Utente:MLWatts/Sandbox9: differenze tra le versioni

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tractatus
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Nel periodo in cui studiò a [[Università di Cambridge|Cambridge]] sotto la guida di Russell, a partire dal 1911, Wittgenstein andò gradualmente mettendo a punto la sua proposta di soluzione al paradosso. Come anche altri, infatti, egli era convinto che la teoria dei tipi non fosse del tutto soddisfacente, sia perché rappresentava una restrizione ''[[ad hoc]]'', sia perché gli assiomi su cui si fondava erano abbastanza lontani dall'iniziale requisito di evidenza per le verità logiche su cui si volevano fondare quelle matematiche.<ref>{{cita|Monk 1991|pp. 40-46.}}</ref> Nel corso del 1912 egli sviluppò due punti che sarebbero risultati fondmentali nella sua concezione logica e filosofica: in primo luogo, la tesi che «qualsiasi teoria dei tipi dev'essere resa superflua da una corretta teoria del simbolismo»; in secondo luogo, la tesi che la diversità dei generi di cose che logicamente non possono essere scambiate le une con le altre dev'essere espressa da simboli di diverso genere che non possono essere scambiati.<ref>{{cita|Monk 1991|pp. 76-77.}}</ref>
 
Nel 1913 Wittgenstein aveva accettato, cedendo alle pressioni di Russell e al suo stesso timore (immotivato) di non aver più molto da vivere, di dare una prima stesura relativamente organica alle sue idee. Le tesi centrali riproposte poi dal ''Tractatus'' ci sono quindi pervenute in una prima versione nelle ''[[Note sulla logica]]'' dettate da Wittgenstein in ottobre. In questa prima opera filosofica wittgensteiniana si ripartiva dall'idea, già acquisita, che un adeguato [[Logica simbolica|simbolismo logico]] doveva rendere superflua ogni [[teoria dei tipi]], e la si sviluppava specificando che il simbolismo deve ''mostrare'' ciò che nessuna teoria potrebbe ''dire'', e cioè per esempio che "«A"» e "«B"» sono lettere dello stesso tipo, ma non "«A"» e "«''x''"» o "«''y''"».<ref>{{cita|Monk 1991|p. 99.}}</ref>
 
[[File:Skjolden village.jpg|thumb|[[Skjolden]], in [[Norvegia]], dove tra il 1913 e il 1914 Wittgenstein visse un periodo di particolare prolificità filosofica.]]
 
Isolatosi in un esilio volontario nel villaggio di [[Skjolden]], in [[Norvegia]], nel tardo 1913 Wittgenstein comunicava per lettera a Russell di essere giunto alla scoperta che «la totalità della logica deriva da un'unica proposizione primitiva». Egli notava, infatti, che le proposizioni logiche (in contrapposizione a quelle empiriche) possono essere determinate come vere o come false con la sola analisi della loro forma, senza bisogno di sapere se si compongono di elementi veri o falsi: per esempio "«''p'' [[Disgiunzione logica|o]] [[Negazione (matematica)|non]]-''p''"» è sempre vera, "«''p'' [[Congiunzione logica|e]] non-''p''"» sempre falsa (indipendentemente dalla verità o falsità di ''p''). La prima di queste due proposizioni è una [[tautologia]], la seconda una [[contraddizione]]. Wittgenstein affermava che, una volta trovato un meccanismo logico (cioè un sistema di segni) capace di rendere evidente se una proposizione è tautologia, una contraddizione oppure né l'una né l'altra cosa (cioè non è decidibile sul piano puramente formale), si sarebbero determinate tutte e sole le proposizioni della logica, cioè tutte e sole le tautologie, a partire da un'unica proposizione primitiva: cioè appunto quella che esprime la regola per riconoscere le tautologie.<ref>{{cita|Monk 1991|pp. 100-102.}}</ref>
 
In una serie di appunti dettati a [[George Edward Moore|G.E. Moore]] quando, nell'aprile 1914, questi andò a trovare Wittgenstein a Skjolden, si metteva ulteriormente a punto la distinzione tra "dire" e "mostrare".<ref>{{cita|Monk 1991|pp. 107-109.}}</ref>
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{{citazione|Se Wittgenstein avesse trascorso l'intera guerra nelle retrovie, il ''Tractatus logico-philosophicus'' sarebbe rimasto quello che con ogni probabilità era nel 1915: un trattato sulla logica. Infatti, le osservazioni contenute nella versione definitiva relative all'etica, l'estetica, l'anima e il senso della vita trassero origine, precisamente, dall'"impulso alla riflessione filosofica" [...] generato dalla consapevolezza della morte, della sofferenza, della miseria.}}
 
