Federico Borromeo: differenze tra le versioni

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{{Citazione|Una bambina di nove anni morì dinanzi alla madre; questa, non sopportando che la figlia fosse toccata dai monatti, volle metterla lei sul carro. Poi voltatasi di nuovo ai monatti, “voi” disse, “questa sera, porterete via anche me”. Così detto, rientrò in casa e si affacciò alla finestra. Stette a contemplare quelle esequie, e poco dopo spirò.|[[De pestilentia]], cap. VIII|Novennis puella cum in conspectu matris occubuisset noluit mater tolli a vespillonibus eam, sed imposuit ipsa plaustro cadaver obversaque ad vespillones, vos vero hodie vespere me tolletis, inquit, regressaque in cubiculum et ex fenestra filiæ funus id contemplata paulo post extinguitur.|lingua=la}}
 
Nel ritratto manzoniano del cardinale è presente una temperata e solenne purità evangelica. Egli ha una singolare capacità di comprendere ogni passione ed ogni condizione degli uomini. Tutta la grandezza artistica di questo personaggio sta nella penetrazione psicologica e nella potenza di dominio e di conforto che gli sono state conferite dalla trascuranza del fasto, dalla "gioia continua di una speranza ineffabile", dall' "abitudine dei pensieri solenni e benevoli". In lui l'altezza della mente è pari alla nobiltà del cuore. Federigo è il personaggio de ''I Promessi Sposi'' in cui meglio si vede la serenità imperturbabile a cui conduce l'attuazione costante della concezione evangelica della vita. La sua eloquenza è fatta sapiente da una grande pazienza meditativa e la potenza della parola evangelica del cardinale, nel colloquio con [[don Abbondio]], fa dell'anima del curato uno spettacolo religioso.<ref>[[Attilio Momigliano]], ''Alessandro Manzoni, Messina-Milano, Principato, 1948, V ed., p. 214-17</ref>
 
La lunga digressione sulla vita ed il carattere del cardinale (capitoli XXII- XXIII) hanno i tratti dell'[[agiografia]]. L'autore scrive (cap. XXII):" Ci siamo abbattuti in un personaggio, il nome e la memoria del quale, affacciandosi, in qualunque tempo, alla mente, la ricreano con una placida commozione di riverenza". Lo stile si fa raffinato ed alto, il lessico tende al [[sublime]], allo scopo di evidenziare il carattere eccezionale del protagonista (inizi del capitolo XXIII): "il portamento era naturalmente composto, e quasi involontariamente maestoso [...]; l'abitudine de' pensieri solenni e benevoli, la pace interna di una lunga vita, l'amore degli uomini, la gioia continua di una speranza ineffabile...". È anche da notare che proprio nel [[Seicento]], secolo in cui è ambientato il [[romanzo]], il genere agiografico conobbe una particolare fortuna ad opera di alcuni [[gesuiti]] che pubblicarono gli ''[[Acta Sanctorum]]'', collezione di vite di santi.<ref>Presenta analogo carattere agiografico anche la figura del [[Vescovo Myriel]], personaggio "di una benevolenza serena", nel romanzo [[I Miserabili]] di [[Victor Hugo]] (parte prima, libro primo; XIII):" Era là solo con se stesso, raccolto, tranquillo, adorante, confrontando la serenità del suo cuore con la serenità del cielo, commosso nelle tenebre dagli splendori visibili delle costellazioni e gli splendori invisibili di Dio, con il proprio animo aperto ai pensieri che cadono dall'Ignoto.[...] Egli non studiava Dio; egli se ne abbagliava".</ref>