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Ben diverso approccio fu quello di [[Alfredo Capobianco]], di professione giudice di tribunale tra la fine dell'[[Ottocento]] ed i primi del [[Novecento]]. Capobianco si era trovato spesso ad occuparsi di processi che vedevano imputati "[[zingari]]" nelle regioni della [[Campania]], della [[Puglia]] e della [[Basilicata]], da questa esperienza professionale ne scaturì un saggio del [[1914]] "Il problema di una gente vagabonda in lotta con le leggi", nel quale affrontava il problema dell'applicazione delle leggi per il rispetto dell'ordine pubblico.
Capobianco nel suo saggio dedica tutta la prima parte a considerazioni di carattere ettnologicoetnologico, sugli usi, costumi e morale della popolazione "zingara", in particolare Capobianco si soffermò sul carattere nomade di questi definendolo un "camping organizzato etnicamente" <ref>Alfredo Capobianco, "Il problema di una gente vagabonda in lotta con le leggi", pag. 18, 1914</ref> precario e caotico.
Nella seconda parte del saggio si concentra sulla presunta immoralità ed irreligiosità degli "zingari", facendo convergere tutto il suo ragionamento sulla necessità di un intervento tempestivo della autorità contro il dilagare del "crimine zingaresco". A fronte di questa supposta "minaccia" Capobianco propose il sistema della schedatura giudiziaria, dei certificati antropometrici, fino alla espulsione ed alla reclusione.