Questa esperienza diretta degli aspetti più terribili della guerra causò in Wittgenstein il mutamento che egli auspicava. (Wittgenstein era influenzato, per la sua visione del rischio mortale come occasione di maggiore lucidità quanto a sé stesso e alla realtà, sia dal [[William James]] di ''[[Le varie forme della coscienza religiosa]]'', sia dallo Schopenhauer del ''[[Il mondo come volontà e rappresentazione|Mondo come volontà e rappresentazione]]'').<ref>{{cita|Monk 1991|pp. 118, 144.}}</ref> Con la certezza che «solo la morte dà significato alla vita»,<ref>{{cita|Monk 1991|p. 145.}}</ref> venne alla luce la profonda interrogazione del senso dell'esistenza. Allo stesso tempo, la problematica del senso della vita e di Dio (strettamente interconnesse, poiché «credere in Dio vuol dire comprendere la questione del senso della vita»)<ref>{{cita|Monk 1991|p. 148.}}</ref> gli sembrava collegata alla questione della logica, ma non in modo chiaro. Gradualmente, egli riguadagnò la concezione secondo cui logica ed etica sono tutt'uno ricollegandole entrambe alla sfera di ciò che non si può dire, ma solo mostrare: «L'etica non tratta del mondo. L'etica deve essere una condizione del mondo come la logica».<ref name=monk149>{{cita|Monk 1991|p. 149.}}</ref> Tale sfera è, come poi chiarirà compiutamente il ''Tractatus'', quella del ''mistico''.<ref name=monk149/>
 
A [[Olomouc|Olmütz]], dove era stato mandato per ricevere l'addestramento da [[Ufficiale (forze armate)|ufficiale]], Wittgenstein entrò in contatto con un ex-studente di [[Adolf Loos]], [[Paul Engelmann]], che sarebbe presto divenuto per lui un prezioso amico. Si rivelò immediatamente una grande affinità spirituale tra i due, entrambi agitati in quel momento dalla problematica religiosa, e le loro lunghe discussioni tra l'autunno 1916 e il gennaio 1917 furono estremamente fruttuose. Fu questo, come scrive Monk, «il periodo di gestazione del ''Tractatus''», nel quale per Wittgenstein divenne chiaro come logica e mistica siano ugualmente ''manifestazioni'' di una verità che non si lascia ''dire''.<ref>{{cita|Monk 1991|pp. 152-155.}}</ref>
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All'oggetto appartiene in modo essenziale la possibilità di occorrere in stati di cose, e un oggetto è del tutto inconcepibile al di fuori della possibilità del suo nesso con altri oggetti; la possibilità di essere parte costitutiva di certi stati di cose fa parte della forma dell'oggetto, è qualcosa di intrinseco a esso (cfr. 2.011, 2.0121). Con la conoscenza di un oggetto, quindi, si possiede già la conoscenza degli stati di cose di cui può far parte; con la conoscenza di tutti gli oggetti, la conoscenza di tutti gli stati di cose possibili in quanto possibili (cfr. 2.0124).
 
Questa teoria di portata ontologica è basata su considerazioni di carattere logico-linguistico.<ref name=f2000_88>{{cita|Frascolla 2000|p. 88.}}</ref><ref>{{cita|Piana 1973|p. 3.}}</ref> La semplicità degli oggetti è la semplicità dei simboli che li designano (come nell'esempio, citato sopra, del simbolo «M», che mostra di simbolizzare un oggetto); il loro contenere la possibilità di tutti gli stati di cose di cui possono far parte è la determinazione, intrinseca ai simboli, delle occorrenze possibili di questi ultimi all'interno delle proposizioni: (come nell'esempioscrive della proposizione «''a''R''b''»Piana, dove «''a''», mostrando di simbolizzare un oggetto, contiene la possibilità di essere messo in relazione a un altro oggetto, simbolizzato da «''b''», ed esclude quella di essere, ad esempio, negato, in modo tale che il simbolo «~''a''» sarebbe insensato). {cn} Come scrive Piana: «In quanto una cosa ha queste e quelle possibilità relazionali, noi diciamo che essa ha una certa forma. La forma della cosa è l'ambito delle sue sintassi possibili».<ref>{{cita|Piana 1973|p. 6.}}</ref>
 
