforzare ulteriormente la corretta distinzione, da lui già fatta in un articolo, tra la figura del "Califfo" e quella del "Papa", al fine di convincere le autorità italiane dell'inopportunità di consentire alle popolazioni conquistate di seguitare a rivolgere nelle [[Moschea|moschee]] la loro ''[[khuṭba]]'' della [[Salat al-zuhr|preghiera del mezzodì]] del venerdì (''jumūʿa'') in onore del [[Sultano ottomano]], il cui titolo califfale era con goffo equivoco assimilato da Roma alla figura puramente religiosa del Pontefice romano), Nallino volle sottolineare come fosse illegittimo quel titolo califfale, senza voler tenere nel minimo conto il fatto che l'arabicità dei califfi fosse qualcosa da preferire, senza peraltro costituire un'ineludibile condizione (''sharṭ'') per ricoprire la dignità califfale,<ref>Non ultimo l'atteggiamento del grande [[giurisperito]] e [[teologo]] [[hanbalita]] [[Ibn Taymiyya]] (XIII secolo), che indicava come perfettamente plausibile e addirittura consigliabile che la dignità califfale fosse assegnata ai [[Mamelucchi]] (di cui era suddito), che avevano sconfitto i [[Mongoli]] nella [[battaglia di Ayn Jalut]], assolvendo alla condizione di condurre il ''[[jihadjihād]]'' contro chi avesse aggredito la ''[[Umma]]'' islamica, come aveva in effetti fatto [[Hulegu]].</ref> come d'altronde precisato da chi - primo fra tutti [[al-Mawardi]] - si era occupato di descrivere le condizioni giuridiche e morali di un [[musulmano]] per poter validamente assumere quella carica in base alla tradizione giuridica islamica.<br />
 
L'ultimo califfo ottomano fu dichiarato decaduto da un'apposita Assemblea tenutasi ad Ankara il 3 marzo [[1924]] su disposizione di [[Mustafa Kemal Atatürk]].