I diversi stati di cose sono logicamente indipendenti l'uno dall'altro: «Dal sussistere o non sussistere d'uno stato di cose», spiega Wittgenstein, «non può concludersi al sussistere o non sussistere d'un altro»<ref name=w2009_29>{{cita|Wittgenstein 2009|p. 29.}}</ref> (2.062). Ogni oggetto ''può'' entrare in connessione con altri in alcuni modi determinati e dar luogo a diversi stati di cose, e ''deve'' dar luogo a uno di essi; ma mentre la ''possibilità'' di tutti gli stati di cose di cui un oggetto può essere parte costituente è necessariamente determinata ''a priori'' dalla forma di quell'oggetto, la ''realizzazione'' di uno di essi piuttosto che di un altro è un fatto, il cui accadere non può essere dedotto formalmente.<ref>{{cita|Piana 1973|pp. 3-7.}}</ref> Il verificarsi o non-verificarsi di un fatto è del tutto contingente e può essere solo constatato ''a posteriori''.<ref>{{cita|Frascolla 2000|pp. 124-129.}}</ref>
 
=== La teoria del linguaggio come immagine ===
Su questi presupposti si inntesta la «teoria del linguaggio come immagine» (o «teoria raffigurativa», o «teoria della proposizione come immagine»)<ref>{{cita|Frascolla 2000|p. 31.}}</ref> di Wittgenstein. «Noi», egli afferma, «ci facciamo immagini dei fatti»<ref name=w2009_29/> (2.1). La possibilità che le nostre proposizioni hanno di essere sensate, eossia di poter essere suscettibili di venire determinate come vere o come false, dipende dal loro essere ''immagini'' della realtà, cioè didei fatti.<ref>{{cita|Frascolla 2000|p. 37.}}</ref> Un'immagine, in generale, raffigura grazie alla configurazione dei suoi elementi una configurazione reale di oggetti, cioè appunto uno stato di cose o fatto;<ref name=f2000_45-47>{{cita|Frascolla 2000|pp. 45-47.}}</ref> una proposizione è un caso particolare di immagine, nella quale riceve una forma sensibile (vocale o grafica a seconda che la proposizione sia pronunciata o scritta) l'immagine logica del pensiero.<ref>{{cita|Frascolla 2000|p. 32.}}</ref> In altri termini nel pensiero la situazione è raffigurata logicamente, nella proposizione vocalmente o graficamente e in un disegno, per così dire, pittoricamente. In ogni caso, l'immagine (sia essa un pensiero, una proposizione, un disegno e così via) funziona in modo precisamente determinato: essa, in primo luogo, è a sua volta un fatto, cioè una configurazione secondo nessi determinati di alcuni oggetti; le relazioni tra questi oggetti hanno una determinata forma, che, se l'immagine è adeguata (cioè semplicemente se l'immagine è un'immagine in senso proprio), è la stessa forma delle relazioni tra gli oggetti facenti parte dello stato di cose, o fatto, raffigurato.
 
Secondo Wittgenstein un'immagine, in generale, raffigura una configurazione reale di oggetti, cioè appunto un fatto, grazie alla configurazione dei suoi elementi;<ref name=f2000_45-47>{{cita|Frascolla 2000|pp. 45-47.}}</ref> una proposizione è un caso particolare di immagine, nella quale l'immagine logica, cioè il pensiero, riceve una forma sensibile (vocale o grafica a seconda che la proposizione sia pronunciata o scritta).<ref>{{cita|Frascolla 2000|p. 32.}}</ref> Wittgenstein propone una nozione generale di "immagine" descrivendo il modo in cui un'immagine, in generale, raffigura un fatto (la sua teoria del linguaggio consiste poi nell'elaborazione dell'idea che le proposizioni siano un tipo particolare di immagini): l'immagine è a sua volta un fatto, cioè una configurazione, secondo una struttura determinata, di alcuni oggetti; a ognuno degli oggetti che sono parti costitutive dell'immagine è coordinato un oggetto che è parte costitutiva del fatto raffigurato; se l'immagine è adeguata (cioè semplicemente se l'immagine è un'immagine in senso proprio), la configurazione delle parti costitutive dell'immagine corrisponde alla configurazione degli oggetti facenti parte del fatto raffigurato, indipendentemente dall'effettivo verificarsi o non-verificarsi di questo fatto.
[[File:Brahms1-1.svg|thumb|Uno degli esempi citati da Wittgenstein per chiarire la natura raffigurativa della proposizione è lo [[spartito]]. Uno spartito può essere immagine di un brano musicale perché le sue parti corrispondono a parti del brano musicale e perché le relazioni tra le parti dello spartito corrispondono alle relazioni tra le parti del brano musicale. Lo stato di cose raffigurante e lo stato di cose raffigurato sono isomorfi (cfr. 4.014-4.0141).<ref name=f2000_45-47/>]]
 
[[File:Brahms1-1.svg|thumb|Uno degli esempi citati da Wittgenstein per chiarire la natura raffigurativa della proposizione è lo [[spartito]]. Uno spartito può essere immagine di un brano musicale perché le sue parti corrispondono a parti del brano musicale e perché le relazioni tra le parti dello spartito corrispondono alle relazioni tra le parti del brano musicale. LoIl stato di cosefatto raffigurante e lo stato diil cosefatto raffigurato sono isomorfi (cfr. 4.014-4.0141).<ref name=f2000_45-47/>]]
Un esempio a cui si può ricorrere, poiché fu quello che suggerì a Wittgenstein stesso l'idea della proposizione come immagine,<ref>{{cita|Monk 1991|p. 123.}}</ref> è il seguente: in seguito a una controversia generata da un incidente d'auto, in un tribunale viene preso in considerazione un modellino che rappresenta la situazione discussa. La relazione delle due automobili in miniatura rispetto l'una all'altra e al piano su cui sono incollate rappresenta una relazione tra automobili reali, e può rappresentarla correttamente (se la situazione rappresentata è sussistita al momento dell'incidente) o scorrettamente (se la situazione rappresentata non è sussistita).<ref>{{cita|Frascolla 2000|pp. 38-39 e segg.}}</ref> Questo intuitivo esempio del funzionamento di un'immagine è però suscettibile di essere generalizzato, poiché per Wittgenstein la nozione di immagine assume un valore assai più astratto.<ref name=p1973_10>{{cita|Piana 1973|p. 10.}}</ref> Per Wittgenstein infatti anche la proposizione «''a''R''b''» è l'immagine di un fatto (cfr. 4.012); così come uno [[spartito]] o un [[disco fonografico]] sono immagini di una musica (4.014).<ref>{{cita|Frascolla 2000|p. 45.}}</ref> Ciò che conta infatti, in ultima analisi, al fine della capacità di un fatto di essere immagine di un altro fatto è che la configurazione delle parti di cui il fatto raffigurante, in quanto fatto, è composto abbia la stessa forma della configurazione delle parti che compongono il fatto raffigurato:<ref name=p1973_10/> «Che gli elementi dell'immagine siano in una determinata relazione l'uno con l'altro rappresenta che le cose sono in questa relazione l'una con l'altra»<ref>{{cita|Wittgenstein 2009|p. 30.}}</ref> (2.15). Tale struttura comune che un'immagine e il fatto che essa raffigura hanno in comune è la struttura dell'immagine (cfr. 2.15).<ref name=p1973_10/> Lo spazio di possibilità di tale struttura dell'immagine è la «forma di raffigurazione» di quell'immagine (cfr. 2.151). E la più generale delle forme di raffigurazione è la forma logica:<ref>{{cita|Piana 1973|p. 12.}}</ref> «Ciò che ogni immagine, di qualunque forma essa sia, deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare – correttamente o falsamente –, è la forma logica, ossia la forma della realtà. [...] Ogni immagine è ''anche'' un'immagine logica»<ref>{{cita|Wittgenstein 2009|p. 31.}}</ref> (2.18, 2.182). Quanto all'immagine logica dei fatti, essa non è che il [[pensiero]] (cfr. 3), del quale Wittgenstein dà un'interpretazione sostanzialmente anti-[[Psicologismo|psicologistica]]:<ref name=f2000_71>{{cita|Frascolla 2000|p. 71 e segg.}}</ref> il pensiero non gli interessa cioè in quanto accadimento "nella testa" degli uomini, ma in quanto questione puramente logica, e specificamente in quanto forma dell'immagine in generale (di modo che ogni immagine è anche un pensiero e ogni fatto può essere oggetto di un pensiero).<ref name=f2000_71/>
 
Un esempio a cui si può ricorrere, poiché fu quello che suggerì a Wittgenstein stesso l'idea della proposizione come immagine,<ref>{{cita|Monk 1991|p. 123.}}</ref> è il seguente: in seguito a una controversia generata da un incidente d'auto, in un tribunale viene preso in considerazione un modellino che rappresenta la situazione discussa. La relazione delle due automobili in miniatura rispetto l'una all'altra e al piano su cui sono incollate rappresenta una relazione tra automobili reali, e può rappresentarla correttamente (se la situazione rappresentata è sussistita al momento dell'incidente) o scorrettamente (se la situazione rappresentata non è sussistita).<ref>{{cita|Frascolla 2000|pp. 38-39 e segg.}}</ref> Questo intuitivo esempio intuitivo del funzionamento di un'immagine è però suscettibile di essere generalizzato, poiché per Wittgenstein la nozione di immagine assume un valore assai più astratto.<ref name=p1973_10>{{cita|Piana 1973|p. 10.}}</ref> Per Wittgenstein infatti anche la proposizione «''a''R''b''» è l'immagine di un fatto (cfr. 4.012); così come uno [[spartito]] o un [[disco fonografico]] sono immagini di una musica (cfr. 4.014).<ref>{{cita|Frascolla 2000|p. 45.}}</ref> Ciò che conta infatti, in ultima analisi, al fine della capacità di un fatto di essere immagine di un altro fatto è che la configurazione delle parti di cui il fatto raffigurante, in quanto fatto, è composto abbiacorrisponda la stessa forma dellaalla configurazione delle parti che compongono il fatto raffigurato:<ref name=p1973_10/> «Che gli elementi dell'immagine siano in una determinata relazione l'uno con l'altro rappresenta che le cose sono in questa relazione l'una con l'altra»<ref>{{cita|Wittgenstein 2009|p. 30.}}</ref> (2.15). Tale struttura comune che un'immagine e il fatto che essa raffigura hanno in comune è la struttura dell'immagine (cfr. 2.15).<ref name=p1973_10/> Lo spazio di possibilità di tale struttura dell'immagine è la «forma di raffigurazione» di quell'immagine (cfr. 2.151). E la più generale delle forme di raffigurazione è la forma logica:<ref>{{cita|Piana 1973|p. 12.}}</ref> «Ciò che ogni immagine, di qualunque forma essa sia, deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare – correttamente o falsamente –, è la forma logica, ossia la forma della realtà. [...] Ogni immagine è ''anche'' un'immagine logica»<ref>{{cita|Wittgenstein 2009|p. 31.}}</ref> (2.18, 2.182). Quanto all'immagine logica dei fatti, essa non è che il [[pensiero]] (cfr. 3), del quale Wittgenstein dà un'interpretazione sostanzialmente anti-[[Psicologismo|psicologistica]]:<ref name=f2000_71>{{cita|Frascolla 2000|p. 71 e segg.}}</ref> il pensiero non gli interessa cioè in quanto accadimento "nella testa" degli uomini, ma in quanto questione puramente logica, e specificamente in quanto forma dell'immagine in generale (di modo che ogni immagine è anche un pensiero e ogni fatto può essere oggetto di un pensiero).<ref name=f2000_71/>
Nell'ambito della teoria wittgensteiniana dell'immagine è importante notare che gli elementi di cui le immagini si compongono funzionano diversamente dalle immagini stesse:<ref name=f2000_49-50>{{cita|Frascolla 2000|pp. 49-50.}}</ref> anche in questo senso il modellino dell'incidente è inadeguato a esemplificare la concezione dell'immagine di Wittgenstein. Le parti di cui l'immagine si compone infatti non devono necessariamente essere simili alle parti dello stato di cose raffigurato come le automobiline sono simili alle automobili reali; ciò risulta evidente se si pensa che la proposizione «l'auto A ha tamponato l'auto B» è, per Wittgenstein, un'immagine tanto quanto lo è il modellino, senza però evidentemente che il segno «l'auto A» e il segno «l'auto B» assomiglino ad automobili. Non solo: se un'immagine si compone di elementi non semplici, ma complessi, che sono a loro volta immagini (come nel caso delle automobili in miniatura), allora queste sono a loro volta immagini proprio perché le loro parti sono connesse secondo una struttura che è in comune al fatto rappresentante e al fatto rappresentato. L'analisi deve però poter giungere a un termine, dove le parti costitutive di una configurazione (sia essa quella raffigurante o quella raffigurata) sono semplici, o almeno hanno un'«organizzazione interna simbolicamente irrilevante».<ref>{{cita|Frascolla 2000|p. 51.}}</ref>
 
Nell'ambito della teoria wittgensteiniana dell'immagine è importante notare che gli elementi di cui le immagini si compongono funzionano diversamente dalle immagini stesse:<ref name=f2000_49-50>{{cita|Frascolla 2000|pp. 49-50.}}</ref> anche in questo senso il modellino dell'incidente è inadeguato a esemplificare la concezione dell'immagine di Wittgenstein. Le parti di cui l'immagine si compone infatti non devono necessariamente essere simili alle parti dellodel stato di cosefatto raffigurato come le automobiline sono simili alle automobili reali; ciò risulta evidente se si pensa che la proposizione «l'auto A ha tamponato l'auto B» è, per Wittgenstein, un'immagine tanto quanto lo è il modellino, senza però evidentemente che il segno «l'auto A» e il segno «l'auto B» assomiglino ad automobili. Non solo: se un'immagine si compone di elementi non semplici, ma complessi, che sono a loro volta immagini (come nel caso delle automobili in miniatura), allora queste sono a loro volta immagini proprio perché le loro parti sono connesse secondo una struttura che è in comune al fatto rappresentante e al fatto rappresentato. L'analisi deve però poter giungere a un termine, dove le parti costitutive di una configurazione (sia essa quella raffigurante o quella raffigurata) sono semplici, o almeno hanno un'«organizzazione interna simbolicamente irrilevante».<ref>{{cita|Frascolla 2000|p. 51.}}</ref>
 
Nella proposizione, questi sono i ''nomi''. I nomi si limitano a significare oggetti, come in generale gli elementi semplici delle immagini si limitano a ''stare per'' gli oggetti, senza propriamente ''raffigurarli''.<ref name=f2000_49-50/> Solo l'immagine nel suo complesso raffigura propriamente; ma non raffigura oggetti semplici, bensì stati di cose. «Gli oggetti io li posso solo ''nominare''. I segni ne sono rappresentanti. Io posso solo ''dirne'', non ''dirli''» (3.221); viceversa «le situazioni si possono descrivere, non ''denominare''. (I nomi somigliano a punti; le proposizioni, a frecce. Esse hanno senso.)» (3.144).<ref>{{cita|Wittgenstein 2009|pp. 34-35.}}</ref>
 
Proprio per questo, «l'immagine concorda o non concorda con la realtà, essa è corretta o scorretta, vera o falsa»<ref>{{cita|Wittgenstein 2009|p. 31.}}</ref> (2.21). Più in dettaglio: «L'immagine rappresenta ciò che rappresenta, indipendentemente dalla propria verità o falsità, mediante la forma di raffigurazione. Ciò che l'immagine rappresenta è il proprio senso. Nella concordanza o non-concordanza del senso dell'immagine con la realtà consiste la verità o falsità dell'immagine. Per riconoscere se l'immagine è vera o falsa noi dobbiamo confrontarla con la realtà. Dall'immagine soltanto non può riconoscersi se essa sia vera o falsa. Un'immagine vera ''a priori'' non v'è»<ref>{{cita|Wittgenstein 2009|p. 32.}}</ref> (2.22-2.225).<ref>{{cita|Piana 1973|pp. 16-17.}}</ref> Nella misura in cui essa è un'immagine, lo stesso vale per la proposizione: essa può essere vera o falsa a seconda che il fatto che essa descrive sussista o meno, cioè che il suo senso concordi o meno con la realtà (cfr. 3.1-3.21).
 
=== (L'atomismo logico?) ===
 
=== La logica estensionale ===
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[...]
 
Un linguaggio logico adeguato rende possibili tutte e sole le proposizioni dotate di senso; che una proposizione sia insensata si vede dal fatto che essa, in quel linguaggio, non può essere formulata. Che unoun stato di cosefatto sia possibile si vede dal fatto che esso sia descritto (raffigurato) da una proposizione dotata di senso; che sia impossibile dal fatto che non possa essere descritto (raffigurato) da alcuna proposizione dotata di senso. Che un oggetto esista si vede dal fatto che il suo nome compaia in proposizioni dotate di senso; che non esista dal fatto che il suo nome non compaia se non in proposizioni insensate.
 
[[File:Wittgenstein_Gravestone.jpg|thumb|La tomba di Wittgenstein presso l'[[Ascension Parish Burial Ground]] di [[Cambridge]]. La piccola scala posata sulla lapide allude alla proposizione 6.54 del ''Tractatus'': «Le mie proposizioni illuminano così: Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è asceso per esse – su esse – oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo essere asceso su essa.) Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che egli vede rettamente il mondo».<ref>{{cita|Wittgenstein 2009|p. 109.}}</ref>]]
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Ciononostante, a partire dalla seconda metà degli [[anni 1920]], egli tornò sulle sue posizioni, giungendo a elaborare alcune concezioni filosofiche tanto diverse da quelle esposte nel ''Tractatus'' da permettere una distinzione piuttosto netta, e ampiamente accettata dalla critica, tra un «primo Wittgenstein» e un «secondo Wittgenstein».<ref>{{cita libro|nome=Luigi |cognome=Perissinotto |titolo=Wittgenstein. Una guida |editore=Feltrinelli |città=Milano |anno=2008 |isbn=978-88-07-72054-3 |p=7 |cid=Perissinotto 2008}}</ref><ref>[[Aldo Gargani|Aldo G. Gargani]], ''Linguaggio, sistema e calcolo'', in {{cita libro|nome=Ludwig |cognome=Wittgenstein |wkautore=Ludwig Wittgenstein |titolo=Lezioni 1930-1932 |curatore=Desmond Lee |editore=Adelphi |città=Milano |anno=1995 |p=161 |isbn=88-459-1129-2}}</ref>
 
[[Giovanni Piana|Piana]] ha caratterizzato l'evoluzione del pensiero di Wittgenstein nei termini di un «passaggio al punto di vista del gioco».<ref>{{cita|Piana 1973|pp. 123-172.}}</ref> Nel ''Tractatus'' il linguaggio logicamente adeguato che Wittgenstein costruisce pretende di esprimere l'essenza del mondo, realizzando un simbolismo nel quale – essendo esclusi tutti i sinonimi e tutti gli equivoci, nonché tutte le autorefernzialità – ogni stato di cosefatto può essere sensatamente descritto, e ciò che in quel linguaggio risulta impossibile dire è anche ciò che dal punto di vista della conoscenza non c'è bisogno di dire: in modo che lo spazio del mistico (cioè appunto di ciò che cade al di fuori del punto di vista della conoscenza) coincide appropriatamente con lo spazio del silenzio. La regolarità del linguaggio teorizzato dal ''Tractatus'' è assoluta e la logica da cui dipende quella regolarità assolutamente unica. Il prezzo pagato per questo risultato è che in accordo con se stesso il ''Tractatus'', come ogni altro testo filosofico, è un cumulo di insensatezze, e se insegna qualcosa ciò dipende da quanto esso ''mostra'', non da quanto esso ''dice''.
 
Influenzato dalle critiche dell'[[intuizionismo]] di [[Luitzen Brouwer|Brouwer]] al [[logicismo]] e, forse, anche dalla propria esperienza come docente in alcune scuole elementari dell'[[Austria]] rurale durante gli anni del dopoguerra, {cn} Wittgenstein abbracciò gradualmente una concezione molto più ampia e molto meno rigida del linguaggio. Come testimonia ad esempio l'opera ''[[Osservazioni sui fondamenti della matematica]]'',<ref>{{cita|Piana 1973|p. 123.}}</ref> la regolarità assoluta del linguaggio si trasforma in una regolarità simile a quella di un gioco: